Come forse si sarà capito, quest'anno più di altri, invocare San Remo è perfettamente inutile perché il santo in questione non esiste. Questo a dire il vero potrebbe darsi per tantissimi altri santi del calendario, ma Remo in un qualche modo esiste ancora meno di loro: non esiste neanche sotto forma di leggenda, proprio non c'è. E dire che in fondo il nome non è neanche così strano, alla Chiesa cattolica ne risultano di ben più originali: per restare a oggi 17 febbraio per esempio si festeggiano tra gli altri San Bonoso, Sant'Evermodo (quello di Ratzenburg), San Finan e San Fintan (uno scozzese l'altro irlandese), San Yu Ching-nyul, oltre che ovviamente San Mesrop d'Armenia: ma un San Remo no, in 366 giorni un Santo che si chiami Remo non compare mai. La cosa sarebbe curiosa anche se il non-Santo in questione non avesse dato il nome a un popoloso comune, a una classica del ciclismo e a un festival della canzone che magari avrebbe bisogno di patroni riconducibili alla sfera dell'esistenza.
A proposito, se San Remo non esiste, chi è il patrono di Sanremo? Ovvio: San Romolo (continua sul Post), già vescovo di Genova intorno al V secolo. “Rœmu” sarebbe infatti la contrazione dialettale del nome Romolo. Qualcosa comunque non torna: il San Rœmu venerato dai sanremaschi (che sarebbero i sanremesi insediati da più generazioni) è un eremita che riceveva il pubblico presso una grotta sopra la città, in quella che oggi è la frazione di San Romolo. Dal canto loro i genovesi riconoscono che il loro vescovo sarebbe potuto morire davvero a Villa Matutiæ, come si chiamava allora Sanremo, visto che nel X secolo organizzarono la traslazione delle reliquie vie mare (erano i tempi delle scorrerie saracene). Il santo avrebbe vissuto e officiato a Genova, ma sarebbe venuto a mancare a Sanremo durante una visita apostolica: una prassi che però nell’alto medioevo non esisteva ancora, i vescovi restavano per lo più presso la loro sede. Insomma, magari i Romoli erano due, uno vescovo a Genova e uno eremita a San Romolo frazione di Sanremo: quest’ultimo poi magari neppure si chiamava Romolo; “Remo” potrebbe anche essere la contrazione di “eremo”: non lo sapremo mai. Di sicuro c’è solo che nessun Remo è stato canonizzato – per ora – dalla Chiesa cattolica.
I sanremesi hanno preso spunto dalla situazione per tentare qualcosa che in Italia nessun altro ha provato a fare in età moderna: la secolarizzazione del nome, da San Remo a Sanremo. Ormai ce l’hanno fatta, ma non è stata così semplice…
Ancora nel 1928 la Gazzetta Ufficiale aveva stabilito che il nome ufficiale del comune fosse San Remo. Abitanti e amministratori non recepirono, tanto che dieci anni dopo l’Istituto nazionale di Statistica sollecitò un intervento diretto del prefetto. Il podestà locale oppose un fermo rifiuto: “Insistiamo che il nome venga modificato in Sanremo”. L’autorità centrale insistette ancor di più, finché il podestà non capitolò, buttando i vecchi timbri e la carta intestata col nome contratto. In realtà forse non poteva trovare un momento più adatto per perdere una battaglia: era il 30 agosto del 1940, pochi giorni dopo il giovane Italo Calvino partiva con gli avanguardisti per una gita a Mentone appena conquistata. Mussolini stava raggranellando quella manciata di morti che gli servivano per sedersi al famoso tavolo della pace.
La guerra poi prese una piega diversa, come tutti sappiamo, anche se pochi sanno che verso la fine De Gaulle aveva una mezza idea di occupare Sanremo e forse ci sarebbe riuscito, se Truman non si fosse messo in mezzo. (Chissà che grandi festival della chanson française ci siamo persi). Ancora oggi sono i wikipediani francesi, più che gli italiani, a litigare sulla toponomastica: nelle loro cartine perlopiù si legge “San Remo”, la gara ciclistica sull’Équipe si scrive “Milan – San Remo”; il festival della canzone invece non si sa come si chiama perché già tre metri a ovest di Ventimiglia non interessa più a nessuno. E gli italiani? Nel 1940 “San Remo” aveva vinto, ma proprio per questo motivo “Sanremo” poteva vantare un vago sapore di anticentralismo antifascista. Ma la verità è che gli istituti geografici continuarono a copiarsi a vicenda la grafia più diffusa (“Sanremo”), mentre istituzioni nazionali come ISTAT o anagrafe tributaria persistevano nel più legale “San Remo”. Nello Statuto del comune (2002) si legge Sanremo, ma sulla Gazzetta Ufficiale non risultano variazioni. Sui cartelli avete sempre letto Sanremo, ed è difficile che la cosa cambi a questo punto. Rimane la curiosità: perché San Remo non piaceva ai suoi abitanti? D’accordo, quel Remo forse è un Romolo, ma la cosa non è così bizzarra: anche il “Polo” che ha dato il nome a San Polo d’Enza e San Polo di Piave è in realtà una variante dialettale del solito San Paolo. Né i sanremaschi danno l’aria di essere feroci anticlericali. Allora cosa c’era che non andava in una grafia attestata fino al ‘700?
Forse la religione non c’entra, forse è una pura questione di campanile. In Italia ci sono decine di migliaia di centri abitati intitolati a nomi di santi, ma hanno tutti in comune una cosa: sono piccoli. In effetti, con meno di sessantamila abitanti, Sanremo è il più grande di tutti. La superano soltanto Sesto San Giovanni e Quartu Sant’Elena, che però prima della rivoluzione urbana del Novecento erano due piccoli centri, orbitanti rispettivamente intorno a Milano e Cagliari. Sanremo invece ha sempre fatto storia a sé, fin da quando dopo la rivolta del 1753 i genovesi vi costruirono la fortezza di Santa Tecla con l’artiglieria puntata verso il centro della città, dimostrazione evidente di una certa vocazione all’autonomia. È l’unica città italiana che cominci per “san” che poteva benissimo diventare capoluogo di provincia, anzi non si capisce bene perché ciò non sia successo. Ai tempi del regno di Sardegna, Sanremo poteva ben accettare di considerarsi un semplice comune della provincia di Nizza: quando però quest’ultima fu ceduta a Napoleone III in cambio di un po’ di sostegno nelle guerre d’indipendenza, Sanremo si ritrovò in provincia di… Porto Maurizio. Non deve essere stata facile da mandare giù.
Sanremo è sempre stato un centro più grande del suo capoluogo, anche quando nel 1923 Porto Maurizio si unì a Oneglia formando il comune di Imperia. Forse a cospirare contro la città dei fiori è stato anche quel santo inesistente, ma che come tutti i santi italiani condanna i centri omonimi a una dimensione di piccolo centro: fenomeno curioso, che non ha paralleli in altri Paesi di cultura cattolica (in Spagna c’è San Sebastian, in Francia Saint Étienne) ortodossa (San Pietroburgo) e perfino protestante (San Francisco). Come se quel “San” ci impedisse di pensare a Sanremo come a una città medio-grande di respiro europeo, e la condannasse a quel destino di strapaese che maldigeriva già nel ventennio, con le sue sagre e i suoi festival, all’ombra dei casermoni della speculazione edilizia. Spero sempre che non ci abiti più nessuno, nemmeno d’estate, e che siano pronti per essere buttati giù: ma d’altronde ogni anno in febbraio spero anche che nessuno faccia la fila per entrare al teatro Ariston, e ogni anno in febbraio mi sbaglio.