– First we take Aviano. Che aria frizzante, che voglia di armarsi, che subbuglio tra i nuovi eroi al caffè. Per quanto potessimo averlo previsto, è abbastanza sorprendente vederlo realizzato nel giro di un mese: là dove era tutto un "difendiamo l'Occidente", adesso c'è scritto che dobbiamo difendere l'Europa, e mica a parole: servono armi e servono subito. Non vi commuove tutto questo improvviso europeismo? E chissà cosa difenderemo l'anno prossimo. Poi per carità: se è la fine della Nato, io non ho molto da obiettare, e immagino che un massiccio riarmo sia inevitabile – ma solo se è la fine della Nato, altrimenti è una farsa. Fare la guerra a Putin a questo punto non è troppo diverso dal fare la guerra a Trump; non mi sembra un'impresa all'altezza delle nostre forze, ma soprattutto non è cosa che possiamo pensare di fare mentre ospitiamo militari e agenti americani in centinaia di basi del nostro territorio. E quindi, amici interventisti, un po' di chiarezza: volete davvero strappare l'Occidente, e in che modo? Sono sinceramente curioso. – Le nuove Radiose Giornate. Uno dei motivi per cui a volte chi viene qui a commentare non mi capisce, è che più che due lingue diverse, parliamo due guerre diverse. Molti commentatori parlano la Seconda Guerra Mondiale: per loro non è semplicemente l'ultima guerra importante, ma il mito fondativo dell'Occidente, l'architrave morale che definisce il Male assoluto (il nazismo) nonché giustifica qualsiasi male relativo (se devi combattere il nazismo puoi anche spianare Strisce e deportarne la popolazione). Quindi arrivano qui e si giocano invariabilmente la carta dello Spirito di Monaco. Qualsiasi guerra è necessaria, perché l'alternativa alla guerra è l'appeasement e l'appeasement è la colpa primigenia, senza l'appeasement non vivremmo del frutto del nostro sudore e le donne non partorirebbero con dolore. Va bene. (Cioè no, non funziona così, non è più Storia, è un mito, ma io credo nella tolleranza religiosa e quindi devo tollerare anche la vostra buffa religione). Però io parlo un'altra guerra, la Prima: e ogni volta che si dibatte sui motivi per farne una – che molto spesso sono i motivi per farla fare agli altri – io mi ritrovo di nuovo nel 1914 nelle bagarre tra Interventisti e Neutralisti, a litigare con futuristi, lacerbiani, dopo un po' è arrivato anche quel socialista romagnolo che prima scriveva quei fondi trucidi sull'Avanti, tutti avventurieri con scarse nozioni di strategia, tutti eroi ar caffè, voi venite qui a darmi del Chamberlain e non sapete neanche quanto somigliate a Giovanni Papini e quanto sia offensiva questa cosa che vi sto dicendo.
– Scurati ci vorrebbe più guerrieri. Ieri sulla Repubblica appare un pezzo di Scurati che segnala "la principale carenza europea rispetto alla possibilità di combattere autonomamente una guerra difensiva: la mancanza di guerrieri". Siamo già a questo? L'intellettuale che pochi mesi fa era diventato l'icona dell'antifascismo, è già pronto a litigare coi compagni e rifondare il Popolo d'Italia? Sì e no; Scurati queste cose le ha sempre scritte, salvo che non se ne accorgevano in molti perché i riflettori erano altrove. Se lo conoscessi un po' di più mi azzarderei a dire che un certo gusto melodrammatico per la guerra guerreggiata Scurati lo ha sempre conservato nello stile: certi fregi liberty come, nel pezzo su Repubblica, la definizione del nostro continente come "scoglio euroasiatico popolato di guerrieri feroci, formidabili, orgogliosi e vittoriosi". Da cui il sospetto che l'approccio romanzesco a Mussolini fosse anche un'accettazione di certe radici stilistiche nietzscheano-dannunziano-lacerbiano-futuriste, nonché un tentativo di rovesciarle, profanarle, ricordare a sé stesso e al suo pubblico che un certo stile ha un esito pratico, tante parole culminano portano a un punto, e questo punto è la guerra. Va bene. Diciamo che Scurati è un intellettuale che in questo preciso momento torna utile mettere sulle prime pagine, come certe Fallaci d'antan. E così come il Popolo d'Italia, per sensibilizzare il pubblico italiano sulla necessità di salvare l'eroico Belgio dall'imperialismo prussiano prendeva fondi dalla Fiat, questo pezzo di Scurati, che auspica che "l’Europa ritrovi lo spirito combattivo e, con esso, il senso della lotta", ricordiamocelo, ci è offerto da Stellantis. (La guerra, poi, se proprio dovremo farla, la faremo combattere agli immigrati. Un'alternativa interessante ad assemblare macchine già obsolete in Tunisia o in Serbia).
– Il nuovo irredentismo. L'avreste mai detto che ci sarebbe toccato morire, tra tanti motivi, proprio per il Donbass? Un posto tuttora difficile da trovare sulla cartina. La sensazione è di assistere a una partita a carte che doveva essere una cosa alla buona, tra amici che si erano portati un pollo da spennare in fretta, questo Vladimir Putin. Molte ore dopo, Putin sta vincendo ed essi hanno perso talmente tanta credibilità che l'idea di alzarsi dalla sedia e salutare non li sfiora nemmeno; devono rifarsi in qualche modo, ritirarsi adesso significherebbe ammettere che i polli erano loro, e questa cosa è inammissibile. Gli USA, che avevano organizzato la partita, se ne sono già andati a casa e senza perdere un soldo, anzi a ben vedere ci hanno guadagnato. I tedeschi ci hanno perso due gasdotti e la certezza di essere la locomotiva d'Europa, ma questo è impossibile da accettare: per cui ora cominceranno a firmare assegni e andranno avanti fino all'alba, metodici nella sconfitta com'erano stati metodici nella vittoria.
– L'ideologia è sempre quella degli altri. Michele Serra lancia un appello per andare tutti in piazza senza bandiere o stemmi, non per la Palestina che si sa, la pulizia etnica è un tema divisivo, bensì... per l'Europa. Che è una cosa bellissima, lo dico senza ironie, ma Europa in che senso? Per fare la pace con Putin prima che la faccia Trump (e pigliarsi le materie prime prima che lo faccia Trump) o per proseguire la guerra anche se Putin si mette d'accordo con Trump, ovvero a questo punto farla a un Putin spalleggiato da Trump? Serra non lo dice, sarebbe un tema divisivo.Elly Schlein fa subito sapere che ci sta, in due righe: noi ci siamo, senza bandiere, ok. Poi per chi vuole leggerla c'è una lenzuolata di motivazioni in cui, senza chiarire nessuno dei punti lì sopra (trattiamo subito una pace o proseguiamo la guerra, magari con contingenti europei) avanza comunque una serie di proposte operative (federalismo soprattutto fiscale, togliere l'unanimità, un'altra next generation da 800 miliardi), insomma un po' di politica la Schlein la fa: accetta una piattaforma molto vaga e con tanta cautela introduce i temi che le interessano. E verso la fine fa anche notare la debolezza dell'avversario politico, l'indecisione daa Meloni tra UE e Trump.
A questo punto, con fragore di tromboni e fagotti, irrompe Mattia Feltri e intona Nooooooo! Come ti permetti Elly Schlein, sei troooooppo divisiiiiiva! Vuoi trasformare una piazza non politica in una piazza politica, e così Forza Italia non verrààààà! Tod und Verzweiflung. Dove si vede che la "politica" è sempre quella sporca che fanno gli altri, perché se in quella piazza Elly Schlein incontrasse Tajani e scoprisse una corrispondenza di amorosi sensi che fosse propedeutica a un governo Draghi 2 che spianasse la strada a un'UE draghiforme, ebbene Mattia Feltri non troverebbe nulla di "politico" in ciò, nulla di divisivo, perché le uniche divisioni che contano sono tra i soggetti politici che vorremmo vedere a letto assieme. Questa mania di trovare "ideologica" solo l'ideologia degli altri, questa ottusa incapacità di Feltri e similfeltri di capire che anche loro hanno un'ideologia, anche loro hanno un'agenda politica, che a volte uno pensa: ma lo sanno benissimo, fanno solo finta, e invece no; i loro genitori facevano finta, loro no.
Niente paura. La Francia (Macron) ci offre la protezione giusta: l' "ombrello nucleare". Il suo. E gli inglesi? Anche loro detengono armi nucleari. Non sono più nell' UE, ma organizzano incontri con noi europei per affrontare il pericolo comune. Trump o Putin? Mi scuso per il mio pessimismo, ma visti i precedenti storici della diplomazia del XX secolo, mi viene da dire "Attenti a quei due". No, non Russia e USA.
RispondiEliminaA parte le motivazioni (la nozione causa effetto è da tempo un orpello ottocentesco), a me non è chiaro chi debba andare a guerreggiare. I nostri guerrieri di professione son quattro gatti, un numero largamente insufficiente per puntellare quel fronte. Anche ammesso che obbediscano senza fiatare agli ordini di non si sa bene chi, e partano per il fonte con la solenne benedizione di un mattarella riscopertosi illustre esperto di seconde guerre mondiali agli aromi di re sciaboletta, temo durerebbero qualche mese, nè più e nè meno dei mitici nordcoreani di cui ci racconta (con scarso supporto di immagini) la "stampa libera". I nazisti optimo jure si suppone che siano già lì. A quel punto, se mi guardo intorno, vedo solo gente che sale al primo piano in ascensore (e ci arriva col fiatone), corre ad accendere la tivvù (idem), e si commuove guardando una variazione sul tema di don matteo. Se l'immenso arsenale nucleare sovietico non ci spaventa, non mi è ben chiaro perchè a putler dovrebbe far paura quello "nostro". A margine, sarei curioso di sapere quanti dei vari calenda, mentana, severgnini, gramellini, fubini, rampini, boldrin, mieli, calabresi, scurati, parsi, e compagnia cantante abbiano fatto il servizio di leva, e con quali slaviosi risultati.
RispondiEliminaIn tutto questo io vorrei anche sottolineare quanto fa schifo l'idea di guerriero. Un individuo la cui vera e propria essenza è di fare la guerra? Niente di più spregevole.
RispondiEliminaSe proprio, questi nuovi capipopolo dovrebbero parlare di soldati: individui che partecipano alla guerra per momentanea ricompensa pecuniaria (il soldo) prima di tornare nel mondo civile.
Ma forse è troppo pretendere da uno scrittore un'attenzione alle parole ai loro sensi e storie e significati.
(Poi, io vorrei non esistessero nemmeno i soldati, ma questo è un altro discorso...)