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martedì 18 dicembre 2001

Generazione Santamargherita
Interrompo il feuilleton noglobbal (è così che possiamo anche chiamarlo, Enzo) per una comunicazione importante.
Elisa ha chiamato dall’Africa: resterà altri quattro mesi, non si sa quanto volentieri. Ma nel frattempo Leandro, ragazzo previdente, si è già trovato un’altra sistemazione. E così ci troviamo di nuovo una camera libera in casa, per quattro mesi. Chi vuole provare l’ebbrezza di vivere un poco con noi?

Siamo persone simpatiche. Non siamo quel tipo di gente che traccia confini sin dentro al frigo, qui ci stanno le mie carote, lì il tuo gorgonzola. Non ci è mai successo di scrivere le nostre iniziali su una latta di birra, triste abitudine che ho visto in altri appartamenti. Scusami, avevo sete e te l’ho bevuta, mo’ te la ricompro (“Se me la ricompri finisci che te la ribevi, prendine un cartone e dividiamo”).

Non siamo maniaci della pulizia. Per pulire, puliamo, ma in maniera molto discreta, tant’è che molti neanche se ne accorgono: più discreti di così…
Siamo simpatici/e e carini/e, sempre alle prese con storie che ci insoddisfano. Eppure siamo persone alla buona. Cioè, di recente la Fra’ ha menato un tipo all’Irish che ci provava, ma aveva ragione lei, erano due giorni che lo prevenivaa. “Guarda che se continui così ti arriva una capocciata sul naso”… finché, l'altra sera…

“Insomma, tu l’hai capito quali sono i miei sentimenti per te, no?”
“Sì, però, insomma, tu l’hai capito che non sei il mio tipo, no…?”
“Ah”.
"È così”.
“Ma almeno una scopata con me te la faresti, dai… Stasera ho anche la casa libera…”
–> !TUNC! <–
Capocciata nel naso, come da copione. S’è anche messo a piangere, poveretto.

Di solito comunque siamo persone alla buona.
E poi facciamo discussioni interessanti: anche se con Leandro se ne va il teologo, resta una scienziata delle culture… e poi ci sono io, coi miei tre argomenti che, alternandosi nel corso di una settimana, creano una piacevole sensazione di varietà.

(I miei tre argomenti:
1. Forse dovrei cambiare lavoro
2. Forse dovrei cambiare casa
3. Le donne mi trattano male).

Mi rendo conto che non siamo proprio quel tipo di nucleo famigliare che risulta dai rapporti del Censis. Il fatto è che noi (e chissà quanti altri come noi) al Censis non risultiamo. Il censimento del 2001 non ci ha proprio considerato.
Sì che viviamo in Centro, vista sul teatro, a due passi dal Palazzo del Comune…

Una sera è anche passato, il tipo del Censimento. È andato ad aprire Leandro, ragazzo sportivo, sudato per via delle sue dugento flessioni serali. Ma, vuoi per il fiatone, vuoi per il suo destino ramingo, non sapeva che rispondere.
"È il censimento? Lascia, faccio io”, ho detto, col tono di chi sa. Bisogna aggiungere che ero in accappatoio, a piedi nudi e gocciolante (praticamente irresistibile).

"È lei il residente?”
“Oh, no, ci mancherebbe”.
“E non c’è nessuno che risieda qui?”
“Per la verità”, ho detto io, strigliandomi i capelli, “una residente c’è”.
“Perfetto, posso parlare con lei?”
“Difficile”.
“Perché?”
“Perché è in Angola”.
“Eeeeh?”
“Angola, Africa sudoccidentale” (Leandro, ragazzo scrupoloso, stava già correndo a prendere l’atlante).
“Oddio, e quando torna?”.
“Heh… anche a me piacerebbe saperlo, guardi”.
“E quindi?”
“E quindi qui siamo in tre: residenti rispettivamente a Taranto, Firenze e Sorbara. L’Italia in miniatura, no? Non ha un modulo per noi?”
“Ma chi è il capofamiglia?”
“Euh… La più anziana è la Fra’”
“Posso parlare con lei?”
“Ma cosa vuole che sappia lei, è una ragazzina…”
“Ma come, non è la più anziana?”
“Nel senso che è più tempo che sta qui, un eternità, più di due anni. Poi ci sono io che ho sette anni in più. Poi c’è lui che ne ha sette in più di me. E fanno 14. La generazione x al completo, no? Non ha un modulo per noi?”
“Io… non so… forse è meglio che torno un’altra volta”.
“Vuole qualcosa? Ha fatto tutte queste scale senza casco né paracadute…Una birra, un maraschino…”
(Interviene Leandro: “La birra è la mia…”)
“Il maraschino, allora… o un amaretto… Fra’, ci presti l’amaretto?” ("È finito”. L’amaretto è sempre finito quando serve).
“No, no, guardate, è meglio che torno”.
“Ma mancano pochi giorni… è sicuro che c’è un modulo anche per noi, vero?”
“Adesso vediamo…”
“Mi raccomando, eh? Ci trova tutte le sere, a parte domani… anche dopodomani veramente ho un impegno… giovedì Leandro fa sciazzu e… ma in linea di massima tutte le sere”
“Va bene, va bene”.
“E le offriamo anche il maraschino”.

Glielo si leggeva in fronte: Io Qui Non Ci Torno Più (Per Quel Che Mi Pagano…).
Del resto, come biasimarlo. Un modulo per noi non c’era, nessuno ha mai pensato a stamparlo.

Più tardi ha chiamato mia madre: “Senti, è arrivato il modulo del censimento: io ti metto residente qui, eh?”
“Metti, metti”, dicevo io, lo sguardo perso nel nulla.
Pensavo già ai dieci anni che avevamo davanti. Dieci, lunghi anni di rapporti del Censis in cui serissimi sociologi ci avrebbero spiegato quanto siamo mammoni, noi che a 30 anni viviamo ancora coi genitori, quanto siamo provinciali, prevedibili, noiosi, una generazione di mentecatti, mentre gli europei, loro sì che sono forti, a 18 anni tutti fuori dai piedi (con fior di sovvenzioni statali…)

Comunque pensateci. Quattro mesi in Santa Margherita. Al riparo dalle statistiche, venite a farvi una piccola e confortevole generazione per conto vostro. Pensate che bello, tutti fratelli per qualche ora su un pianeta che non esisterà mai...
E poi la stanza è bella. Ha la vista sul teatro.

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