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martedì 3 giugno 2014

Il santo che fermò il Brasile (due a uno).

E lo stadio era pieno.
San Cono di Diano o Teggiano (XIII secolo), patrono ufficioso di chi si rovina al lotto e della nazionale di calcio dell'Uruguay. 

L'Uruguay è un piccolo Paese con un record calcistico impressionante: schiacciato tra Brasile e Argentina, ha vinto più Coppe America di entrambi. In effetti, ha vinto più Coppe America di qualsiasi altro Paese. È stata la prima nazione a organizzare una Coppa del Mondo (1930) e a vincerla; nelle due edizioni successive - vinte dall'Italia - non partecipò nemmeno. Si ripresentò nel 1950, al primo mondiale disputato in Brasile: e proprio contro il Brasile si trovò a disputare l'ultima partita, decisiva per aggiudicarsi il torneo. Al Maracanà, figuratevi.

Non era una finalissima vera e propria perché, per la prima e fin qui unica volta nella storia della FIFA, la fase finale del torneo era un girone all'italiana con quattro squadre: ma le due europee qualificatesi, Spagna e Svezia, si erano dimostrate molto inferiori al gioco delle sudamericane. Il Brasile, in particolare, aveva infierito su entrambe: 7-1 contro la Spagna, 6-1 contro la Svezia. L'Uruguay aveva più modestamente superato la Svezia per 3 reti a 2, e contro la Spagna aveva addirittura pareggiato. Dunque quella sera al Brasile bastava un pareggio. Già, ma voi avreste mai scommesso su un pareggio del Brasile, al Maracanà appena costruito, davanti a duecentomila spettatori paganti, nella finale di Coppa del Mondo?

Era stato un mondiale stranissimo, un difficile tentativo di recuperare la normalità dopo la lunga interruzione dovuta alla guerra mondiale. Su 16 squadre qualificate, solo 13 si erano presentate. L'India era stata squalificata perché si faceva un punto d'onore di giocare a piedi nudi. La Scozia non era venuta perché non sopportava l'idea di non essere testa di serie come l'Inghilterra. L'Inghilterra non aveva molta esperienza del gioco oltremanica, e si ritrovò sbigottita a perdere per uno a zero contro gli Stati Uniti d'America. L'Italia - detentrice del titolo, conquistato dodici anni prima in camicia nera - si era presentata stremata da un viaggio di tre settimane in transatlantico. Le altre squadre avevano preferito prendere l'aereo, ma la federazione italiano aveva appena perso gran parte dei titolari nel disastro di Superga, e non se la sentiva di rischiare. Il transatlantico si era rivelato un pessimo ambiente per un ritiro: tutti i palloni dopo qualche giorno erano finiti nell'oceano. Inseriti in un girone a tre con Svezia e Paraguay, perdemmo con la prima che pareggiò col secondo, e a quel punto eravamo già fuori: vincemmo comunque col Paraguay ed eravamo già pronti a re-imbarcarci.

A quel punto non restava che tifare Uruguay, una delle nazioni più italiane del mondo. Italiani erano i cognomi dei titolari più titolati: Ghiggia, Schiaffino. Entrambi avrebbero qualche anno più tardi indossato la maglia della nostra nazionale. Il capitano, Obdulio Varela, prima della partita invoca addirittura un santo italiano, Cono da Diano. Promette, in cambio della vittoria, di compiere un pellegrinaggio a piedi da Montevideo al santuario di San Cono a Florida, ridente cittadina dell'Uruguay. Ma perché proprio San Cono?

La cappella di San Cono a Florida (Uruguay)
Cono Indelli nacque a Diano (in seguito conosciuta come Teggiano, provincia di Salerno) alla fine del dodicesimo secolo, e scappò appena poté in un monastero benedettino a Montesano della Marcellana. Lì visse una vita breve, santa e, per i nostri parametri, noiosissima, ravvivata da qualche saltuario evento miracoloso: come quella volta che vennero a trovarlo i genitori e lui dimostrò l'amore che riservava loro nascondendosi in un forno acceso. Quando se ne andarono ne saltò fuori incolume: miracolo! Pur di non dire ciao papà, ciao mamma.

Del resto il forno era il suo habitat, ci entrava dentro per cucinare; col tempo aveva magari sviluppato una certa resistenza. È anche vero che morì giovane: e che a un anno dal decesso ancora non avevano deciso dove seppellirlo. Ne reclamavano le spoglie ancora incorrotte sia Diano che Padula - quest'ultimo centro non so a che titolo -  finché non si decise di tirare a sorte, abbandonandole a metà strada su un carretto legato a due buoi. I due buoi presero di buona lena la strada per Diano e si fermarono solo davanti alla chiesa del paese. Vince Diano, perde Padula (continua sul Post...)

1 commento:

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