La società dei praticoni
Avrete sentito dire che il Ministero vuole retribuire noi insegnanti in base al merito. Giusto, no? Mmm.
Siccome comunque soldi in più non ce ne sono, il sospetto è che si tratti di mascherare un taglio: invece di ammettere che ci hanno bloccato la paga, diranno che l'hanno aumentata ai più meritevoli, che ovviamente saranno pochi. Ma lasciamo stare. Fingiamo che a porsi il problema non sia questo ministro e questo governo. È giusto pensare di premiare il merito? Secondo me sì. Il problema è come capire quali siano gli insegnanti meritevoli.
Per molti anni si è voluto pensare che il merito c'entrasse con l'esperienza: quindi gli insegnanti maturavano (e maturano) scatti di anzianità. Più uno è anziano, più conosce il mestiere. In fondo è la naturale conseguenza di un certo modo di considerare la pedagogia in Italia. Ovvero, di non considerarla. All'università non si insegna. Poi ci si stupisce che i neolaureati non siano bravi insegnanti, per cui si organizzano corsi post-universitari propedeutici all'insegnamento in cui... non si insegna pedagogia. L'idea è che il neo-prof debba sbarcare nella classe come un alieno sulla terra, senza nulla sapere dei processi di apprendimento dei suoi studenti, e commettere nei primi anni una caterva impressionante di errori che faranno poi di lui, in seguito, con la pratica, un bravo insegnante. Se resiste. Selezione naturale. Di conseguenza, più uno resiste più uno è bravo. Il bravo maestro in Italia è il maestro praticone. Ha un senso.
Però è anche vero che l'esperienza non è tutto. Soprattutto quella che ti fai dai 55 anni in poi: per quanto l'accumuli, il tempo per metterla a frutto si assottiglia sempre più. E comunque c'è gente che arriva incompetente alla pensione, non è vero? Scommetto che ne conoscete tutti qualcuno. Quindi gli scatti di anzianità non vanno bene. Che fare? Il Ministero ci valuterà in base alle prove Invalsi.
Un test a crocette? Vabbe', meglio che niente – no, aspettate. Non somministreranno un questionario a noi. Lo somministreranno ai nostri studenti. All'inizio e alla fine dell'anno. E dalla differenza dei risultati il Ministero capirà se siamo stati bravi. Bravi a fare cosa? A truccare i risultati delle prove Invalsi, per esempio. Persino negli USA, se vincoli lo stipendio di un insegnante ai risultati dei suoi studenti, il risultato che ottieni è una quantità impressionante di insegnanti disonesti. Oddio, disonesti... voi non suggerireste una risposta a uno studente in difficoltà? Neanche se si mette a piangere? Complimenti, siete proprio tosti. Ma neanche se vi tolgono soldi dalla busta paga? Ecco, vedete.
Quindi trufferemo. Perché non dovremmo farlo? Perché siamo i buoni, gli onesti? Non sta scritto da nessuna parte. Oltre a non aver studiato pedagogia, non abbiamo nemmeno frequentato seminari di etica. Da nessuna parte prima di assumerci ci hanno chiesto se abbiamo un forte senso dello Stato e delle istituzioni. Alcuni lo avranno, altri no. Siamo insegnanti, teniamo alla pagnotta come tutti quanti. E in più c'è un altro problema.
Noi le odiamo, le prove Invalsi.
Questo odio, in parte, è giustificato. Qui ho cercato di spiegare il perché: distribuire test a pallini senza fornire le scuole di lettori ottici, significa pretendere che gli insegnanti italiani (età media 55) si trasformino per 12 ore in scanner umani. Ma ho il sospetto che ci sia di più.
Noi odiamo le prove Invalsi in quanto prove. Verifiche.
E a noi le verifiche non piacciono. Siamo convinti che non servano a nulla, con la loro finta oggettività. E infatti gli studenti bravi (quelli che noi abbiamo sempre considerato bravi) a volte le sbagliano. Allora diciamo che si sono emozionati. Invece quelli che non valgono un granché (abbiamo sempre pensato che non valessero un granché) magari le fanno bene. Avranno copiato. Da chi non si sa, visto che i più bravi han sbagliato tutto. Però è impossibile che abbiano capito qualcosa di più degli altri. Come facciamo a saperlo?
Beh, ma è ovvio, li conosciamo. È da anni che stiamo nella stessa aula, sappiamo come si vestono, con chi chiacchierano nel corridoio, cosa ci dicono dietro le spalle – tutto questo significa conoscerli bene.
E poi qualche volta li interroghiamo, e non rispondono come vogliamo. Su questo si basa la scuola italiana: sull'Interrogazione. Un insegnante “che ti conosce” ti fa certe domande e ti valuta per le risposte. È sempre andata così, e funziona bene, no?
No. Non funziona bene per niente. Ma se lo dici rischi di passare per un amico della Gelmini, uno scanner umano. Oltre a saper poco di pedagogia e di etica delle istituzioni, gli insegnanti italiani sono convinti che la valutazione sia un affare del tutto soggettivo. Solo l'insegnante “che ti conosce” può giudicarti. Test a crocette? Non funzioneranno mai. Commissario esterno? Vade retro. In realtà bisognerebbe abolirli proprio, gli esami, perché i ragazzi si emozionano e non danno il loro meglio.
Un mese fa Massimo Gramellini (via Ludik) raccontò la storia (che davvero, sembra inventata), del prof che falsificava la versione di latino agli esami, con tanto di errori commessi appositamente per gli studenti meno meritevoli. Ancor più impressionante della parabola è la reazione dei commentatori. Molti di loro esaltano il prof truffatore come esempio di buon insegnante, che premia i ragazzi perché li conosce davvero, e combatte la sua lotta segreta contro le meccaniche spietate del sistema educativo, i cosiddetti 'esami'. Sono tutti convinti che il prof distribuisse le soluzioni per combattere contro il fattore emotivo. A nessuno viene in mente un'altra semplicissima ipotesi: che quel prof avesse paura. Paura di cosa? Degli esami, anche lui.
Paura di non risultare davvero un buon maestro, malgrado l'esperienza e il rispetto che aveva accumulato. Paura di non esser riuscito a ottenere risultati concreti. E quindi costretto a falsificarli. C'è sempre un nobile motivo per farlo. L'emotività. Dobbiamo combattere l'emotività. E poi in estate fa caldo, come si può pretendere che i nostri studenti traducano Seneca col caldo? Ma io li conosco, li ho visti su Seneca in inverno, garantisco che eran bravi. Del resto gliel'ho spiegato io, che sono un bravo insegnante. Chi ha deciso che sono un bravo insegnante? Ma i miei studenti, i colleghi, i genitori, tutti ne sono convinti...
Il paradosso della scuola italiana è tutto qui: chi ci lavora non crede negli esami. Sono soltanto ostacoli. Se la Gelmini ce ne mette uno in più, faremo il possibile per aggirarlo.
Veramente, alla SSIS non si faceva altro che pedagogia.
RispondiEliminawow. e' in questo contesto completamente autoreferenziale che nascono i 'dipendenti statali'. Voglio dire, nel mio ambiente come in altri, se sei bravo ti comprano, se non sei bravo ti lasciano a casa, quindi è dura aver paura degli esami.
RispondiEliminaSe fatti seriamente andrebbero anche bene. In paesi con sistemi educativi solidi (Giappone e Corea) fanno esami nazionali per l'ammissione alle scuole d'ogni ordine e grado. I posti sono dati, chi è in testa entra, gli altri no. Alla fine la reputazione d'una scuola dipende dal successo scolastico degli studenti una volta usciti.
RispondiEliminaPosto che si riesca a non far somministrare e correggere il test da qualcuno che vi nutre un interesse (vedi sopra), perchè no?
p.s. In effetti tante cose funzionerebbero, se fatte seriamente.
C'entra poco, ma sono anni che cerco di ritrovare un'immagine molto simile a quella a commento di questo post. In quella che cerco c'è un asino che insegna a dei lupi. Qualcuno sa dove trovarla?
RispondiElimina@michele
RispondiEliminaRuolo? Terzino?
Mi spiace Luzmic, non trovo niente.
RispondiElimina@michele
RispondiEliminaRuolo? Terzino?
no, il mestiere più antico del mondo (consulente informatico)
Leggo il tuo blog da sempre. E questa è la prima volta che commento perché è la prima volta mi viene da fare questa considerazione: non ho capito come la pensi. Inoltre non capisco se davvero giustifichi un insegnante che falsifica e aggira prove e esami vari. secondo me, non bisogna aver fatto un seminario di etica per essere onesti.
RispondiEliminaCerchiamo di essere meno ipocriti, gli esami seri fanno paura a tutti, se no non avrebbero senso. Per questo ci sembrano una cosa ottima soprattutto quando li devono fare gli altri. Quando sei giovane li accetti meglio perché comunque pensi che nella vita ci saranno delle prove d'appello, quando sei anziano meno. Nel caso degli insegnanti poi c'è l'aggravante che non sarebbe un esame per fare carriera ma per evitare di avere uno stipendio di sussistenza. Ben vengano comunque se possono servire a qualcosa, ma sono pessimista, già adesso non ci sarebbe bisogno di un sistema di valutazione nazionale per allontanare quegli insegnanti che non fanno nulla e si assentano continuamente o quei dirigenti scolastici che con il loro operato sciagurato hanno fatto chiudere scuole e magari hanno denunce penali sul groppone (ma per contratto non dovevano essere valutati proprio loro in base ai risultati?). Nessuno ha mai fatto niente compreso la Gelmini, vuol dire che va bene così.
RispondiEliminaDavide no, non lo giustifico. Scusa se sono stato ambiguo.
RispondiEliminaAnche a me non è chiaro il post. Ritieni sia giusto o no usare gli Invalsi per valutare gli insegnanti?
RispondiEliminaE come faremmo ad impedire che si imbrogli? Al mio esame di maturità la palestra non conteneva tutti. 6 classi hanno fatto gli scritti nelle loro aule, sorvegliati dai loro professori (di cui 3 di matematica), che hanno suggerito a ciascuno come procedere nel compito (non hanno risolto i problemi a tutti altrimenti sarebbe stato evidente). Risultato? Voto medio 4,5 per noi, e 6,5 per loro. Con ripercussioni sul voto finale.
Oppure: un classe aveva un ragazzo bravo che prese 9 in matematica a fine anno. Il voto massimo in tutto il liceo era 8. L'anno dopo anche le altre sezioni iniziarono ad avere ragazzi bravi da 9 in matematica, ed anche in italiano e storia. L'anno successivo comparve un 10. L'anno dopo ancora ogni sezione aveva il suo 10. Oggi, dopo 15 anni, il più bravo di ogni classe prende mezza dozzina di 10. E questo a prescindere dalla sua oggettiva bravura.
Lo stesso accade con i 30 ed i 110 all'università, chiaramente correlati al Corso di Laurea o all'Ateneo.
Insomma, Invalsi o no, come si potrebbe rendere la valutazione e l'insegnamento più uniformi ed oggettivi? Risolto questo problema la valutazione dell'insegnante è cosa fatta.
Questi test invalsi non li dovrebbero correggere gli insegnanti delle classi che li svolgono. O no?
RispondiEliminaE invece li correggiamo proprio noi.
RispondiEliminaIn teoria sono quiz a pallini, dovrebbero passare sotto il lettore ottico senza nemmeno essere toccati da insegnante. Ma i lettori non ci sono, e i pallini li riempiono gli insegnanti.
Io comunque, se non è chiaro, nei test ci credo. Però andrebbero automatizzati, sennò davvero, è come appaltare l'Avis a un sindacato di vampiri. Poi non ti puoi lamentare se succhiano.
Nella mia personale (ed ormai passata) esperienza di studente liceale, ricordo perfettamente cosa voleva dire "essere simpatici" al prof.
RispondiEliminaIo facevo palesemente simpatia al prof di inglese, italiano e latino e a quello di storia dell'arte/disegno. La prof di filosofia invece su di me aveva fatto una crociata di quelle che il 6 neanche morto. Io ero al massimo da 5/6. E pure la prof di matematica non era da meno.
E all'esame di maturità, fortunatamente erano i tempi della commissione mista... mi andò di culo: i prof a cui stavo simpatico interni, le prof maledette esterne. Risultato: riuscii ad ottenere un ottimo risultato anche in filosofia (terza prova e orale).
Era di certo una buona insegnante. Ma era anche la dimostrazione vivente che i voti non vengono dati in modo oggettivo, ma sono un espressione spudoratamente soggettiva del pregiudizio dell'insegnante.
(per la cronaca, a margine: l'insegnante di scienze faceva test a crocette e distribuiva i voti in modo severamente statistico. La mediana della classe prendeva 6. Chi andava meglio o peggio, prendeva il voto di conseguenza. I miei compagni odiavano il sistema, io ero tra quelli bravi e non mi lamentavo :P almeno però passavo le risposte :D).
Insegno matematica nella scuola secondaria superiore, credo che l'utilizzo dei test per valutare alunni ed insegnanti pone molti interrogativi di non facile soluzione. Ad esempio un problema è l'impostazione, i test Invalsi e le prove simili, come l'Ocse-Pisa nelle superiori, hanno un'impostazione chiaramente diversa rispetto a come si insegna e si studia normalmente la matematica nella scuola italiana e da qui nascono le difficoltà degli studenti. Questi test più che verificare le conoscenze richiedono la risoluzione di problemi in cui occorre capacità di ragionamento, intuito e perchè no intelligenza e spesso fanno appello anche a conoscenze extrascolastiche. Cosa si misura effettivamente con questi test? Molte cose interessanti senza dubbio ma fino a che punto una prova del genere può aiutare a valutare un insegnante?
RispondiElimina@ leo rotundo:
RispondiEliminaforse sarebbe il caso di cambiare il modo in cui si studia la matematica nella scuola italiana, allora? Non mi sembra così strano che una prova richieda la soluzione di problemi oltre che verificare conoscenze teoriche.
@anonimo: Sono perfettamente d'accordo e dunque bisognerebbe prima di tutto cambiare l'impostazione dei programmi ministeriali che gli insegnanti sono tenuti a seguire anche perché in Italia vi è un esame di stato ed il valore legale del titolo di studio. Vorrei aggiungere che per una corretta valutazione di studenti ed isegnanti andrebbe affrontato seriamente il problema che ogni sistema scolastico ha davanti: come perseguire l'esigenza dell'istruzione di massa (dunque anche dei meno dotati e studiosi) con la valorizzazione delle cosiddette "eccellenze"?
RispondiEliminaQuanta retorica e quanta disinformazione! Ci sono migliaia di insegnanti seri, dediti al proprio lavoro con professionalità e senso del servizio, docenti che da anni continuano con dignità intellettuale a tenere in piedi un sistema a cui mancano mezzi e una chiara direzione nella gestione e la prospettiva dell'educazione. Qualcuno si è interrogato sulla possibile fonte delle motivazioni allo studio da parte dei giovani? Dipende proprio tutto dagli insegnanti o anche dai valori condivisi e dalle speranze di riuscita professionale? Se la colpa di tutto è l'insegnante statale qualcuno può spiegare perchè i risultati nelle scuole private con insegnanti sottoposti alle rigide regole del mercato (sic!) sono di gran lunga peggiori della scuola statale? Per favore smettetela di sparare sull'anello più debole della catena perchè proprio non lo merita! Ma poi si sa: è facile prendersela con gli operai se la fiat non vende auto ( e spostare la produzione nei paesi dell'est); discreditare gli insegnanti se gli studenti non scrivono bene in italiano (e magari affidare tutto ad un "sano" e redditizio sistema privato). O no?
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