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domenica 16 giugno 2024

Ranieri e la sindrome di Gerusalemme

17 giugno: San Ranieri di Pisa (1118-1160), un altro che a Gerusalemme ha perso un po' la testa.

Cecco di Pietro
Gerusalemme è una città che fa impazzire la gente. Non è solo un modo di dire. Esiste una vera e propria sindrome attestata nella letteratura psichiatrica a partire dagli anni Trenta del secolo scorso. Colpisce i turisti, che nella stragrande maggioranza sono turisti religiosi (e forse sono predisposti a sperimentare un'esperienza perturbante). Nella forma più lieve si manifesta come un pensiero ossessivo nei confronti della città e della storia che rappresenta; in casi più gravi subentra il complesso del Messia, ovvero il turista si sente chiamato da Dio a una missione che può comportare atti vandalici (nel 1969 un australiano decise lì per lì di dare fuoco alla Moschea di Al Aqsa). C'è da dire che dopo una recrudescenza avvertita intorno al 2000, negli ultimi anni il fenomeno è stato relativamente ridimensionato, forse perché (ipotesi mia) è difficile sembrare pazzi arrivando in una città che sta già impazzendo di suo. Il cento di salute mentale Kfar Shaul  ha contato qualcosa come 1200 casi in un lasso di tredici anni (1980-1993), con 470 ricoveri (per lo più brevi). Considerato che nello stesso periodo Gerusalemme veniva visitata da più di tre milioni di turisti l'anno, si potrebbe anche concludere che la sindrome esiste solo perché ci aspettiamo che esista, come i miracoli a Lourdes: se metti tanti credenti nello stesso luogo, è statistico che qualcuno prima o poi in quel luogo cominci a vedere cose o a gridarne altre. In tutte le città qualcuno all'improvviso può mettersi a balbettare profezie, vestirsi di tuniche e proclamarsi il Messia, ma a Gerusalemme ci fanno più caso che altrove, anche se di solito una degenza di una settimana è sufficiente a risolvere il problema. Episodi del genere sono stati registrati in altre epoche: di uno avete senz'altro già sentito parlare (se ci riflettete). Altri sono stati descritti da un domenicano svizzero del XV secolo, Felix Fabri. E poi c'è il caso di San Ranieri Scacceri di Pisa.

A guardarla da lontano, l'agiografia di Ranieri sembra una bozza preparatoria di quella di Francesco d'Assisi: nasce 70 anni prima, fa impazzire i genitori con i suoi modi da ragazzaccio dissoluto (gli piace ballare e suonare la lira), tenta comunque di mettersi sulle orme del padre mercante, ma proprio a quel punto sente il richiamo della povertà, compie un viaggio in Terrasanta, si libera di tutti i suoi beni e diventa asceta e predicatore, venerato già in vita per i miracoli. Se il pauperismo di Francesco è l'espressione del disagio che cresce nel tessuto urbano proprio nei decenni in cui la civiltà comunale conosce un vero e proprio boom economico, non è così strano che nella repubblica marinara toscana sia comparso un simil-Francesco molto prima che in Umbria. 

Avvicinandoci un po', cominciamo a notare le differenze: Ranieri viene convertito da un eremita di origina corsa, Alberto Leccapecora; non va in Terrasanta a convertire il sultano (nel 1135 Gerusalemme è ancora controllata dai Crociati), ma in viaggio di lavoro, con alcuni soci di una compagnia commerciale. Quando arriva però capisce che la povertà è la sua vocazione. Ma non si veste di bianco o di sacco, non si proclama il Messia: si limita a liquidare ai soci la sua quota nella compagnia e a smettere di mangiare cinque giorni alla settimana. In Terrasanta rimane per 13 anni, prima di tornare a Pisa dove si sarebbe stabilito con alcuni seguaci nel monastero urbano di San Vito, compiendo vari miracoli e benedicendo regolarmente l'acqua che gli portavano (da cui il soprannome di Ranieri dell'acqua). A San Vito sarebbe morto nel 1160. 

Negli anni successivi il suo culto sarebbe stato promosso soprattutto dal vescovo Benincasa, che era stato suo discepolo negli ultimi anni a San Vito, e che modificò pesantemente un'agiografia già esistente, trasformando Ranieri in uno straordinario esorcista. Benincasa era esponente della fazione ghibellina in rotta con il papa Alessandro III, e cercava nel culto del suo antico maestro una fonte di legittimità. Quando fu deposto, Ranieri perse ogni speranza di essere canonizzato ufficialmente da Alessandro, e anche in seguito non c'è mai stata una vera causa di beatificazione. In compenso a Pisa è considerato il santo patrono.

3 commenti:

  1. Però almeno due righe sul perché i pisani dedichino a San Ranieri la propria Luminaria non ci sarebbero state male...

    Alla fine, se il Gioco del Ponte (che ai pisani sembra piacere tanto) è una roba falsa rimessa a nuovo in epoca fascista, la Luminaria di San Ranieri è forse un evento per il quale vale la pena di spendere una sera a Pisa.

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  2. Al momento, Pisa di gran moda direi.

    Anche GeoPop ha appena rilasciato un podcast sulla repubblica marinara di Pisa e sul fatto che è colpa di Leonardo Pisano detto Fibonacci se usiamo i numeri arabi e non i numeri romani.

    Vannacci maledice tutt'ora i pisani, che perturbano le nostre latinissime tradizioni coi numeri e usanze d'oltremare.

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  3. Il Consiglio degli Anziani di Lucca ha sempre guardato con sospetto questa contaminazione culturale tipica dei pisani, infatti disse più volte "no" all'apertura dell'università, che porta in città giovani scapestrati e distrae dal commercio... e io, secoli dopo, per studiare ho dovuto prendere il treno per Pisa, scendendo a San Rossore 😉

    Il Fibonacci (che ha introdotto i numeri arabi un secolo prima che i pisani aprissero la loro università) ci ha però privati del piacere di usare i numeri romani nella vita di tutti i giorni.

    "Vorrei CD grammi di pecorino, per favore"
    "Ne sono venuti CDXXIII... lascio?"
    "Ma sì: un paio di X in più non fanno male"

    Salvini avrebbe sicuramente approvato.

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