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mercoledì 12 marzo 2025

Il gesuita che doveva sparire

12 marzo: Beato Rutilio Grande Garcia (1928-1977), sacerdote salvadoregno.

(Non c'entra nulla, ma stamattina dovrebbe esserci un pezzo mio sul Manifesto, magari interessa).

https://www.jesuits.global/it/2019/02/01/tributo-a-rutilio-grande-sj/

Affacciato sulla strada che collega il borgo di El Paisnal con la cittadina di Aguilares (El Salvador), c'è ancora un monumento con tre croci metalliche che spuntano dal marmo. Ormai nessuno lo tocca più, ma i primi anni furono complicati. Le croci a volte venivano divelte, persino il marmo si sgretolava o spariva. Non si trattava di miracoli, ma dei trattori degli squadroni della morte. Le croci segnavano il punto in cui il 12 marzo del 1977 le loro pallottole avevano raggiunto l'auto dove viaggiavano padre Rutilio Grande, il catechista settantaduenne Manuel Solórzano e Nelson Rutilio Lemus, uccidendoli. Quest'ultimo era un ragazzo di sedici anni, che con Rutilio e Manuel andava a celebrare la novena di San Giuseppe nel villaggio natale di padre Rutilio. Altri tre ragazzi nell'autovettura non erano stati colpiti, e al processo identificarono gli squadristi, che comunque furono assolti. L'obiettivo era evidentemente padre Rutilio (colpito da dodici pallottole), che malgrado avesse rinunciato a un ruolo prestigioso nel seminario di San Salvador per occuparsi di una semplice parrocchia, continuava a dare molto fastidio ai proprietari terrieri. Di Rutilio doveva scomparire anche la memoria: il busto in marmo che lo ritraeva fu fatto saltare in aria pochi giorni dopo l'inaugurazione. L'autore, lo scultore spagnolo Pedro Gross, sopravvisse a un attentato e preferì lasciare il Paese.  

Pedro Gross con il busto dedicato a Padre Rutilio 

Chi ancora ricorda la guerra civile che insanguinò El Salvador negli anni Ottanta, sa che scoppiò in seguito all'assassinio del vescovo Oscar Romero, mentre officiava una messa, nel 1980; uno dei martiri più scenografici della storia della Chiesa, perché il cecchino scelse di colpire il vescovo proprio durante l'elevazione, mentre reggeva ostia e calice (ricordo la didascalia del fumetto pubblicato dal Piccolo Missionario: "il sangue del vescovo si mescola a quello di Cristo"). Si tratta probabilmente del momento più adatto per sparare a un sacerdote officiante: ha le braccia alzate, il petto necessariamente proteso. Ma sembra anche un riconoscimento dell'assassino nei confronti della sua vittima, quasi una confessione: devo ucciderti, ma non posso evitare di fare di te un martire, un eroe. La crudezza con cui fu eliminato può suggerire l'impressione che Romero fosse uno di quei cristiani militanti che in quegli anni avevano spostato il baricentro verso la sinistra dei campesinos – col risultato di attivare la reazione di forze nazionaliste che potevano contare sull'appoggio dell'esercito e il benestare del Pentagono. Ma Romero non era un teologo della liberazione, anzi: quando fu nominato vescovo di San Salvador, all'inizio del 1977, passava per un conservatore, e in ogni caso un uomo di Chiesa che non intendeva immischiarsi nella politica. A trasformarlo improvvisamente nel leader dell'opposizione salvadoregna fu la strage di Aguilares. Rutilio era un suo collaboratore, e probabilmente un suo amico; Romero accorse subito a El Paisnal per celebrare una lunga messa che doveva servire anche a placare gli animi. La domenica, tutte le celebrazioni salvadoregne furono sospese: centocinquanta sacerdoti co-celebrarono con Romero un'unica messa nella cattedrale, per ricordare Rutilio, Solórzano e Lemus. E siccome per il governo si trattava di un semplice e increscioso caso di delinquenza comune, annunciò che non avrebbe più preso parte a eventi ufficiali finché il governo salvadoregno non avesse identificato e punito i colpevoli. Il governo non li identificò mai, e nei tre anni che gli rimanevano da vivere Oscar Romero non strinse più la mano a un solo politico salvadoregno, diventando la voce più autorevole dell'opposizione al regime. 

Monumento a Romero e Grande, El Paisnal

Neanche Rutilio dava l'impressione di essere un rivoluzionario. A leggere un po' di testimonianze sembra di riconoscere quel tipo di prete timido che da adolescente può sentire il richiamo della vita sacerdotale perché sembra venire incontro alle necessità di un temperamento introverso: la promessa di un'esistenza pacifica, l'inserimento in una comunità dove ci si aspetta di svolgere un ruolo utile ma non troppo appariscente. Dopodiché Rutilio ha la trovata di entrare nei gesuiti sudamericani proprio nei terribili anni Settanta, il che lo porterà a diventare il leader di intere comunità di proletari angariati da una classe proprietaria avida e assassina; ruolo che Rutilio accetterà con cristiana rassegnazione e (sembra) non troppo entusiasmo. Mentre era già in macchina, quella sera, e forse aveva capito di essere seguito, i ragazzi gli sentirono dire: "Bisogna fare quel che Dio vuole". 

Alla fine degli anni Settanta, El Salvador era un esperimento sociale fuori controllo. Tra i Paesi continentali dell'America Centrale è sempre stato il più piccolo e il più popolato; la presenza di più manodopera a basso costo aveva attirato a partire dagli anni Sessanta gli investimenti delle multinazionali della frutta, che avevano favorito il Salvador rispetto al Paese confinante e complementare, l'Honduras: quest'ultimo meno popolato, più povero, ma più vasto e dotato di uno sbocco strategico sull'Atlantico che al Salvador manca. Lo squilibrio era potenzialmente esplosivo, ed esplose nell'estate del 1969 in quel conflitto eternato dal reporter Ryszard Kapuściński col nome di "Guerra del calcio", perché scoppiò dopo un match tra le due nazionali. Purtroppo il nome lascia intendere un trionfo dell'irrazionalità tra due nazioni di tifosi regressi a uno stadio barbarico a causa della passione sportiva. Ma la guerra scoppiò dopo la partita probabilmente per evitare che quest'ultima fosse annullata (era uno spareggio per qualificarsi ai mondiali del Messico): e a provocarla furono i vincitori sul campo di gioco, ovvero i salvadoregni. La posta in gioco era molto più cruciale: l'Honduras, dopo aver accolto trecentomila immigrati dal Salvador in piena esplosione demografica, li aveva rimandati alla frontiera disattendendo gli accordi presi con lo Stato confinante. Il Salvador attaccò per i solito motivi razionali per cui una nazione attacca un'altra, ovvero aveva un esercito più numeroso e organizzato, e per qualche giorno sembrò vincere proprio per questo motivo; dopodiché cominciò a ritirarsi proprio come succede agli eserciti più numerosi e organizzati una volta esaurito lo slancio iniziale. L'armistizio certificò che i confini restavano gli stessi; il che significava che il Salvador aveva pagato un prezzo rilevante in vite umane per ritrovarsi con lo stesso problema iniziale, perché quasi tutti i trecentomila profughi che in teoria avrebbero potuto tornare in Honduras, non osarono farlo. Si ritrovarono disoccupati in uno Stato grande quanto una nazione italiana, dove la ricchezza era divisa equamente tra quattordici famiglie e anche le piantagioni delle multinazionali non assumevano più. Alcuni aderirono alle forze rivoluzionarie di matrice comunista che nel 1980 sarebbero confluite nel Fronte Farabundo Martí; altri si rivolgevano alle parrocchie, e trovavano sempre più spesso sacerdoti disposti ad ascoltare le loro rivendicazioni: i seguaci di quella "teologia della liberazione" che ai proprietari sembrava più indigesta del comunismo, se non altro perché potenzialmente poteva fare molti più adepti. 

Il 6 agosto in Salvador è festa nazionale. Il 6/8/1970, in una messa solenne alla presenza del governo, Rutilio definì Gesù Cristo il "Rivoluzionario numero uno della Storia". In pieno entusiasmo postconciliare citava l'enciclica Populorum progressio di Paolo VI: "i contadini prendono coscienza, anch’essi, della loro miseria immeritata”, e proponeva una "trasfigurazione evangelica" della nazione, niente più che la realizzazione del motto riportato sulla bandiera: Dio, unione, libertà. Con queste parole commosse il generale Fidel Sánchez Hernández (il presidente che aveva trascinato il Salvador nella Guerra del Calcio), che gli fece dono di una copia della Costituzione da cui non si separò più; si espose alle critiche del clero più tradizionalista e si giocò la candidatura già avanzata a direttore del seminario nazionale. Se la cosa lo scosse, non lo diede a vedere: chiese al vescovo una parrocchia qualsiasi e accettò (malvolentieri) quella che includeva il suo villaggio natìo. Da qui in poi, più che con le parole, avrebbe parlato coi fatti. Il passaggio dal latino allo spagnolo, sancito dal Concilio, forniva l'occasione per alfabetizzare i contadini: avrebbero imparato a leggere il vangelo, ma anche i loro diritti costituzionali. Un altro suo discorso, otto anni più tardi, lo espose di nuovo all'attenzione di osservatori sempre più incattiviti: un altro sacerdote (Mario Londono) era stato prima sequestrato da un gruppo paramilitare, poi liberato dall'esercito che però aveva approfittato del fatto che fosse di nazionalità colombiana per deportarlo. Padre Rutilio aveva reagito accusando apertamente le autorità in un discorso rimasto famoso. "So bene che molto presto anche a Bibbia e Vangelo non sarà più concesso di attraversare il confine. Solo le copertine riusciranno ad arrivare da noi, dato che tutte le pagine sono sovversive. Al punto che se Gesù passasse il confine a Chalatenango, non gli consentirebbero di entrare. Lo accuseranno, il figlio di Dio, di essere un agitatore, uno straniero ebreo venuto a confondere il popolo con idee esotiche, straniere, antidemocratiche... Fratelli, senza dubbio lo crocifiggerebbero di nuovo". 

Non solo Gesù non riuscì a passare, ma Rutilio fu ammazzato tra El Paisnal e Aguilares: e anche la sua statua fu fatta esplodere, le croci sulla strada fatte sparire. Tre anni dopo fu ucciso Romero ed El Salvador divenne uno di quei Paesi di cui si parlava sempre verso la fine del telegiornale, ogni giorno centinaia di morti: per cui ce lo immaginavamo grandissimo, altrimenti come potevano morirne tanti tutti i giorni? Gli americani sostennero gli squadroni della morte, dopodiché ci fecero un film, credo con James Belushi. Oggi il presidente è un imprenditore di origine palestinese che ha reso i bitcoin una valuta nazionale. Garcia, Solorzano e Remus sono stati beatificati nel 2022; Romero è stato canonizzato nel 2018 da Papa Francesco.

1 commento:

  1. nitpicking: "Si ritrovarono disoccupati in uno Stato grande quanto una nazione italiana"; --> "regione italiana", giusto?

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