2 gennaio: San Gregorio di Nazianzo (329-390), patriarca riluttante.
Mosaico alla Martorana di Palermo, Di Jastrow - Opera propria, CC BY 2.5. |
Il secondo giorno di gennaio ci ripropone uno degli interrogativi più enigmatici della nostra infanzia, forse il solo che presto o tardi non ha ricevuto alcuna risposta, ovvero: se l'arcivescovo di Costantinopoli si disarcivescovocostantinopolizzasse, vi disarcivescovocostantinopolizzereste voi?
Voi come rispondevate? Sì, mi disarcivescovocostantinopolizzerei subito, ci mancherebbe altro... o piuttosto: no, dovrebbero venire a disarcivescovocostantinopolizzarmi con la forza. Magari era un test sul temperamento, va' a sapere. Come molti scioglilingua, non siamo in grado di risalire all'autore. Riteniamo che non debba essere molto antico, perché a differenza di tanti altri – forse di tutti gli altri – la filastrocca non si basa su cacofonie o omofonie di origine dialettale. In effetti la sua peculiarità è proprio che non contiene né cacofonie (nessuna sillaba ripetuta) né omofonie (nessun suono che possa avere due significati, e pertanto si possa equivocare). Potete verificare facilmente quanto questi siano gli ingredienti di base di ogni scioglilingua popolare, tranne appunto quello dell'arcivescovo, che rientra in una categoria tutta sua: un gioco su due fenomeni linguistici più tipici dell'italiano scritto che di quello colloquiale o dialettale. Il primo fenomeno sono le parole sdrucciole (cioè con l'accento sulla terzultima), che non sono poi così infrequenti, ma conferiscono un tono particolarmente aulico quando sono pescate da un lessico specifico, in questo caso storico: "arcivescovo" e "Costantinopoli". L'altro fenomeno è il famigerato periodo ipotetico di secondo tipo, quello che ci costringe a flettere i verbi al congiuntivo imperfetto ("disarcivescovocostantinopolizzasse" e al condizionale presente "disarcivescovocostantinopolizzereste"), una regola che non interiorizziamo a sufficienza, a giudicare non solo dalla quantità di errori che commettiamo, ma dall'imbarazzo con cui li gestiamo. Ci sarebbe anche un terzo fenomeno, ovvero quello che ci consente di inventare nuove parole componendo parole più brevi, salvo che non è veramente un fenomeno tipico dell'italiano, quanto ad esempio del tedesco; per cui non mi stupirei se la filastrocca provenisse da un ambito germanofono (ma per ora non l'ho trovata) o da un ambiente liminare in cui la lingua tedesca poteva ispirare parodie (il Lombardoveneto?)
L'enigma non riguarda soltanto l'origine dello scioglilingua, ma si estende anche al suo contenuto: chi è l'arcivescovo disarcivescovocostantinopolizzato, e per quale motivo avrebbe dovuto disarcivescovocostantinopolizzarsi? La Storia ci consegna più di un prelato che avrebbe potuto ispirare l'autore: uno dei più celebri è senz'altro Giovanni Crisostomo, che fu disarcivescovocostantinopolizzato a forza dall'imperatore Teodosio II. Ma potrebbe anche trattarsi di Gregorio Nazianzo, che si disarcivescovocostantinopolizzò spontaneamente, appena qualcuno gliene fornì un pretesto. Da qui in poi lo chiamerò Greg, come nei miei vecchi appunti di quando frequentavo Storia del Cristianesimo (a dire il vero lo chiamavo Greg Nazi, per distinguerlo da Greg Nissa, Greg Magno e Greg Tours, ma non vorrei terrorizzare l'algoritmo).
Dando un'occhiata alla famiglia, Greg doveva diventare santo per forza. Santo il papà (Gregorio il Vecchio), santa la mamma (che si chiamava Nonna), santa la sorella Gorgonia, santo il fratello Cesario, santo il migliore amico Basilio che si festeggia anche lui il 2 gennaio, santo persino il fratello del migliore amico, Gregorio di Nissa, insomma il Nazianzeno non aveva scelta: che figura ci avrebbe fatto con amici e parenti? Ovviamente sto barando: tutta questa caterva di santi cappadoci sul calendario c'è arrivata soprattutto grazie alle orazioni funebri di Greg, che di tutti era il più bravo con le parole e ci avrebbe convinto anche a canonizzare il cane, se avesse voluto. Ma rimane la sensazione che si trovasse un po' a disagio col suo destino di santità, in quel turbolento quarto secolo in cui si conquistava soprattutto amministrando diocesi e difendendo l'ortodossia nicena dagli eretici ariani. Greg, uomo di lettere, non si sentiva tagliato per nessuna delle due cose.
Quando Basilio lo implora di assumersi gli oneri di vescovo almeno nella piccola città di Sasima, Greg cede alla richiesta dell'amico ma se la squaglia subito (entrare a Sasima, controllata dagli ariani, non sarebbe stato semplice). Più dell'amico può la famiglia: a Nazianzo c'è bisogno di lui, il padre è troppo anziano, Greg gli dà una mano ma alla sua morte (374) si ritira nel monastero di Santa Tecla, forse per evitare che a qualcuno venga in mente di offrire al figlio l'incarico del padre. In questo modo però si ritrova libero da grossi incarichi e incapace di dire di no quando cinque anni più tardi Basilio gli chiede di sedere sulla cattedra più scomoda di tutte, quella di Costantinopoli. In effetti nella capitale gli ariani sono la maggioranza, e anche se il nuovo imperatore Teodosio si è schierato dalla parte dei cristiani ortodossi, salire sulla cattedra scortato dalle guardie imperiali è oggettivamente rischioso.
D'altro canto, dire di no a Basilio sarebbe come tradire la Trinità, e quindi il raffinato scrittore si ritrova in prima linea contro gli ariani, che non piacciono più all'imperatore ma in compenso hanno il polso del popolo. Contro di loro, Gregorio impugna tutta la sua eloquenza in un ciclo di omelie che sono considerate il suo capolavoro – anche se il brano per cui in assoluto è più citato non l'ha scritto lui, ma il suo collega e amico Gregorio di Nissa. In un modo o nell'altro riesce a conservare la cattedra fino al concilio ecumenico del 381: la sua intenzione era approfittare del concilio per sottoporre la sua nomina all'assemblea dei vescovi, e invece si ritrova a sorpresa a dirigerne i lavori perché l'unico prelato che lo sopravanza in prestigio, l'arcivescovo di Antiochia, nel frattempo è morto. Bisogna eleggerne un altro, il che richiede grandi doti di mediazione e forse Greg non le ha, o non vuole più averle, insomma quando i rappresentanti di una fazione avversa mettono in dubbio la legittimità della sua carica, visto che si era arcivescovocostantinopolizzato quando era ancora formalmente vescovo di Sasima, invece di ridergli in faccia (a Sasima non ci era proprio mai entrato), scrive una grossa tirata contro le divisioni della Chiesa e si disarcivescovocostantinopolizza seduta stante. Aveva da poco passato la cinquantina: si ritirò a Nazianzo, dove finalmente lo lasciarono studiare e scrivere in pace. Morì sei anni più tardi, disarcivescovocostantinopolizzato e felice (questo pezzo è stato scritto senza copia-incolla).
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