Le etichette sono pessime cose, e bisognerebbe evitarle finché si può.
Molte di loro nascono come dispregiativi, e poi in mancanza di meglio diventano bandiere.
Un esempio rapido: sei in giro per Roma, coi tuoi amici, un bel giorno del Seicento. Si parla d’arte, l’arte antica, l’arte moderna, le ultime tendenze, ecc.. “Per esempio, a te il Bernini piace? A me proprio per gnente, guarda”.
E tu, che magari Bernini neanche lo conosci, per cavarti d’impiccio te ne esci con la prima cosa che ti viene in mente:
“Mah… questo Bernini, per la verità… è un po’ barocco, diciamo”.
Sulle prime è solo un’offesa.
Però suona bene.
E senza volere hai dato un nome a un’artista, a un’arte e a un’epoca. Generazioni di critici e storici d’arte non riusciranno a trovare di meglio.
Passano i secoli – un paio, diciamo. Siam quasi a fine Ottocento, e il tuo direttore ti manda a un’esposizione di giovani pittori. Tu non ti aspetti niente di che: i soliti paesaggi, i soliti ritratti sognanti in punta di pennello.
Però... questi giovani qua sono pure peggio del previsto! Sono stati a Parigi? Bella roba s’impara lassù. Questi non sanno tenere il pennello in mano, sbavano i colori, non tengono i contorni, non sfumano…
“Non son mica pittori cotesti”, riferisci indispettito al direttore, “son… son macchiaioli, ecco”.
“Ch’ài detto? Non ho capito”.
“Macchiaioli. È un’offesa”.
“Però suona bene. Fa’ così, scrivi che sei stato alla mostra dei macchiaioli. Alla gente piacerà”.
E senza volere hai dato un altro nome al mondo. Ancora qualche anno e circoleranno pittori fieri di chiamarsi “macchiaioli”. Chi l’avrebbe detto mai.
Arriva il Novecento, anzi Novecentosettanta e qualcosa, ma tu hai capito l’antifona e non spari più giudizi affrettati. Quando fuori il mondo accenna a cambiare tu ti ritiri nella tua stanza londinese e metti su qualcosa di tranquillo, qualcosa di rilassante, magari i Genesis, o i King Crimson, i Pink Floyd, perché no… ma a volume basso.
Improvvisamente irrompe tuo fratello minore con un’assurda giacca chiodata (dove l’ha tirata fuori)? “Ciao stronzo! Ti faccio sentire una cosa che ho qui in cassetta, sei pronto?”
“Piano però… ho un po’ di emicrania e…”
SBRANG! Sulle prime pensi a un’esplosione in cucina: qualcuno ha lasciato aperto il gas? Poi ti rendi conto: è la cassetta di tuo fratello, sono le prove del suo nuovo complesso. Ma tuo fratello non sa suonare nulla, e infatti tutto quello che fa è gridare come un ossesso offese alla Regina, minacce al Papa e… qualcosa sul muro di Berlino… per fortuna il barbaro batterista copre tutto con un gran rullare di piatti e tamburi. Mai sentito un obbrobrio simile! Mai…
“Ti piace, stronzo?”
"Cosa posso dirti, fratellino, questa è… è merda! Spazzatura!”
“Eh? Cos’hai detto?”
“Ho detto spazzatura, ecco cos’è”.
Soltanto che l’hai detto in inglese, e in inglese suona “This is punk”.
“Però”, esclama il fratellino, “suona bene”.
E tu hai già capito che non c’è più niente da fare. Da quel momento tuo fratello suona in una punk band. Ancora qualche anno e migliaia di giovani in tutto il mondo si travestiranno da spazzatura e scriveranno sui muri Punk not dead.
Ancora un piccolo sforzo.
È l’alba di un nuovo secolo. È la sera di un sabato lunghissimo, a Genova, dove eri venuto a osservare i lavori di un importante vertice internazionale. Che alla fine hai snobbato, perché qualche isolato più in là è scoppiata una specie di guerra civile ed è durata due giorni.
Adesso stai dettando un pezzo al telefono, hai poco tempo e pochi caratteri a disposizione.
“…Eppure possiamo dire che oggi, malgrado questa repressione, è nato un nuovo soggetto politico. Un movimento di giovani, adulti, pensionati, migranti, suore, che lotta contro le aberrazioni della globalizzazione e… quanti caratteri ho ancora?”
“Hai già sforato di una riga”.
“Oddio”.
“Dai, tanto poi tagliamo noi”.
“Voi non tagliate niente che stasera non mi fido di nessuno. Allora. Un movimento che lotta contro le aberrazioni della globaliz…”
“Sforato”.
“Mph. Un movimento che lotta contro la global…”
“Sforato”.
“Un movimento che dice no alla global…”
“Dai che ormai ci siamo”-
“Un movimento… no... global…”
“Perfetto”.
“Come perfetto, rileggi per favore”.
“Un movimento No Global”.
"È ridicolo. Sembra un’offesa”.
“Dici? Invece io trovo che suoni bene. Movimento No Global. Ok. Il pezzo è pronto. Alla prossima”
Click
“Mio Dio”, dici, “che ho fatto”.
Hai creato un nuovo mostro. Ancora qualche giorno e… a proposito, questa è fresca: c’è una cittadina in provincia di Napoli che sta per proclamarsi Primo comune No Global d’Italia.
Io comunque resto convinto che le etichette siano pessime cose, e che bisognerebbe evitarle finché si può. Nei prossimi giorni inizierò a metterò in fila tutta una serie di motivi per cui sarebbe meglio non dire No Global.
Oppure vi parlerò del ruolo del kungfu nella moderna cinematografia francese, non so. Ci devo ancora pensare.
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