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lunedì 14 luglio 2025

Il primo infermiere, o al massimo il secondo

14 luglio: San Camillo de Lellis (1550-1614), infermiere.

San Camillo salva gli ammalati dell'Ospedale di San Spirito
durante l'inondazione del Tevere del 1598. (Pierre Hubert Subleyras).


Camillo de Lellis nasce a Bucchianico (oggi provincia di Chieti) nel maggio 1550, due mesi dopo la morte di Giovanni della Croce a Granada. I due patroni degli infermieri non condividono soltanto il secolo: entrambi hanno avuto vite avventurose che lasciano sospettare un disturbo del comportamento; entrambi hanno lasciato pochi scritti, dai quali si deduce uno scarsissimo apprendistato letterario; entrambi erano uomini soprattutto pratici, abituati a risolvere le crisi in prima persona: ad entrambi capitò di entrare in ospedali in fiamme per caricarsi i degenti sulle spalle. Entrambi hanno fondato ordini religiosi che nelle loro intenzioni erano soprattutto ordini assistenziali (salvo che le gerarchie ecclesiastiche non capivano ancora la differenza). Digiuni di lettere, digiuni di teologia, entrambi non risultano nemmeno esperti di medicina, per cui, insomma, com'è che hanno inventato la categoria degli infermieri? Entrambi avevano passato diversi anni sotto le armi, in quel Cinquecento tumultuoso in cui la guerra era ormai un mestiere: pericolosissimo, ma che consentiva di girare il mondo e imparare tante cose sul campo. Non è scritto da nessuna parte, ma si può presumere che sia Camillo che Giovanni abbiano passato un po' di tempo negli ospedali militari, e che vi abbiano scoperto pratiche e innovazioni che in seguito applicheranno negli ospedali civili: ad esempio, l'idea rivoluzionaria di separare i malati per patologia. 

Figlio di una signora di età molto avanzata (sessant'anni secondo le agiografie), Camillo ne resta orfano appena tredicenne. Al preadolescente non restava che seguire il padre, soldato professionista e giocatore incallito. Nel 1570 i due De Lellis, giunti ad Ancona con l'intenzione di arruolarsi nell'esercito veneziano in guerra contro i turchi, contraggono probabilmente un virus. Il padre muore di febbre; il figlio ne guarisce ma in quell'occasione compare per la prima volta la famosa ferita che non lo abbandonerà più. Non fosse stato per quella piaga ulcerosa alla caviglia, Camillo forse sarebbe morto su qualche campo di battaglia, o in una rissa di strada dopo una partita a dadi finita male; o persino in un convento di cappuccini, perché no? La ferita che lo tenne lontano dai combattimenti, lo fece anche espellere due volte dal convento nel quale era riuscito a farsi ammettere. I cappuccini non erano equipaggiati per la cura dei malati: gli dissero di tornare quando sarebbe guarito, ma Camillo non guariva mai. Il suo unico posto era l'ospedale, dove una volta pagava le spese lavorando come infermiere. La prima volta che gli successe (al San Giacomo degli Incurabili, a Roma) non dette una buona prova di sé: litigava coi colleghi e coi malati, scappava per andare a giocare coi barcaioli del Tevere, insomma nulla lasciava presagire in lui il fondatore di un ordine di sacerdoti-infermieri.
 
Espulso dal San Giacomo dopo un anno per cattiva condotta, si considera abbastanza sano da riarruolarsi, prima per i veneziani e poi per gli spagnoli. Combatte in Dalmazia, Tunisia e Sicilia; sperimenta fame e miseria, nelle sue memorie farà riferimento a episodi di cannibalismo. Non riesce a mettere a parte un soldo: si gioca tutto, ritrovandosi sul marciapiede. In Puglia trova lavoro come manovale in un convento di cappuccini; riesce finalmente a convincerli della propria vocazione, ma durante il noviziato la piaga si riapre e viene rimandato al San Giacomo. Anche stavolta, dopo la guarigione, rimane come inserviente, ma nel frattempo è riuscito a guarire anche dalla compulsione al gioco, al punto che viene nominato guardarobiere. Frequenta Filippo Neri, che diventa il suo confessore. Quando decide di tornare dai cappuccini in Puglia, Filippo gli dice che si sarebbero rivisti molto presto: quattro mesi dopo in effetti Camillo entra di nuovo al San Giacomo come paziente. Oltre alla solita caviglia, ora soffre di un'ernia inguinale che non lo abbandonerà più. Ma all'ospedale sono contenti di rivederlo e addirittura lo nominano amministratore. 

A questo punto Camillo ha passato i trent'anni: ha una vasta esperienza della vita, soprattutto della miseria e del dolore. Quando decide di fondare un nuovo corpo di "servi degli infermi", li chiama lui, nessuno capisce bene cosa abbia in mente. Lo stesso Filippo Neri prova a dissuaderlo. In effetti la sua è un'idea abbastanza rivoluzionaria e non così in linea con lo spirito della Controriforma; dopo aver vissuto l'esperienza ospedaliera come inserviente e amministratore (oltre che come paziente), Camillo ha maturato l'opinione che i ruoli non vadano confusi: gli inservienti devono rifiutare i "maneggi delle cose temporali" e mettere al di sopra di qualsiasi preoccupazione la cura del paziente. Camillo, che vive questa missione in modo ascetico e propone ai suoi confratelli di vivere negli ospedali per poter essere più vicini agli infermi, tuttavia non sembra particolarmente preoccupato da quella che fino a quel momento era stata la priorità del personale di assistenza, ovvero che i malati patissero (e morissero) santamente. Lui stesso dà la sensazione di aver preso gli ordini sacerdotali perché solo in questo modo la sua confraternita sarebbe stata presa sul serio; nei suoi scritti (molto faticosi) ribadisce più volte che i malati non devono essere forzati a confessarsi e che la funzione dei Servi degli Infermi è tenerli puliti e medicati, non amministrare i sacramenti. Se De Lellis da una parte aveva già un'idea laica, moderna, della figura del paramedico, dall'altra tendeva a viverla con un'intensità religiosa che lo rendeva un modello, ma anche un esempio molto difficile da seguire: finché nel 1607 non fu costretto a lasciare la direzione dell'ordine che aveva fondato, proprio come Francesco, e che già cominciava a chiamarsi col suo nome: i camilliani, i primi infermieri a fregiarsi di una croce rossa sulla tunica nera.  

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