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A questo punto Sanremo è ormai alle spalle, e ognuno sta tornando alla sua confortante nicchia musicale, alle playlist da cui gli algoritmi escluderanno sempre più ogni cosa che possa infastidire troppo il nostro senso estetico-musicale – il quale risiede in qualche parte della nostra coscienza più prossima ad altre rispetto al senso etico: poche cose ci sembrano ingiuste come le canzoni brutte; pochi individui ci sembrano esecrabili come gli autori che le scrivono, gli interpreti che le interpretano, i maledetti dj che trovano una buona idea programmarle in radio. Bisogna ammettere che chi legge brutti libri non ci offende come chi ascolta cattive canzoni; chi ama i brutti quadri non disturba nessuno andandoli a vedere in brutte esposizioni, mentre le canzoni sì, le brutte canzoni sono moleste per natura. Tutto questo – in attesa che l'Estate rimescoli tutto quanto e ci sottoponga a un nuovo monsone di brutta musica – ci autorizza a formulare un'ipotesi persino su Alessandro, settimo patriarca di Alessandria d'Egitto, e sul grande scisma ariano di cui più di altri fu responsabile. Uno scisma che divise la cristianità per secoli, offrendo pretesti a innumerevoli conflitti armati; uno scisma che senza dubbio traeva la sua ragion d'essere da importanti questioni teologiche, ma a valle di tutto persiste un sospetto: forse Alessandro non sopportava le canzoni che sentiva sempre più spesso salire dalle strade di Alessandria. La grande novità del terzo secolo, in effetti, era che i cristiani, finalmente liberi di pregare ad alta voce, si erano messi a cantare, tutti, a partire dai teologi. E anche allora è facile immaginare che le brutte canzoni funzionassero meglio delle altre, perché in fondo è così che funziona, no? Più è fastidiosa la melodia, più stupido il testo, più la canzone ti si ficca in testa e vorresti uccidere chi l'ha scritta. Ma Alessandro era un uomo di pace e non riteneva fosse il caso di eliminare Ario: purché la piantasse con le sue canzoni.
Queste canzoni non le conosciamo: gli ortodossi le hanno fatte sparire, così come tutti i libri scritti dal medesimo Ario. I concetti tutto sommato li conosciamo: in particolare il subordinazionismo, ovvero l'idea che Gesù, essendo stato creato da Dio Padre in un secondo momento, non fosse perfettamente Dio. Quello che forse non abbiamo ancora del tutto capito è il motivo per cui questi concetti fossero così popolari ad Alessandria (e ancora di più ad Antiochia di Siria, la metropoli rivale), al punto di resistere a repressioni violente e a diventare (grazie all'opera di evangelizzazione di Ulfila) la fede di gran parte delle popolazioni barbariche che invasero l'Impero. Era una semplice questione trinitaria o c'era dietro qualcosa di più, che non sappiamo perché quasi tutto quello che gli ariani hanno scritto e predicato è andato distrutto? Poteva avere a che fare con una maggiore apertura alla libera interpretazione delle Scritture rispetto all'ortodossia trinitaria, e all'approccio 'popolare' di Ario, che scacciato più volte dalle chiese ortodosse si era messo a diffondere le sue idee scrivendo canzoni?
Può darsi che fu proprio l'ascolto di una delle canzoni a far traboccare il vaso della pazienza di Alessandro. Ario era già stato scomunicato verso il 300 da Pietro I, quinto patriarca di Alessandria. Ai tempi Alessandro faceva parte di quella parte del clero che non capiva del tutto i motivi di tanta intransigenza: evidentemente Ario aveva qualità a cui gli ortodossi non avrebbero voluto rinunciare. È ovvio che fosse un valido predicatore, un pensatore interessante e, malgrado fosse destinato a essere ricordato come un eresiarca, non così dogmatico: disposto a discutere le sue idee, inconsapevole della stretta che sarebbe arrivata quando il cristianesimo fosse diventato con Costantino una questione di Stato. Questo partito moderato e dialogante fu quello che alla morte di Pietro I portò sulla cattedra di Alessandria il predecessore di Alessandro, il patriarca Achilla. Con Achilla, Ario viene reintrodotto nella comunità dei credenti alessandrini, in seno alla quale però il suo carisma è tale che ora sono i suoi oppositori a rischiare di essere accusati di eresia. Per risolvere la questione Achilla convoca un concilio ad Alessandria, ma muore prima di prendervi parte, e Ario diventa un possibile candidato alla sua successione. Alla fine però gli ortodossi la spuntano (del resto la spuntano sempre, a volte quasi per caso, ed è il motivo per cui li chiamiamo ortodossi: se anche solo una volta non l'avessero spuntata, oggi chiameremmo ortodossi gli ariani o i monofisiti).
Benché Ario sia il candidato più popolare, i presuli eleggono Alessandro, a cui non resta che prendere atto che la frattura ormai è insanabile: quello che insegna Ario non è più cristianesimo. E siccome quest'ultimo non ha la pazienza di discuterne ai sinodi, ma insegna le sue canzonacce al volgo che le ripete per strada senza accorgersi dei marchiani errori dottrinari, ebbene, la condanna dev'essere ferma e recisa. Alessandro a questo punto ha passato la sessantina, è sopravvissuto a più di una persecuzione e forse non è preparato a quello che succede poi: ovvero a una severa reprimenda del potere politico, perché l'eco della sua polemica è giunto all'Imperatore Costantino, che per la prima volta ha deciso di intromettersi nelle discussioni di questa dottrina che fino al 313 era fuorilegge e ora sta per diventare la religione di Stato. E tuttavia Alessandro non cede e riesce a ottenere che l'imperatore convochi un concilio universale, o come si diceva allora, ecumenico: si terrà a Nicea nel 325, alla presenza dell'imperatore che a quanto pare non si perdeva una seduta (chissà a quali trucchi ricorreva per fingersi sveglio). Non sappiamo esattamente come Alessandro abbia perorato la sua causa a Nicea; in quella sede fu probabilmente Ario a mettersi nei guai da solo, con la sua disponibilità a discutere tesi che la maggior parte dei vescovi presenti non poteva accettare. Alessandro probabilmente era già malato e fece appena in tempo a godersi la vittoria contro l'avversario: morì nel 328, prima di scoprire il voltafaccia di Costantino che dopo Nicea avrebbe riaperto le porte agli ariani, addirittura favorendoli. Gli ortodossi comunque l'avrebbero spuntata anche stavolta, ma questa è ormai un'altra storia.
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