Dopo aver scritto più di venti libri e lavorato in più di 70 film, in 60 anni di carriera, Paolo Villaggio rischia di essere ricordato soprattutto per aver affermato che la Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca. Questa almeno era l’impressione che davano i coccodrilli dell'anno scorso, tutti percorsi dalla necessità non solo di ricordare lo stesso sketch, ma di fornircene un’interpretazione – più che uno sketch ormai è una parabola, una pagina di un testo sacro in cui tutti troviamo qualcosa di diverso.
Per Mattia Feltri era soprattutto un atto di denuncia contro l’ipocrisia dei dirigenti che si atteggiano a rivoluzionari, come il dottor Ricciardelli che la sera di Italia-Inghilterra convoca i suoi dipendenti e li costringe alla visione del capolavoro muto e in bianco e nero; il vecchio Feltri li avrebbe definiti radical chic, il giovane ci risparmia almeno la definizione. Aldo Grasso invece non riuscì nell'occasione a controllare l’impulso di scrivere “superiorità antropologica della sinistra”, contro cui Fantozzi si ribellerebbe; la sua sarebbe la “resistenza che l’impiegato oppone a chi vuole colonizzare il suo tempo libero”.
Dall’amaca Michele Serra tentava l’impossibile compromesso tra gli orfani di Villaggio e gli estimatori di Ėjzenštejn: “Lo stesso spettatore poteva benissimo amare la Potëmkin e Fantozzi, il cinema d’essai e il cinema popolare. Ma in sale diverse, in momenti diversi e con animo diverso”. È un veltronismo che Villaggio non avrebbe condiviso: anche l’ultima volta che ebbe occasione di parlarne – invitato dalla Cineteca di Bologna nel 2003 in occasione del restauro della Corazzata – ribadì la sentenza fantozziana: altro che capolavoro, era una “cagata” che avrebbe potuto interessare solo “vecchi e insonni”.
E però la necessità di salvare capra e cavoli, Fantozzi e Corazzata, è troppo forte e produce torsioni interessanti, come quella di WuMing1 che dopo la commossa rievocazione di un’epica proiezione della Potemkin in piazza Maggiore propone di leggere l’episodio come una “vertiginosa mise en abime” dei cinque atti del film: “il cineforum è la corazzata; Fantozzi è il marinaio Vakulenčuk che per primo grida la verità su quel che sta accadendo; gli spettatori sono i marinai insorti; l’odioso Riccardelli è gli ufficiali spodestati; la sala occupata è Odessa; la polizia che «s’incazza davvero» ha il ruolo dei cosacchi che reprimono”.
Villaggio novello Ėjzenštejn, e proprio perché si permette di sfottere Ėjzenštejn (...nel momento in cui la borghesia finto-rivoluzionaria se ne impossessa e lo trasforma in un feticcio). A corroborare una lettura tanto epica, WuMing1 riconosce nella saga di Fantozzi un unico personaggio positivo: il marxista Folagra, che dal sottoscala in cui è confinato non rinuncia a spargere il seme della rivolta - un po’ come i WuMing, fedeli al loro personaggio di rivoluzionario in servizio permanente. Folagra però nel film sembra una macchietta, appena in grado di farfugliare quattro slogan autonomisti; la fiaccola rivoluzionaria che passa a Fantozzi si smorza subito nel Grande Acquario dei Dipendenti. Del resto non è che ai personaggi di WuMing la rivoluzione di solito riesca: sin dai tempi di Q non hanno fatto che raccontare storie di rivoluzionari magari più strutturati di Fantozzi, ma ugualmente destinati alla sconfitta. Paolo Villaggio in questo senso è un marxista più ortodosso (o più novecentesco): quando scriveva e sceneggiava Fantozzi, sembrava avere in mente una concezione meno vicina alla New Italian Epic che all’epica brechtiana: come Madre Coraggio, Fantozzi non acquisisce mai una vera consapevolezza della propria condizione di sfruttato. Non è lui che doveva svegliarsi, ma lo spettatore.
Non è esattamente andata così. Il secondo tragico Fantozzi è un film del 1976, un’epoca pre-tv-color in cui i cineforum impegnati erano ancora una realtà non solo nelle grandi città – e in effetti lo sketch era nato in tv come una satira di quell’ambiente, che Villaggio conosceva bene; solo in un secondo momento era stato riadattato all’universo fantozziano. Il successo dei primi Fantozzi di Salce e Villaggio fu notevole, ma la vera penetrazione nell’inconscio collettivo avviene nel decennio successivo, quando la Mediaset ne acquisì i diritti e cominciò a riprogrammarli intensivamente – al punto da risorgere anche il personaggio cinematografico, in una serie di sequel sempre più deprimenti.
È solo in quel momento che “è una cagata pazzesca” diventa un modo di dire della lingua italiana (70.700 risultati su google); una specie di versione adulta e sboccata dell’andersoniano “il re è nudo” (anche “92 minuti di applausi” era già un meme prima delle GIF: nell’era pre-facebookiana di internet la citazione fantozziana era un buon surrogato del tasto “Mi Piace”). Nel frattempo però il paesaggio che Villaggio irrideva – quel mondo scalcagnato di cineforum fumosi coi seggiolini di legno – era completamente scomparso; e Ėjzenštejn dimenticato, anche dal palinsesto notturno di Rai3. La tv commerciale stava crescendo una nuova generazione di cinefili, forse non meno fanatici del dottor Ricciardelli, ma dai gusti completamente diversi: completamente digiuni dei maestri russi e degli espressionisti tedeschi, ma in grado di riconoscere un film di Bombolo o Lino Banfi dal singolo fotogramma.
Chi cresceva in quegli anni poteva condividere la sensazione di ritrovarsi bloccato nella scena dell’assedio fantozziano, e costretto come Ricciardelli a vedere a ripetizione “Giovannona Coscialunga, L’esorciccio e La polizia s’incazza”. Tra questi titoli ormai imprescindibili della storia del cinema italiano, non mancavano i film di Fantozzi. La rassegna integrale, sempre più lunga e ridondante (e triste, nel suo lungo percorso verso il trash), veniva riprogrammata una volta a semestre. I megadirettori delle emittenti ci convocavano per sentirci ridere – ridere stava diventando obbligatorio, come una volta partecipare al dibattito. Invece dell’“occhio della madre”, era obbligatorio menzionare il "radical-chic" e la “superiorità-antropologica-della-sinistra”; al posto del “montaggio analogico”, c’era lo sberleffo obbligatorio verso un modello di cinema e di società che non avevamo nemmeno fatto in tempo a conoscere. È andata così e non è certo responsabilità di Paolo Villaggio; comunque è finita. Vero?
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pensa te che io il film di Ėjzenštejn (ho fatto copia&incolla, mica so dove e come vanno tutti gli accenti) l'ho visto a scuola (grafica pubblicitaria) e mi aveva molto impressionato: un capolavoro. Da allora considero un idiota chiunque ne parli male, soprattutto senza averlo mai visto. Diciamo che le tivvù di Berlusconi hanno fatto tanto per imbarbarire il pubblico. Oh, intendiamoci, nessuno obbligava nessuno a vedere Drive in... Diciamo che l'onda lunga del rincoglionimento ha raggiunto tutto: la tivvù, il cinema, la letteratura... Ma insomma... tutto passa, però 'mmazza quanto 'sta a dura' st'onda!
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RispondiEliminaPosto che sono un cinefilo amatore (non accademico), ci sono a mio parere vari approcci alla questione:
RispondiEliminauno tendenzialmente accademico che non può prescindere ne dalla corazzata ne da Fantozzi, entrambi fanno parte della storia del cinema, vanno analizzati in quanto eventi "storici" nell'ambito cinematografico, il che non significa che ogni film faccia "storia del cinema", ma questi si; chi si avvicina da amatore al cinema e ne vuole carpire il senso più profondo seguirà un percorso più o meno personale, e sicuramente arriverà anche alla corazzata, mentre Fantozzi comunque lo conosce già per forza; chi di un film percepisce solo la trama (e non la regia, il montaggio, la fotografia, la scenografia insomma tutti gli altri elementi del linguaggio) e le battute e non distingue nemmeno tv e cinema e peggio ancora ritiene "vecchi" i film dello scorso anno, è fuori gara, ma fantozzi lo conosce almeno per sentito dire e della corazzata forse non conosce neanche la battuta.
Al tempo di Netflix e delle serie tv, dei remake e dei reboot infiniti di mille supereroi, oramai tutto questo sembra sempre solo destinato a rimanere in una cattedrale della storia del costume, roba per archivisti e bibliotecari. Non è più importante nemmeno ridere, è importante consumare roba nuova, nuovissima, e poi buttare via tutto e ricominciare.
Anche se, da bravo analfabeta, non ho mai visto il film di Ėjzenštejn, credo che quest'analisi sia molto condivisibile. Non sono d'accordo dall'assolvere del tutto Villaggio dalla deriva che hai descritto: negli Anni Ottanta Villaggio (e tanti altri comici, anche di valore) ha contribuito alla grande a uno dei periodi cinematografici più scadenti della nostra storia, volontariamente e venendo pagato in modo profumato; poi magari nel tempo libero si candidava con Democrazia Proletaria, ma nel frattempo si arricchiva con film 'mostruosi' (per usare un termine da lui molto usato). E d'altronde non ha saputo affrancarsi dal personaggio di Fantozzi (anche negli altri film tra i '70 e gli '80 interpreta sostanzialmente cloni del ragioniere), nonostante la china sempre più scadente presa dal suo personaggio e dalla (presunta) satira verso la società. Villaggio appartiene a una generazione di artisti sconfitta, ma che si è arricchita sulla propria sconfitta.
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