"Alzati, anch'io sono un uomo" (Philip Galle).
20 ottobre: San Cornelio centurione, il primo pagano convertito (I secolo)
Cornelio potrebbe essere stato il primo cristiano non circonciso. Prima di lui, forse era capitato a un funzionario etiope, un eunuco incontrato dal discepolo Filippo sulla strada da Gerusalemme a Gaza; Filippo aveva notato che sul suo carro cercava di leggere Isaia, senza capirlo (del resto, scrollare un papiro su un carro con le sospensioni del primo secolo...) e ne aveva approfittato per attaccare bottone, spiegando che il Messia promesso da Isaia era appunto Gesù Cristo. Non è però chiaro se l'eunuco, prima di essere battezzato, fosse da considerare già ebreo, una religione che in Etiopia aveva fatto proseliti: il fatto che cercasse di leggere Isaia è un forte indizio in tal senso. Magari avrebbe voluto esserlo, ma in quanto eunuco poteva essergli impossibile circoncidersi. Si tratta insomma di un caso abbastanza particolare (documentato nell'ottavo capitolo degli Atti degli Apostoli), laddove il battesimo di Cornelio è presentato con tutti i crismi di un precedente storico e fondativo: da Cornelio in poi, tutti i pagani possono essere battezzati, senza previa circoncisione (grazie, Cornelio!)
Prima, no. La "Via", la confraternita dei seguaci di Gesù di Nazareth, era una setta ebraica, basata per lo più a Gerusalemme e definita da credenze che avevano un senso solo per la comunità ebraica (anche se piuttosto eterodosse): Gesù era il Messia, il salvatore che Dio aveva promosso al popolo ebraico tramite i profeti. Ma Cornelio non è un ebreo, anzi è un esponente delle forze di occupazione: si tratta di un centurione romano "della Coorte detta Italica" di stanza a Cesarea di Palestina, capitale della provincia romana Giudea. È però, già prima della conversione, un uomo "timorato di Dio", che prega e dona i suoi averi ai poveri, perché a raccontare la sua storia è Luca, sempre negli Atti (cap. 10), e Luca ai poveri ci tiene più di ogni altro evangelista. In effetti l'angelo che finalmente appare Cornelio lo dice ben chiaro: "Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite dinanzi a Dio ed egli si è ricordato di te". Forse se Cornelio avesse pregato di meno (o donato di meno) il cristianesimo sarebbe rimasta una varietà particolare di ebraismo; i proseliti sarebbero rimasti per lo più in Palestina prima della diaspora, e poi chissà. Ma Cornelio evidentemente aveva qualcosa da chiedere al Signore, e così il Signore gli propone di mandare a prendere Pietro, che in quel periodo si trovava a Jaffa e aveva appena risuscitato una discepola. Mentre i servi di Cornelio si mettono in strada per cercarlo, Pietro a Jaffa ha quello che a volte viene chiamato un sogno, ma è più propriamente una visione estatica: una tovaglia nel cielo, piena di animali commestibili ("In essa c'era ogni sorta di quadrupedi, rettili della terra e uccelli del cielo") ma impuri, non koscher. "Coraggio, Pietro, uccidi e mangia!", dice una voce fuori campo. Pietro rispose: Non sia mai, Signore, non ho mai mangiato nulla di profano o di impuro". La voce gli risponde: "Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano". È l'abolizione delle impurità alimentari, uno dei momenti fondativi del cristianesimo: questa religione con tanti vincoli, ma forse per la prima volta nella storia puoi mangiare davvero qualsiasi cosa, non sono previsti tabù alimentari. Non è un sogno, Luca ci tiene a notare che Pietro era sveglio su un terrazzo (quindi stava davvero guardando il cielo) dove era salito a pregare in attesa, dettaglio realistico, che gli cucinassero il pranzo. Pietro non sa bene come interpretare la visione – è tornato il Pietro ottuso dei vangeli, che doveva sempre farsi spiegare le parabole – ma è lo Spirito stesso ad avvisarlo che tre uomini lo cercano: "Alzati, scendi e va' con loro senza esitazione, perché io li ho mandati". Sono ovviamente i servi di Cornelio. Pietro si reca subito con loro a Cesarea, dove Cornelio si inginocchia davanti a lui; al che risponde imbarazzato che non vale la pena, è solo un uomo come Cornelio. Discutendo col centurione, Pietro capisce il significato della sua visione: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga". L'intuizione è immediatamente confermata dallo Spirito stesso, che scende su tutti i presenti, ebrei e pagani. "E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio": i sintomi insomma sono gli stessi osservati dagli apostoli durante la Pentecoste. A quel punto Pietro non può che battezzare Cornelio e i suoi sodali, riconoscendoli come cristiani: come si può negare il battesimo a chi è già stato cresimato direttamente dallo Spirito? Si tratta comunque di un momento fondamentale: la circoncisione era il discrimine più evidente e insormontabile tra ebraismo ed ellenismo, queste due culture che da secoli convivevano nel Mediterraneo orientale come l'acqua e l'olio, senza mescolarsi. Si trattava di una pratica rituale di origine preistorica, diffusa variamente in Africa e in Medio Oriente ben prima della nascita dell'ebraismo, e assolutamente esecrata dalle dinastie di lingua greca che avevano controllato la regione da Alessandro in poi, prima di cederla ai Romani.
Tornato a Gerusalemme, l'Apostolo dovrà affrontare una lunga discussione con i confratelli, i quali evidentemente ignorano ancora come Pietro abbia battezzato Cornelio, visto che trovano già sufficientemente scandaloso il fatto che egli abbia pranzato alla tavola di un non circonciso! Per giustificarsi, Pietro riporta tutto quel che è successo, a partire dalla visione, il che spinge Luca a raccontare tutto di nuovo nel capitolo 11, stavolta in prima persona: una ripetizione che troveremmo inutile, se Luca fosse soltanto un narratore. Ma in quanto cronista, Luca doveva trovare necessario il fatto che Pietro fornisse una sua versione, benché essa coincida con quella già scritta da lui. Forse è un modo per avvertire che aveva una sua fonte, indipendente da quella di Pietro; o è un modo per farcelo credere. L'episodio, in effetti, si trova in un punto strategico degli Atti, tra la conversione di Paolo (che sarà il protagonista della seconda parte del libro) e la nascita della comunità di Antiochia, dove Paolo verrà invitato da Barnaba, e dove nascerà non soltanto la carriera di predicatore di Paolo, ma la religione chiamata cristianesimo: qualcosa di alternativo alla fede ebraica, praticata indifferentemente da circoncisi e non circoncisi. A dispetto di tutti i legami storici e narrativi che legano il cristianesimo a Gerusalemme, effettivamente la nuova religione non poteva che nascere in una città molto più dinamica e cosmopolita: se a Gerusalemme il sentimento religioso e la persecuzione romana portavano continuamente alla nascita di fazioni e sette spesso ossessionate dalla purezza etnica o dottrinaria, ad Antiochia gli ebrei non erano che una spezia in un grande calderone che mescolava ogni cultura, producendo concetti nuovi. Lassù rispettare le strette regole alimentari della Torah era oggettivamente difficile, lo stesso Pietro non ci sarebbe riuscito a lungo. E per quanto Pietro sia considerato vescovo di Antiochia, ancora prima che di Roma, a portare il cristianesimo nella metropoli non fu né lui, né Paolo, né Barnaba: anzi quest'ultimo, inviato per primo dagli apostoli in città per cercare di capire cosa stava succedendo, aveva constatato che la fede in Cristo era già stata diffusa da non meglio precisati "cittadini di Cipro e di Cirene".
Ora facciamo un piccolo esperimento mentale. Immaginiamo cosa succederebbe alla Storia della Chiesa se cancellassimo i capitoli 10 e 11; se decidessimo per un attimo che il sogno di Pietro è un'invenzione posteriore (già modellata nello stile apocalittico che in quegli anni andava di moda, ma che per il Nuovo Testamento è una novità) e Cornelio un personaggio di finzione. Se ne dedurrebbe che l'iniziativa di spargere il Vangelo tra i gentili, trasformandone radicalmente il messaggio, sia stata l'iniziativa di qualche sconosciuto cipriota o africano (Cirene era la città libica di cultura greca). Come a dire che il cristianesimo sia nato per gemmazione spontanea, in una città in cui ancora nessun apostolo era arrivato; e il primo che arriva – Barnaba – deve limitarsi ad accettare che le cose stanno già così, Gesù ormai è venerato anche dai gentili, la cosa può piacere o non piacere: a Barnaba e a Paolo piacerà, ma sappiamo che altri a Gerusalemme non apprezzeranno. Ma è troppo tardi, per le sue dimensioni Antiochia non può che sovrastare Gerusalemme; Paolo è il principale predicatore che si assumerà le responsabilità di questa innovazione, ma non ne è l'autore (arriva dopo Barnaba) e all'inizio non era neanche considerato un vero e proprio apostolo. Si dice spesso che Paolo abbia inventato il cristianesimo ad Antiochia, ma è Antiochia che ha fatto di Paolo un grande predicatore. Detto questo, appare chiaro quasi subito che i cristiani gentili di Antiochia e gli ebrei della "Via" di Gerusalemme sono due gruppi distinti, che avrebbero facilmente preso strade diverse. Se questo non succede subito, è anche per una questione economica: Barnaba e Paolo non si limitano a predicare il Vangelo, ma organizzano una colletta, raccogliendo i fondi per gli "anziani" di Gerusalemme: il pretesto sarebbe stata una carestia che secondo un misterioso profeta (Agabo, il "grillo"), avrebbe colpito tutta la terra, ma che gli anziani in particolare. Possiamo ritenere che si trattasse sempre degli apostoli originari, testimoni dell'insegnamento e della passone di Gesù, la cui sopravvivenza in terra con gli anni si faceva sempre più preziosa: in attesa che qualcuno scrivesse i vangeli, il Vangelo erano loro. Nel momento in cui la Chiesa di Antiochia probabilmente diventa, per dimensioni, il principale contribuente economico della Chiesa di Gerusalemme, l'idea che i pagani possano essere battezzati non può più essere respinta: forse è questo il momento in cui Pietro sperimenta la sua visione – o si ricorda di averla sperimentata. Luca, dovendo ricostruire l'ordine cronologico, decide di anteporla alle prime notizie della comunità di Antiochia: non ha scelta, se la visione venisse dopo, bisognerebbe ammettere che i pagani hanno cominciato a convertirsi senza aspettare gli apostoli.
Addirittura Luca potrebbe essersi inventato l'intero episodio, coinvolgendo Pietro che dopo i primi capitoli degli Atti era sparito dal radar, ma restava in teoria l'apostolo più autorevole (anche se questa autorità viene messa in discussione più tardi, quando Pietro dà l'impressione di non comandare né a Gerusalemme né ad Antiochia). Quanto al centurione di Cesarea, Luca avrebbe potuto ispirare a un altro centurione che Gesù stesso aveva incontrato a Cafarnao, sul Lago di Tiberiade. L'episodio è riportato, oltre che da Luca, anche da Matteo, l'evangelista più interessato al rapporto tra ebraismo e nuovo cristianesimo. Non ne fa menzione invece il più tradizionalista e asciutto Marco. A questo centurione, che chiede a Gesù di intercedere per un suo schiavo malato, Matteo mette in bocca una frase che tutti i cristiani ripetono ogni domenica a messa: "O Signore, non son degno ti partecipare alla tua mensa, ma di' solo una parola e il mio servo sarà guarito". Gesù ne rimane colpito, e dichiara di fronte ai discepoli: "In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti". Non solo il servo viene guarito, ma tutti noi non circoncisi veniamo salvato in quell'esatto momento. L'episodio, come si vede, riflette la concezione particolare di Matteo, ribadita nella parabola degli invitati alle nozze: anche ammesso che Gesù fosse venuto originariamente per salvare il popolo ebraico, esso ha dimostrato di meritare la salvezza meno dei gentili, i quali hanno rivelato maggiore fede, per quanto non abbiano origini altrettanto nobili (nella parabola, lo sposo snobbato dai suoi invitati, chiede ai servi di andare agli incroci delle strade e invitare i primi che passano). Luca, se da un lato attenua anche in questo caso la veemenza da self-hating jew dell'ex pubblicano Matteo, non si trattiene da aggiungere il dettaglio sociale: il centurione in questione era persona popolare e generosa, e agli ebrei aveva già regalato un'intera sinagoga. Ma soprattutto, questo centurione Luca potrebbe averlo sdoppiato, inserendone una copia nel punto degli Atti degli Apostoli in cui era più acconcio ribadire che Gesù Cristo non fa differenze tra pagani e circoncisi.
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