C'è un ritratto che riprende questa foto, ma gli fa indossare l'abito dei vescovi, che Bogdánffy non poté mai indossare in pubblico. |
A proposito di Monsignor Szilárd I. Bogdánffy, vescovo clandestino di Oradea, nella Romania comunista del secondo dopoguerra, devo confessare un rimpianto. A quanto pare, forse prima ancora di essere nominato vescovo, Bogdánffy aveva ricevuto una proposta in un certo senso più allettante: diventare il fondatore, il patriarca di una Chiesa ancipite di Stato, di rito latino, ma completamente staccata dalla Chiesa romana. Bogdánffy disse no, senza neanche troppo pensarci: il che gli costò la salute e probabilmente la vita: tanto che nel 2010 la Congregazione per le cause dei Santi lo proclamò martire della fede e beato della Chiesa cattolica; definizione storicamente ineccepibile, perché per rimanere fedele alla sua Chiesa Bogdánffy preferì essere internato. E però.
E però credo di non essere l'unico ad aver pensato: ma che roba incredibile sarebbe stata, una Chiesa di stato ancipite, di rito latino, nella Romania comunista del secondo dopoguerra? Che occasione unica per studiare qualcosa che in effetti probabilmente non poteva esistere. La Storia non si fa coi Se, anche perché procedono a cascata – se fosse nata questa Chiesa, tollerata e magari sponsorizzata dal regime, sarebbe riuscita ad attirare anche parte dei fedeli ortodossi? Non avrebbe giocato un ruolo importante nell'evoluzione (nell'involuzione) del comunismo in Romania? Non sarebbe stato un esempio interessante per i regimi comunisti limitrofi? Sarebbe stata più o meno progressista della Chiesa romana, più o meno aperta alle istanze sociali? Come avrebbe temperato, o addirittura evitato, la degenerazione del regime di Ceausescu? Avrebbe anticipato il Concilio Vaticano II, o viceversa l'avrebbe ritardato, costituendo uno spauracchio di cosa poteva diventare la Chiesa se si apriva troppo al confronto sociale? Non lo sapremo mai, perché Bogdánffy disse di no: in compenso abbiamo un martire in più da ricordare, ma diciamocelo tra i denti: di martiri ne abbiamo quanti ne vogliamo; certo, sul fronte del comunismo est-europeo il bilancio fin qui è scarsino: soprattutto impallidisce a confronto col massacro di preti cattolici ordito da parte dei nazisti in Polonia. Così la figura di Bogdánffy assolve a una precisa necessità: ricordare ai fedeli che anche i comunisti hanno perseguitato i cattolici. Naturalmente, a osservarla con un minimo in più di attenzione, ci può raccontare molto altro: ad esempio quanto è stato complicato, non solo per un prete, vivere nella prima metà del Novecento nel tritacarne messo in moto in quella parte d'Europa dalla Prima Guerra Mondiale. Bogdánffy nasce nel 1911 a Feketetó nel Banato, una regione dell'impero Austro-ungarico ai confini tra Ungheria e Romania, ma già balcanica per complessità etnica. Per tutta la sua vita oscillerà in una regione abbastanza ristretta, compresa tra il Banato, Budapest e Timisoara (Romania); in compenso saranno i confini d'Europa a spostarsi vorticosamente, rendendogli la vita molto più avventurosa di quanto avrebbe probabilmente desiderato. La famiglia, di nobile origine armena, di religione cattolica e di lingua ungherese, si ritrova alla fine della Grande Guerra suddita del Re degli Sloveni, Croati e Serbi (qualche anno dopo si rinominerà Jugoslavia), e decide abbastanza rapidamente di trasferirsi dall'altra parte del confine, a Temesvar, che fino a pochi anni prima era il capoluogo del Banato. Ora però è Timisoara, capoluogo della Transilvania rumena.
La Transilvania, che in tutto il mondo fa pensare a Dracula, era il grande problema della Romania; per quanto infatti si trovi al centro della nazione, incassata tra i monti Carpazi, era abitata per lo più da popolazioni di lingua e cultura ungherese, che fino al crollo dell'Impero Austro-Ungarico erano abituati a gravitare intorno a Budapest. Bogdánffy non s'interessa di politica, ma la scelta di frequentare il seminario cattolico (a Orodea Mare, in italiano Gran Varadino) lo porta fatalmente verso la capitale ungherese, dove conseguirà un dottorato sull'Apocalisse nei vangeli sinottici. Non è una sorpresa che al suo ritorno a Oradea, dove è nominato preside del seminario, i servizi segreti rumeni aprano un dossier su di lui; Szilárd cammina su uno dei fili più tesi dell'equilibrio europeo. Per il controllo della Transilvania, Romania e Ungheria hanno già combattuto tra il '17 e il '20 due conflitti. La Romania li ha vinti, ma è uno stato fragile, che guarda con sospetto alla minoranza ungherese e alla sua cultura. Anzi, alle sue culture: Oradea è una città in cui convivono numerose comunità religiose: protestanti luterani e battisti, ebrei, cattolici di rito greco e latino. Quando scoppia la seconda guerra mondiale, l'Ungheria è più lesta della Romania ad associarsi all'Asse, il che le consente di recuperare temporaneamente parte della Transilvania, Oradea compresa; è in questo periodo che Bogdánffy viene interrogato dai paramilitari ungheresi che sospettavano che il presule nascondesse ebrei nel seminario. Bogdánffy effettivamente nascondeva ebrei nel seminario, ma riuscì a farla franca, e forse non avrebbe avuto la stessa fortuna coi rumeni, perché di lì a poco anche la Romania, dopo il golpe di Antonescu, si sarebbe alleata con l'Asse, partecipando massicciamente all'operazione Barbarossa e rastrellando gli ebrei con un'efficienza seconda soltanto a quella nazista. Fino all'agosto 1944, al colpo di stato di re Michele, e al conseguente rivolgimento di fronte: i rumeni si arrendono ai sovietici e attaccano gli ungheresi, così che alla fine della guerra Bogdánffy, senza essersi spostato da Oradea, si ritrova di nuovo in Romania, ora repubblica socialista. È in questa situazione che a Bogdánffy viene proposta quell'offerta di cui dicevamo sopra: la guida di una Chiesa indipendente dal Vaticano. Non solo rifiuta, ma non riesce più di tanto a nascondere di essere stato ordinato segretamente vescovo di Oradea dal nunzio apostolico di Bucarest. Condannato ai lavori forzati, Szilárd passò gli ultimi quattro anni in diversi gulag prima di contrarre una polmonite che i medici non ritennero necessario curare; morì a 42 anni, settantadue anni fa oggi.