(Questo pezzo è apparso sul Manifesto del 1/2/2025). Al momento non è così facile indovinare come cambierà la scuola italiana nei prossimi anni. Quel che sembra di capire è che Valditara vorrebbe passare sia per un restauratore sia per un riformatore; ne sapremo certamente di più quando finalmente le nuove Indicazioni Nazionali saranno pubblicate. In effetti, tutto quello di cui si è discusso nelle ultime settimane (il ritorno del latino, delle poesie a memoria ecc.), non è che un'anticipazione, una serie di parole d'ordine gettate ai giornalisti per saggiare le reazioni dell'opinione pubblica. Non è certo un caso che a tener banco sia stato il latino. Che sia una "palestra di logica", come il ministro ha affermato, è discutibile e discusso; invece è facilmente dimostrabile che sia un argomento su cui amiamo tutti litigare, su media e social. I litigi provocano discussioni, le discussioni aiutano a mantenere la visibilità di un ministro che si trova in una posizione difficile (come tanti suoi predecessori): deve dare l'impressione di voler dare alla scuola una scossa salutare, e deve farlo a costo zero.
Purtroppo nessun giornalista ha avuto l'indelicatezza di chiedere quanto il governo avrebbe intenzione di stanziare per l'assunzione di nuovi insegnanti di latino alla scuola secondaria di primo grado. Il sospetto è che anche stavolta una massiccia discussione sulla centralità della cultura classica genererà un topolino: due o tre ore pomeridiane alla settimana, opzionali, magari a spese dei genitori. Quanto basta per creare classi di serie A e di serie B: non abbastanza per affrontare con metodo l'apprendimento di una lingua che poi al liceo si ricomincerà inesorabilmente da zero. Nel frattempo, però, ne abbiamo discusso: e discutendone, abbiamo dato la sensazione che il latino sia tornato di attualità.
Un "latino alle medie" del genere, a dire il vero, non è molto diverso da quello che tante scuole secondarie di primo grado includono già nella loro offerta formativa. Non si tratta nemmeno dell'unica proposta sbandierata ai giornalisti come una novità, e che non lo è affatto: c'è quasi da ammirare l'astuzia del ministro, che avvertendoci che d'ora in poi a scuola si studieranno le poesie a memoria, lascia intendere ai giornalisti che a un certo punto avessimo smesso. No, non abbiamo mai smesso, ma da qui in poi sembrerà che le facciamo studiare perché ce lo ha chiesto il ministro, ed ecco un semplice esempio di come si può passare per riformatori a costo zero. Tutti i poeti italiani citati dal ministro (Saba, Govoni, Pascoli, Gozzano, Penna), non sono in effetti mai spariti dalle antologie scolastiche: aprirle per credere. Anche Stephen King, spacciato come una novità, è in effetti una vecchia conoscenza. Come sempre, chi crede di innovare la scuola arrivando da fuori ha in mente la scuola che ha frequentato lui: magari quella in cui "Verne e Stevenson" non erano ancora ammessi – e quindi si leggevano febbrilmente sotto il banco. Laddove oggi sono testi fin troppo antologizzati, e sempre più distanti dalla sensibilità dei giovani lettori – sarebbe davvero un triste paradosso se L'isola del tesoro diventasse una lettura obbligatoria, ma ne parleremo solo se succederà. Nel frattempo annotiamo un dettaglio rivelatore: in molti casi le novità ventilate dal ministro Valditara sono state presentate dai giornalisti come "nuovi programmi", o "riforma dei programmi". Un termine, "programmi", che segnala la scarsa dimestichezza con la scuola di chi lo usa: è da più di trent'anni che i programmi a scuola non ci sono più. Al loro posto, appunto, ci sono le "indicazioni nazionali": ma questa difficoltà ad accettare il termine non è un semplice errore, bensì l'indizio di una resistenza culturale che la destra di governo condivide con altri settori della pubblica opinione. Le indicazioni nazionali, in effetti, non si preoccupano di stabilire cosa si debba studiare, ma mettono nero su bianco le competenze che lo studente dovrebbe maturare anno per anno. Questo è vero soprattutto per l'insegnamento dell'italiano: le indicazioni nazionali non contengono nessun nome di autore, ma affermazioni del tipo "Identificare attraverso l'ascolto attivo e finalizzato vari tipi di testo e il loro scopo", ecc.
Se dobbiamo giudicare l'approccio della commissione ministeriale da una serie di anticipazioni consegnate ai giornalisti (e fin qui non abbiamo alternative), l'impressione è che si tratti di una riscossa del contenutismo ai danni della didattica delle competenze. Il ministro crede molto in determinati contenuti – la Storia romana innanzitutto, alla quale ha dedicato lui stesso qualche libro – ed è evidentemente favorevole all'istituzione di un canone ufficiale di autori da leggere a scuola, qualcosa che non esiste a memoria di professore di ruolo. In un certo senso è la fine di un'ipocrisia, perché appunto, tutti gli autori nominati sopra a scuola si sono sempre studiati; in mancanza di disposizioni ministeriali, erano i manuali scolastici a perpetuare con una certa inerzia un canone che i docenti e studenti, per comodità, continuano a chiamare "programma". Il canone letterario scolastico attualmente è il risultato di un inconsapevole patteggiamento tra insegnanti, studenti e genitori, intorno a testi che tutti ci aspettiamo di dover leggere a scuola (Omero in prima media, Dante in seconda, Manzoni in terza...) anche se le Indicazioni in effetti non li indicano. Gli insegnanti possono anche fare tutt'altro, ma nei rari casi in cui succede capita che incorrano nelle proteste di genitori e colleghi. Certo, l'idea che spetti da qui in poi a un ente governativo stabilire quali libri si leggono a scuola e quali no ha un che di inquietante: ma va incontro alla concezione popolare che in un canone letterario scolastico non ha mai smesso di credere – e forse ne ha bisogno. In ogni caso, ribadire la centralità di Pascoli e Montale fa fine e non costa davvero nulla: non bisogna nemmeno stampare nuovi libri, perché in quelli di adesso Pascoli e Montale ci sono eccome.
Quando ormai gli echi della discussione si erano spenti, in occasione della Giornata mondiale della scrittura a mano, lo stesso ministro ci ha informato che da qui in poi gli studenti ricominceranno a usare il diario cartaceo. Qualche lettore ne avrà dedotto che avessero smesso di usarlo... ebbene, indovinate: no. Forse il ministro non lo sa. O forse ci conosce fin troppo bene.
guarda, io non so dove insegni tu o se è una cosa solo della mia zona... ma ATTUALMENTE alle elementari NON SI STUDIANO PIU' poesie a memoria! Cioè, non è che sono vietate, ma gli insegnanti hanno smesso di assegnarle... perché vietare una cosa, quando puoi lasciarla andare semplicemente in disuso?
RispondiEliminaNon si fa più una riga di analisi grammaticale, se non a sommi capi (del tipo questi sono i nomi, questi gli aggettivi, gli avverbi ecc) quando ai miei tempi, dal 93 al 98 (ok, sempre millennio scorso, ma non frequentavo certo ai tempi di Gentile...) in V abbiamo fatto perfino l'analisi del periodo! Quadernoni su quadernoni di analisi, interi pomeriggi ad analizzare parole e frasi... tant'è che in I Media bisogna ricominciare (e spesso cominciare da zero...) da accenti e apostrofi, insomma le basi!
Ma che hanno fatto per 5 anni??? Te lo dico io: progetti e progettini, ogni settimana c'è una ricorrenza, dal "pi greco day" (alle elementari il pi greco! Manco lo hanno studiato, ma lo festeggiano...) alla "giornata della memoria" (come fai a spiegare che cos'è se da 30 anni ormai il programma di storia si ferma alla caduta dell'impero romano?), "il giorno dell'albero"... tutte scuse buone per saltare la normale attività didattica! Poi però non sanno le tabelline... e alle medie non possono fare il minimo comune multiplo... però hanno festeggiato il "pi greco day"
E i libri sono ridotti all'osso e dal lessico iper-semplificato: il libro di III media di quest'anno (che in teoria è lo stesso su cui ho studiato io nel 2002) per fare un esempio riporta "la disfatta ( = sconfitta) di Caporetto"... capito? In Terza Media devono spiegare cosa significa "disfatta", "abdicare" e tanti altri termini che uno darebbe per scontati...
Sul diario: con l'adozione dei diari elettronici, gli alunni hanno smesso di usare i vecchi cartacei, tanto ormai vanno a casa e leggono i compiti da lì... ma in realtà non li guardano nemmeno! Il pomeriggio seguo un ragazzo delle medie e devo essere IO a dirgli cosa portare da studiare, visto che lui "si culla" del mezzo tecnologico!
Inoltre stiamo (da professore di storia e filosofia sono colpevole anch'io) crescendo una generazione nella minorità: ai miei tempi qualche volta capitava che "non avevo voglia di studiare", mi prendevo il mio brutto voto, ma sapevo di dover recuperare prima che i miei lo sapessero (così come qualche bigiata per evitare l'interrogazione)... erano anche modi per sviluppare la tua autonomia, per crescere! adesso basta che non vai a scuola che ai genitori arrivano 100 notifiche sul telefonino... a 17-18 anni sei ancora guardato a vista come un bambino dell'asilo! Ma si può?
E secondo te tutto questo andazzo è cosa buona e giusta? Ci si lamentava della scuola di una volta, eppure appena hanno tolto tutto quel "nozionismo fine a se stesso", nel giro di un paio di generazioni (appena i vecchi insegnanti che in quel periodo si erano formati si sono ritirati) siamo arrivati allo scatafascio attuale...