Questa cosa è oggettivamente notevole.
"GAZA IS THE BEST PLAYGROUND"https://t.co/ZkolqKtVud
— Zionism Observer (@receipts_lol) January 26, 2025
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(Comunque, davvero non c'è bisogno di spiegare perché non partecipate al Giorno della Memoria. Né di inventarsi pretesti o persecuzioni inesistenti, o di gridare al lupo o all'antisemitismo, che purtroppo ormai è lo stesso grido. Sappiamo perché la memoria vi dà fastidio; sappiamo perché non vorreste ricordare).
Uno dei tanti modi in cui le opere d'arte si rendono utili, è il fatto che restano a nostra disposizione, più o meno immutabili; così che ogni volta che torniamo a dare un'occhiata, possiamo misurare la nostra distanza tra loro e noi. Se ci sembra che la Gioconda sorrida in un modo diverso, siamo noi che abbiamo scoperto un nuovo significato in un sorriso. Detto questo, oggi purtroppo non ho avuto l'occasione di rivedere Schindler's List, un film che tanto so a memoria. Eppure ogni volta c'è sempre qualcosa di nuovo che attira la mia attenzione. Malgrado l'industria culturale si sia data molto da fare dal 1993 in poi sull'argomento, Schindler continua a sembrarmi il top di gamma, per tutta una serie di motivi che magari altre volte troverò il tempo di spiegare – nel frattempo però sarò cambiato, e Schindler mi dirà cose diverse. Per ora annoto un dettaglio che mi sembra importante.
La cosa che più mi impressionò, la prima volta che lo vidi, fu una ragazzina. Non la bambina col cappotto rosso (una delle migliori dimostrazioni del geniale cinismo di Spielberg), ma la ragazza polacca o tedesca che grida "Andate via giudei" agli ebrei di Cracovia che marciano per entrare nel ghetto. In tre ore di film credo sia l'unica manifestazione di antisemitismo a non provenire da militari, gerarchi o industriali. A metà Novanta mi lasciò atterrito: una ragazza che tirava fango agli ebrei, era successo davvero? Ecco.
Probabilmente questa è la principale differenza tra il me stesso di trent'anni fa: quella bambina, oggi, non mi sorprende più. Sono cresciuto, ho assistito a tante guerre: tutte da lontano, per fortuna. Il mondo è molto diverso – per lo più abitato da persone che nel 1993 non erano ancora nate. Per certi versi è un mondo migliore (alcune statistiche perlomeno direbbero questo) ma è un mondo in cui una bambina così non mi sorprende più. Quello che per me era il resoconto cinematografico di un orrore che la mia fantasia non era riuscita a immaginare, oggi è una scena di repertorio a portata di telecomando, di clic. Una volta non lo sapevo, ma c'è gente che odia senza vergognarsene, che odia volentieri, a voce alta: e anche quando non sono bambini, non fa più una grande differenza.
Senonché passano i giorni, il 27 si avvicina, e il povero Battista questi filopalestinesi boicottanti la memoria non riesce a trovarli. Non fanno che parlare di Palestina, maledetti; non fanno che contemplare le rovine e documentare il disastro, e non ce n'è nessuno disposto a litigare sulla più sacra delle commemorazioni, il che è molto sleale da parte loro; anche perché Battista questo pezzo prima o poi deve consegnarlo. Cosicché.
Cosicché, quando arriva il 23, Battista scioglie gli indugi, siede alla scrivania e scrive un pezzo accorato per informare i tre lettori del Foglio che la Giornata della Memoria la boicotta lui. Perché anche l'antisemitismo a certi livelli è un lavoro, e quando vuoi fare un lavoro serio, devi fartelo da solo.
In questo articolo, tra le altre cose, Battista ci spiega che "Ad Amsterdam, la città di Anna Frank, hanno linciato gli ebrei strada per strada, albergo per albergo, con i taxi guidati da islamisti che coordinavano le aggressioni con le modalità del pogrom". A tutt'oggi la pagina di Wiki sui fatti di Amsterdam registra "5 hospitalized, 20–30 injured": una cifra non molto distante dalla media dei match UEFA. Viene il sospetto che se la partita non fosse caduta proprio nell'anniversario della Notte dei Cristalli – e se non avesse coinvolto tifosi israeliani – i tafferugli avrebbero ottenuto un decimo dell'attenzione internazionale che ottennero. Chiunque altro li paragonasse a un pogrom dovrebbe soltanto vergognarsi di strumentalizzare la tragedia dei pogrom per portare acqua al suo mulino, ma Battista è un editorialista italiano, ha il suo lavoro da fare. Scrive anche che "cacciano gli studenti ebrei dalle Università, da Harvard fino a Torino", una notizia che sinceramente mi era sfuggita (studenti ebrei espulsi dalle università?): a me sembrava di ricordare di una rettrice di Harvard costretta alle dimissioni perché aveva osato affermare che l'antisemitismo del coro "from the river to the sea" dipendeva dal contesto. Il che è discutibile, ma insomma, quando i sionisti dicono di voler unire la Terra Promessa dal Giordano (che è il "fiume") al Mediterraneo (che è un "mare") non saranno mica antisemiti anche loro? Dipenderà dal contesto, o no? Scrive: "Hanno boicottato una nota manifestazione canora perché tra i partecipanti c’era un’ebrea israeliana che cantava con animo straziato le vittime del pogrom di Hamas". Credo sia un riferimento all'Eurovision. Qualcuno ha boicottato l'Eurovision? Al massimo non l'avrà visto in televisione. Battista si è sentito in dovere di vederlo? Si è sentito in dovere di trovare "straziante" la canzone israeliana? Mi spiace tanto per lui, e capisco l'amarezza e persino il disgusto, ma non credo sia un buon motivo per non commemorare il 27 gennaio.
Battista insomma ha strumentalizzato la ricorrenza del Giorno della Memoria per cucinare un pezzo di bassa propaganda imbottito di fake news: cosa di cui, non fosse un editorialista italiano, si dovrebbe tanto vergognare – e dei suoi gusti musicali. I filopalestinesi no: i filopalestinesi italiani per lo più si stanno comportando, in questi giorni, con una maturità sorprendente (perlomeno sorprende me), resistendo alle tentazioni di strumentalizzare la commemorazione ed evitando sciocchi paragoni tra la Shoah e la catastrofe di Gaza, di cui stiamo soltanto cominciando a misurare l'entità. Siccome questi paragoni erano, fino all'anno scorso, una trita consuetudine, mi viene da pensare che almeno qualcuno sta crescendo e sta capendo come evitare certi tranelli; oppure le immagini che ci arrivano da Gaza sono così terribili che non c'è più bisogno di paragoni storici per commentarli: la cronaca è decisamente più dettagliata della Storia, perlomeno finché qualche giornalista in zona sopravvive.
Tutto questo dev'essere molto snervante per alcuni sionisti italiani, che per giustificare il loro boicottaggio del Giorno della Memoria non hanno trovato di meglio che lamentarsi perché sui social qualcuno insulta la Segre. Il che è senz'altro increscioso – la Segre merita rispetto in quanto reduce e testimone, al di là delle opinioni più o meno informate che esprime su altri argomenti – ma è veramente un po' poco: anche perché come ad Amsterdam, manca una riflessione quantitativa; quanta gente perde davvero tempo a scrivere brutte cose alla Segre su Facebook? Cento, duecento, mille, un milione? Farebbe una certa differenza.
Dopodiché, amen. Mi dispiace se qualche ebreo italiano non partecipa alla commemorazione del 27 gennaio, ma spero capisca che il 27 gennaio è di tutti, o meglio: interpella tutti. E non solo in quanto potenziali vittime, ma soprattutto come potenziali carnefici o complici di carnefici. Statevene pure a casa se avete paura del confronto con chi ha opinioni diverse; ma spero che non vi siate davvero convinti che a voi non possa mai succedere questa cosa, di assistere a una carneficina senza muovere un dito, o addirittura di collaborare coi carnefici. Perché vi garantisco che può capitare a tutti; e in particolare a chi meno se l'aspetta. Meditate.
La mia diffidenza ha a che vedere con l'equivoco per cui quello che chiediamo a questi prodotti 'leggeri' a tema Shoah è uno spunto per parlare di Shoah a un'età in cui rischiamo di scioccare i bambini. Servono a questo. Il problema è che forse li scambiamo per punti d'accesso all'argomento, laddove manco ci provano: La vita è bella non "spiega" la Shoah, non introduce alla Shoah (neanche Train de vie, neanche Jojo Rabbit). Sono film che rimangono nei dintorni, raccontano episodi quasi sempre inventati intorno all'argomento, cercano di non risultare troppo depressivi o disturbanti e ti danno la sensazione che hai passato un paio d'ore a ricordare la Shoah. Nel frattempo i ragazzi crescono, un 27 gennaio dopo l'altro hanno effettivamente il tempo per imparare qualcosa, per cui alla fine qualcosa passa: è più liturgia che didattica, comunque.
Di tutti questi film La vita è bella è il più pervasivo, al punto che alla fine della scuola dell'obbligo i ragazzi rischiano di averlo già visto due o tre volte, di associare per sempre la faccia grulla di Benigni all'ebraismo, che già tante offese ha patito e sopravvivrà indubbiamente anche a questa, però forse il mio fastidio parte proprio da Benigni, e dal concetto del film, che non riesco ad accettare (non da un punto di vista morale, è proprio la sospensione dell'incredulità che non mi scatta): un padre che convince un bambino che Auschwitz è un gioco a premi. Questo pone tutta una serie di problemi.
a) Non si ingannano i bambini – cioè, succede spesso, ma costruirci sopra un film è discutibile. Proporre poi questo film ai bambini è proprio un corto circuito che m'infastidisce.
b) I bambini non sono mica deficienti, cioè come fai a credere che Auschwitz sia Takeshi's Castle (se tra l'altro non hai mai visto Takeshi's Castle). Davvero quel bambino non può crederci davvero, l'unica strategia che trovo per reggere la visione è immaginare che sia lui che sta prendendo suo padre per scemo, gli regga la candela perché altrimenti suo padre non potrebbe fare più il pagliaccio, e a quel punto gli prenderebbe la depressione.
c) Questa finzione dipende tutta appunto dalla capacità di Benigni di fare il pagliaccio. Tutto il film posa sulle spalle di questo tizio che manco fosse Charlie Chaplin, cioè se chiedevano a Charlie Chaplin lui probabilmente gli avrebbe detto no, guardate, neanche io riuscirei a rendere credibile una situazione del genere, e sono il più grande pagliaccio del mondo, ma se potessi fare un film del genere l'avrei fatto, e se non l'ho fatto c'è un motivo (anche Jerry Lewis all'ultimo momento ha bloccato tutto, vi ricordo). Benigni osa dove non ha osato Jerry Lewis, e il problema è che non è nemmeno il Benigni al top della forma, cioè per gran parte del film è il Benigni al minimo sindacale che ti ride in faccia e si aspetta che ridi anche tu per simpatia.
d) L'idea del campo come concorso a premi mi sembra anacronistica, anche se capisco che in epoca di Squid Game possa ritornare interessante (e qui potremmo aprire una digressione su quanto sia disumano il concetto di concorso a premi, e in generale la gamification della realtà che proprio nei Paesi dove è più avanzata ha prodotto fiction come Battle Royale o Squid Game).
Beh alla fine forse ce l'ho fatta, ho messo per iscritto quasi tutti i problemi che ho con la Vita è bella, senza nemmeno toccare l'annoso problema dei carri armati, che quando finalmente arrivano, sono quelli americani. Ma davvero mi sembra l'ultimo dei problemi, anche gli americani qualche campo l'hanno liberato. Ne approfitto per dire che per quanto m'infastidisca La vita è bella, forse funziona meglio di altri prodotti pensati per la scuola e più nobili, come La tregua di Rosi che in teoria non ha niente che non va e in pratica non gira, non saprei dire il perché, io alla fine quando vedo che un film non gira non lo guardo più e dopo un po' mi dimentico il perché.
Non paragonerò la Shoah ad altre stragi passate, future o presenti; non emetterò un giudizio su chi pensa che basta farsi fotografare ad Auschwitz per lavar via l'antisemitismo disseminato qua e là per anni; non approfitterò per entrare in polemica con governanti che non hanno ancora del tutto rinnegato il loro Almirante (e il loro Mussolini). Come ho scritto altre volte, sono convinto che la Shoah sia un evento assolutamente eccezionale, per modalità e per dimensioni. Non sono del tutto sicuro che il modo migliore di studiarlo sia la liturgia scolastica della Giornata, per come si è evoluta in questi 24 anni, ma se c'è un evento storico che merita almeno di essere ricordato un giorno all'anno, credo che si tratti questo. E la legge è molto chiara, quindi la osservo. Anche qui sopra, per oggi eviterò di entrare in esplicita polemica con chi non accetta altri paragoni con la Shoah tranne i propri.
Poi ovviamente l'anno è fatto di altri 365 giorni (è bisestile), e da domani fino al 26 gennaio 2025 ci sarà tempo per qualsiasi altra riflessione – talvolta stimolata da studenti che di quel che succede qua fuori sentono parlare, sia a casa sia sullo smartphone, così che se pensate che io abbia mai la tentazione di incitarli a boicottaggi o lotta armata ebbene è l'esatto contrario: mi tocca smentire tante storie deformate, leggende metropolitane, savi di Sion e quant'altro. Per cui di fronte all'eterno dibattito: è ammissibile paragonare la Shoah ad altri fenomeni? La mia risposta oggi è che per stabilirlo come minimo prima dobbiamo capire cos'è stata la Shoah, percepire la sua eccezionalità: prima studiare, poi paragonare.
Questo è il modo in cui passerò il 27 gennaio al lavoro e in questo spazio. Altri hanno deciso diversamente, e ne approfitteranno per manifestare contro Israele. È una scelta che non condivido, ma non posso nemmeno fare nulla per impedirla. Con buona pace di chi in questi casi se la prende, la legge dice semplicemente che dobbiamo ricordare degli avvenimenti. Non proibisce a nessuno di istituire paragoni (anche sballati), né di manifestare per altre cause che hanno più o meno a che fare con la Shoah. Un'eventuale legge che includesse questi divieti sarebbe, temo, incostituzionale: tutti infatti hanno "diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione", articolo 21. Poi certo, magari non sarà sempre così, specie coi riformatori costituzionali che girano oggigiorno. Ma per quest'anno è andata, inutile prendersela. Specie in un giorno così importante, con tante cose più gravi da ricordare.
(Vabbe' alla fine un po' di polemica forse l'ho fatta, mi dispiace, sono umano).
Noi siamo abbastanza sicuri del fatto che chi dimentica il passato sia condannato a riviverlo. Non è solo un proverbio ripetuto da persone autorevoli: è un'osservazione riferita più volte da persone che la Storia l'hanno studiata da vicino. E siccome nel passato sono stati commessi errori orribili, scegliamo per quanto possiamo di ricordare. Però.
(Lo sapevate che c'era un però).
UGUALE |
Noi sappiamo anche che la Storia si ripete in farsa. Anche questa non è una semplice battuta di uno storico o di un economista: è un'osservazione molto sottile, che si adatta a così tanti episodi antichi e recenti. È una regola vagamente simile al principio di indeterminazione: una volta accettato che il passato va osservato (per evitare di riviverlo), occorre studiarlo, per osservarlo si inventa una disciplina – la Storia, che oltre a essere per quanto possibile una scienza dev'essere anche il più possibile popolare, un cannocchiale in un promontorio che tutti hanno il diritto/dovere di usare senza nemmeno l'esborso di una monetina – dopodiché come possiamo impedire che la Storia sia modificata dal fatto stesso che noi la studiamo, la popolarizziamo, ovvero la rendiamo più vicina al popolo fino al momento in cui il popolo non comincia a sognare di viverci dentro? Una volta sensibilizzati i sudditi dei regni ottocenteschi sul fatto che quei ruderi di campagna erano castelli di una civiltà importante ingiustamente svalutata, come impedire che gli stessi sudditi ottocenteschi si mettano a costruire palazzi con merlature ghibelline pacchiane e farlocchissime? Non puoi impedirlo, nemmeno ci provi, finché sono merlature pazienza.
Con la Shoah però.
Noi non vogliamo che la Shoah si ripeta, quindi non ci basta studiarla: cerchiamo di parlarne il più possibile. Il che è comprensibile e giusto. Abbiamo creato una liturgia, ed era inevitabile che intorno alla liturgia si formasse un'economia. Ogni anno qualche libro in più, qualche film: l'argomento ci interessa ed è giusto interessarsene, quindi continuiamo. Finché un giorno non ci accorgiamo (ma non avremmo dovuto immaginarcelo?) che c'è un sacco di gente che in quei film e quei libri crede di viverci, benché siano molto meno confortevoli dei libri in costume sul medioevo – ma forse la fantasia rifugge il comfort. E quindi eccoci qui, coi novax che sfilano con le stelle di David, persone intorno a noi che vivono tutto un loro film personale in cui stanno lottando contro il nazismo, prima o poi si aspettano che torni la pellicola a colori e almeno una sequenza in cui i volenterosi carnefici del Green Pass guarderanno in camera terrorizzati mentre il giudice di una nuova Norimberga impugnerà il martelletto.
Sembriamo abbastanza fregati. Chi dimentica il passato è condannato a riviverlo. Chi se lo ricorda invece lo trasforma in una farsa. C'è un modo di evitare questo corto circuito?
Qualche opzione forse c'è, ad esempio si può liquidare i fenomeni farseschi come esagerazioni, aberrazioni, cose che forse è inevitabile che accadano ma che con un minimo di controllo si possono evitare. Sembra buon senso – e come sempre, con gli inviti al buon senso, vale la pena esitare un attimo prima di entrare. Serve un controllo: chi controlla? Chi si metterà lì alla lavagna a dividere i riferimenti alla Shoah autorizzati da quelli aberranti? E con quali criteri?
Sembra tutto molto controriformistico – e siccome una Controriforma c'è già stata, non può che trattarsi di una farsa della medesima; tra gli aspetti farseschi vi è proprio che questa opzione di sapore tanto veterocattolico è quella adottata, in perfetta buona fede, da molti sionisti. Il loro criterio ha almeno il pregio della semplicità: a cosa è consentito paragonare la Shoah? A nient'altro. Che sia da considerare esclusivamente la tragedia del popolo ebraico. Chiunque la usi come un termine di paragone si sta impossessando per fini propagandistici di un genocidio, e va escluso dal dibattito civile in quanto antisemita.
Ora, non è che la cosa non abbia un senso. Perlomeno ci eviterebbe le manfrine di quelli che scambiano una classe con le finestre aperte per un vagone piombato. E da un punto di vista statistico lo sappiamo benissimo, che il 90% di chi tira fuori paragoni con la Shoah sta ciurlando nel manico. Ci perdiamo un 10%? Forse ne vale la pena. E allo stesso tempo non possiamo impedirci di pensare: che senso ha ricordare qualcosa che non può essere più paragonato a nulla se non a sé stesso? Chi non ricorda è condannato a ripetere, ma la Shoah potrebbe ripetersi soltanto in quanto Shoah: le uniche vittime possibili sono gli ebrei, gli unici carnefici possibili sono i nazisti. Non solo sembra tutto innaturalmente rigido, ma anche questo non ci salva dalla deriva: una volta istituita una Corte che impedisca a chiunque di paragonare la Shoah a qualsiasi cosa non riguardi gli ebrei, come impedire che concentri le sue attenzioni (già in partenza così selettive) su qualsiasi discorso riguardi gli ebrei? Come impedire che qualsiasi critica al popolo ebraico non venga presto o tardi associata alla Shoah? Nei fatti, nessuno lo sta impedendo. C'entrerà in molti casi la malizia interessata di questo o quell'osservatore; ma in generale, non è anche questo un passaggio inevitabile? È possibile ricordare la Shoah in quanto Shoah, vigilare affinché nessuno paragoni la Shoah ad altro che alla Shoah, senza rimanerne comunque ossessionati?
Sinceramente non lo so. Qualcuno ha un'idea?