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lunedì 12 luglio 2010

Dinasty

Non so voi, ma io mi sarei anche stancato di parlare sempre solo di Berlusconi.
E Berlusconi qui e Berlusconi là, e Berlusconi Berlusconi Berlusconi.
Come se in Italia ci fosse solo lui, come se ci fosse un solo Berlusconi.
Mentre invece
ce ne sono altri cinque.
Ho una teoria #31, è sull'Unità.it, e si commenta lì.

Ci sono cascato un'altra volta. Domenica scorsa mi ero inventato un Berlusconi rinunciatario, disposto a una ritirata strategica sul caso Brancher. La mia, più che un'analisi, era una fantasia proibita, destinata a infrangersi alle luci dell'alba di lunedì. Berlusconi non molla mai, al limite manda al macello i suoi uomini. E questo ci porta a un altro problema. Se Berlusconi non riesce a darsi un limite, nessun altro ormai è in grado di imporglielo. Con un po' di tempo, e un bombardamento mediatico adeguato, SB può venire a capo di qualsiasi avversario o arbitro. Salirà al Quirinale, riscriverà la Costituzione: non ha più limiti, se non quelli che sono imposti a ciascuno di noi dalla natura. In effetti, SB non è più nel fiore degli anni. Questo in teoria dovrebbe provocare convulsioni ai vertici del suo partito, là dove sarebbe più naturale immaginare una lotta tra aspiranti papabili.

Ma come ben sanno le farfalle Fini e Casini, chi si avvicina troppo al ruolo di probabile successore è destinato a bruciarsi le ali. Berlusconi dal canto suo sostiene che grazie ai prodigi di Scapagnini arriverà fino ai 120 anni, o giù di lì: un modo per tranquillizzare i seguaci, che se non fossero abbagliati dall'astro di Arcore non faticherebbero a rendersi conto che dopo di lui c'è il diluvio. Estromesso Fini, chi resta? Solo figure di terzo piano, splendenti di luce riflessa, senza un grano del carisma di SB. Tremonti può piacere a qualche padroncino del nord, ma tagli o tasse lo renderebbero subito impopolare. Al Vaticano piace Casini, ma si è già visto quanto poco valga senza i voti di Berlusconi. Insomma, a tutt'oggi il dopo-Berlusconi è un salto del vuoto. Eppure non si tratta di un'ipotesi così remota. Presto o tardi SB non ci sarà più. Chi ne prenderà il posto? Indovinate un po', ho una teoria (e c'è da sperare che sia sballata come al solito).

Per rispondere alla domanda dobbiamo allargare il quadro. Berlusconi non ci lascia soltanto un'Italia impoverita e ipnotizzata, in mano a una classe dirigente mediocre. Berlusconi ci lascia tutto questo, ma anche un'azienda fiorente, salvata più volte da debiti e processi: il gruppo Mediaset. Forse la chiave di tutto è lì. Perché se invece di guardare la Repubblica Italiana osserviamo Canale5, Mondadori, Publitalia, il Milan... ci rendiamo conto che l'invincibile SB, così restio a mettersi da parte quando si tratta degli interessi nazionali, in realtà dagli affari che più gli stanno a cuore si è ritirato da un pezzo: consapevole, forse, di non avere più la lucidità e la spinta dei suoi anni ruggenti. Quindi Berlusconi sa cedere il potere, quando vuole. E il più delle volte preferisce cederlo ai figli. Perché non dovrebbe succedere la stessa cosa anche in politica?

Berlusconi potrebbe essere ricordato, tra un secolo, come il fondatore di una dinastia. In effetti il culto della personalità su cui è fondato il suo partito ha una sola logica conseguenza: la stessa della Corea del Nord, della Siria o della Repubblica democratica del Congo. Le smentite dei figli contano poco: anche SB negava di voler entrare in politica fino al '94. Il fatto è che l'impero Mediaset non può prosperare senza legislatori e giudici benevolenti, e senza il controllo indiretto del concorrente di Stato. Mediaset cominciò a colonizzare la politica ben prima del '94. È un organismo che sopravviverà a Berlusconi, e lotterà per non cedere i privilegi che ha raggiunto e che sono necessari alla sua sopravvivenza. L'eventuale successore di Berlusconi, insomma, non va cercato nelle opache adunate dei notabili di partito, ma nei consigli d'amministrazione, dove siedono i suoi delfini. Sono giovani, competenti, di bell'aspetto. Ma soprattutto hanno quel cognome che fa tutta la differenza.

L'ipotesi dinastica porta alcune complicazioni. Silvio è uno solo, i figli sono tanti. Alcuni di loro non li conosciamo ancora bene, anche se la stampa ha cercato per quanto possibile di metterli sotto i riflettori, esagerando contrasti che forse non sono nemmeno esistiti. È possibile che essi abbiano piani diversi? In parole povere: potrebbe, all'indomani da un ritiro di SB dalle scene, scoppiare una lotta di successione? Come i soldati inglesi, reduci da cent'anni di guerra in Francia, una volta tornati nella loro isola non trovarono di meglio che organizzare quella faida intestina conosciuta come Guerra delle Due Rose, anche noi italiani, alla scomparsa di SB, dovremo trovare nuovi idoli da appoggiare o da sputacchiare. Gli eredi di Berlusconi appaiono piuttosto adatti alla bisogna. Ognuno di loro sembra incarnare un modello diverso di berlusconità. Non ci resta che scegliere il più adatto alle nostre esigenze. Vediamo.

Maria Elvira, detta Marina
Nata nel 1966, è già succeduta al padre alla presidenza di Fininvest. Se gli subentrasse anche a Palazzo Chigi, entrerebbe nella Storia come prima donna a capo di un governo in Italia (sarebbe anche ora). Si tratta tuttavia di una scelta che lascerebbe freddi molti berlusconiani, e non per una questione di genere. Il fatto è che Marina è il volto che la famiglia ha usato quando si trattava di annunciare notizie impopolari, in primis il ridimensionamento del parco giocatori del Milan. In realtà Marina non è responsabile della cessione di Kakà: ha solo osato dichiarare che “le societa' di calcio non si possono sottrarre alle regole della buona gestione, puntando all'equilibrio costi-ricavi”. Parole di buon senso che però suonano rivoluzionarie in Italia: la Storia del calcio italiano è fatta di squadre foraggiate dai capitani d'industria, incuranti di qualsiasi equilibrio costi-ricavi... compresa quella messa insieme da papà. Se a Silvio succedesse Marina, sarebbe come se alle favole sgargianti degli anni Ottanta subentrasse il principio di realtà, il pareggio del bilancio, l'austerità. Forse, più che Palazzo Chigi, il suo destino è il dicastero dell'Economia.

Pier Silvio
Nato nel 1969, Pier Silvio sembra il naturale successore del padre. A ben vedere già nell'opuscolo distribuito in occasione delle elezioni del 2001 la sua stringatissima biografia virava nella leggenda: (“dopo un terribile incidente stradale alle Bermuda si è ricostruito con lo sport uno straordinario fisico da atleta”). Varcata la soglia dei quarant'anni, PSB sembra incarnare tutto quello che SB non riesce più a essere: un imprenditore di successo, di bell'aspetto, felicemente accompagnato (ma non sposato – del resto i Berlusconi di seconda generazione sembrano allergici al matrimonio). Cosa gli manca per diventare il nuovo sposo mistico dell'Italia? Forse quei piccoli grandi difetti che umanizzano il padre. Certo, non gli si può chiedere di mettersi il cerone o di frequentare donnine allegre. Ma se ogni tanto si facesse scappare qualche barzelletta idiota, ecco, probabilmente l'Italia sarebbe sua. Anche se noi non lo voteremmo, certo. Più facilmente opteremmo per...

Barbara (1984)
Quello di una Barbara antiberlusconiana è un mito (un po' come quello di Veronica Lario che non votava per il marito). Però la politica si fa anche coi miti, specie qui da noi. L'unico indizio appurato è che Barbara non ha dato ai suoi figli i nomi che piacerebbero a Silvio: il che dimostrerebbe un certo anelito all'indipendenza. In fondo, crescendo in una scuola steineriana, deve aver guardato pochissima tv, il che la rende meno berlusconiana di tutti noi. Con un po' di buona volontà possiamo anche immaginare che il suo desiderio di lavorare in Mondadori sia un'implicita critica del modo in cui la sorellastra Marina gestisce il braccio culturale dell'impero. Ci vuole comunque un grande sforzo di fantasia per immaginare la giovane Barbara come una leader dell'opposizione. Ma noi di sinistra siamo capaci di qualsiasi sforzo: se a un certo punto Veltroni voleva arruolare sua madre... e in fondo, se abbiamo creduto in Veltroni...

Eleonora (1986)
Dei cinque eredi è finora quella rimasta meno sotto i riflettori. Quel poco che si sa di lei fa ben sperare: si è appena laureata negli USA, il che significa che (1) ha studiato; (2) ha viaggiato. Forse l'Italia non ha bisogno di un Berlusconi, ma dovendo conviverci, ha assolutamente bisogno di un Berlusconi che parli un inglese non ridicolo. In più, è opinione diffusa che sia impossibile restare berlusconiani dopo un soggiorno di appena qualche mese all'estero. Ma Eleonora potrebbe anche diventare una specie di ambasciatrice della berlusconità nel mondo civile, una Ranja di Giordania de noantri. Potrebbe tornarci molto utile. 

Luigi (1988)
Il tratto distintivo dell'ultimogenito sembra essere una profonda religiosità: non si tratta di una novità in famiglia, ma potrebbe assumere una particolare importanza nel momento in cui il Vaticano rinunciasse a puntare su Casini e al miraggio di una nuova DC che non decolla mai. A quel punto non resterebbe ai porporati che appoggiare il più pio tra i delfini di Silvio, cercando di arruolarlo alle cause che più stanno a cuore alla curia (fondi alle scuole private, antiabortisti nei consultori, no a qualsiasi patto civile, blindatura dell'otto per mille, eccetera).

Ecco qui cinque delfini, cinque probabili protagonisti della politica italiana. Non resta che scegliere. Sono pochi? Sempre meglio di uno solo. E poi si tratta di semplicemente di aspettare la terza generazione: per ora i nipoti sono sei, ma aumenteranno... http://leonardo.blogspot.com

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