Berlusconi, lo si è visto nei giorni delle elezioni dei presidenti di Camera e Senato, è un po’ troppo sfibrato per mettersi contro un’ondata che avanza. E poi lo conosciamo: a lui le ondate piace cavalcarle, e proverà a montare anche su questa. Finirà probabilmente disarcionato, ma è la sua natura. Per ora i tg Mediaset hanno smesso di soffiare sull’emergenza criminalità e l’emergenza invasione, un segno abbastanza eloquente. Quanto al Pd, non è proprio sull’Aventino, ma poco ci manca. La linea è ancora quella del segretario dimissionario, ovviamente riassunta in un hashtag: #ToccaALoro. Lasciamoli governare. Vediamo quello che combinano. Sottinteso: non riusciranno a combinare niente, e molto presto ci ricondurranno alle urne. Questo per ora sembra essere l’unico schema del Pd – è anche l’unico schema che preveda una sopravvivenza politica di Matteo Renzi. Ma sembra più il frutto di un’infantile fantasia di rivalsa che di una serena valutazione delle forze in campo. L’idea è che la miscela di Lega e M5S sia talmente instabile da deflagrare prima di trovare un suo equilibrio, come successe per esempio al primissimo Polo delle Libertà del 1994, quello che si spezzò nel giro di sei mesi, portando alla vittoria elettorale dell’Ulivo di Prodi, due anni dopo. Al Pd sembrano pensare che stavolta tutto esploderà anche prima. Eugenio Scalfari su l’Espresso ha aperto i dialoghi di Platone e ne ha tratto auspici favorevoli: facciamogli scrivere una legge elettorale (un’altra!), e poi via che si torna alle urne, anche a ottobre. C’è da dire che lo Scalfari divinatore non va sottovalutato, predisse anche la rielezione di Napolitano al Quirinale. Anche lui sembra convinto che il populismo sia un fenomeno passeggero, intrinsecamente instabile, che appena gli dai un po’ di corda si impicca. Ma alla prova dei fatti non è mai andata così... (continua su TheVision)
C’è anche chi, pur riconoscendo la stabilità degli ingredienti Lega e M5S, ritiene che la miscela si riveli esplosiva. Benché condividano qualche battaglia e qualche parola d’ordine, Lega e Movimento hanno proposte inconciliabili (flat tax e reddito di cittadinanza), espressioni di classi in conflitto (il nord industriale umiliato dalla crisi, il centro-sud piagato dalla disoccupazione). Insomma non funzionerà, non durerà. Come si diceva una volta: le contraddizioni scoppieranno.
Da parte mia non dico che non sia prevedibile e persino auspicabile; e capisco anche chi, giocando al tavolo di Salvini e Di Maio, a questo punto ha una gran voglia di scoprire il bluff. Ma questo non è un normale giro di poker, è la politica italiana: un gioco alquanto più subdolo in cui le contraddizioni tendono a non scoppiare mai, anzi. Il Pd era liberista e socialdemocratico, Berlusconi era miliardario e populista, la Balena Bianca di Moro e Andreotti era conservatrice e (moderatamente) progressista, Mussolini era nazionalista e socialista, e così via. Potremmo risalire fino a Cavour, fino ai Gracchi forse, dappertutto contraddizioni che invece di scoppiare si ingrossano fino a schiacciare gli avversari. Lega e M5S sono le due facce, solo in apparenza inconciliabili, di un unico movimento, che assume diverse incarnazioni in tutta Europa e in Nord America, e che per comodità chiamiamo populismo – la parola più giusta potrebbe essere “sovranismo”. Da Trump a Orban lo schema è simile e prevede l’arroccamento nei propri confini geografici e psicologici, insieme con l’individuazione di un nemico che minaccia la nostra integrità e ci impedisce di essere grandi come nei bei tempi andati. Make America Great Again, grida Trump; l’Italia torni a essere la prima potenza europea, echeggia Salvini senza preoccuparsi troppo del senso del ridicolo. Di solito, però, il nemico individuato è sia esterno che interno: i nemici della grande America di Trump non sono soltanto la Cina e l’Iran ma anche i democratici che hanno stretto con Cina e Iran patti vergognosi.
Anche in Italia i populisti hanno proceduto da tempo all’individuazione del nemico: ma il nostro caso è particolare perché invece di coagularsi intorno a un solo polo, come negli Usa e altrove, c’è stato un curioso sdoppiamento. Da una parte un populismo endogeno, che si è raccolto intorno al M5S e cerca i nemici del popolo esclusivamente al suo interno, identificandoli nella Ca$ta dei politici corrotti e collusi. Dall’altra un populismo esogeno che ha occhi solo per le minacce esterne, vere o presunte (l’Euro, la tecnocrazia di Bruxelles, Soros, Bilderberg); i suoi ispiratori per un po’ hanno pascolato anche nei territori grillini, ma ormai sono stati quasi del tutto reclamati dalla Lega di Salvini. Così succede che nei momenti più propizi per dare addosso agli immigrati, gli uomini di Grillo si sottraggono mostrando spesso il lato più umano (votarono per depenalizzare la clandestinità); viceversa ogni volta che si scoperchia qualche scandalo romano, i leghisti si dimostrano molto meno arrabbiati, molto più garantisti dei grillini – in fondo in trent’anni almeno una tangente l’hanno presa anche loro.
Messi insieme, Grillo e Salvini produrrebbero il populista perfetto: sarebbe davvero una gran fortuna se si rivelassero inconciliabili. Ma è più facile immaginare che siano complementari, e che lo sdoppiamento tra populisti endogeni ed esogeni sia stato causato, piuttosto, dall’altra grande anomalia italiana, Berlusconi. Quel che ha allontanato fin qui leghisti e grillini, infatti, non è un destino ineluttabile, ma la figura dell’ex capo supremo del centrodestra italiano: sostenuta dai primi, invisa ai secondi. E ora che Berlusconi tramonta, c’è il grosso rischio che i populismi apparentemente inconciliabili di Salvini e Di Maio si svelino complementari. Un pericolo che gli avversari dovrebbero sventare a ogni costo. Ammesso che ci siano avversari, ormai.