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domenica 13 febbraio 2022

Continuerò a nominare le donne con l'articolo determinativo, anche se oggi è sbagliato


Buongiorno a tutte e tutti. Non è che abbia nulla di importante da aggiungere sull'argomento, ma siccome vedo si continua a parlare di schwa, e se ne parla soprattutto grazie ai detrattori dello schwa (perché è così che funziona, sempre, ma tanto non mi ascoltate), ora mi metterò sulla scia. Ne approfitto per dare una spiegazione a chiunque si ostini a venire a leggere qualcosa qui. Nessuno me l'ha chiesta, nessuno forse la leggerà fino in fondo, ma insomma prima o poi sento di dover spiegare perché mi ostino a scrivere certe parole in un certo modo. La fondamentale questione che affronterò qui sotto è l'articolo determinativo davanti al cognome femminile, che per una questione di linguaggio inclusivo molti tendono a eliminare. Io no. 

A meno che qualcuno non riesca a farmi cambiare idea – ma lo sapete quant'è difficile – io continuerò a usare l'articolo determinativo davanti al cognome femminile. Questo in pratica significa che laddove mi capitasse di scrivere un pezzo in cui compare, per fare un esempio, l'attrice Isabella Rossellini, io cercherei per quanto possibile di scrivere sempre nome e cognome per esteso; ma se per brevità dovessi eliminare il nome, la chiamerei "la Rossellini", mentre se scrivessi soltanto "Rossellini" probabilmente starei alludendo al padre regista. Ora, non c'è dubbio che questa abitudine – che quando ho imparato a scrivere era considerata una buona abitudine – possa essere intesa in senso discriminatorio: io però ci ho ragionato molto e ho deciso che non la sto usando in questo senso e che quindi continuerò a usarla. Perché?

Non lo faccio perché io creda, come si credeva fino a qualche decennio fa, che le donne siano in qualche modo meno 'proprietarie' del loro cognome: per me la Rossellini ha gli stessi diritti di suo padre di chiamarsi così. Si tratta di una questione pratica, perché è la pratica che mi orienta sempre in queste situazioni: così come lo schwa mi sembra poco pratico, allo stesso modo abolire l'articolo mi toglie un sistema molto semplice per distinguere, in un testo scritto, una persona di sesso maschile da una persona di sesso femminile. E veniamo al nucleo del discorso: distinguere non è (necessariamente) discriminare. A chi mi chiedesse: perché ci tieni tanto a far capire sempre e comunque che la persona di cui tu parli ha un determinato sesso?, risponderei: non è che ci tengo tanto, ma se la lingua che sto usando mi dà la possibilità di veicolare con lo stesso numero di parole un'informazione in più, perché me ne devo privare? non vedete quanto sono già lunghi i pipponi che scrivo? Se ho la possibilità di mostrare a tutti i lettori, con due lettere, che una persona di cui sto parlando è una donna (o un uomo), perché devo rinunciarvi, col rischio di dover poi precisare nel paragrafo successivo che appunto, si tratta di una donna (o di un uomo)? Per me è una questione di praticità e basta.

Non lo faccio perché io voglia discriminare le donne, né in modo negativo né in modo positivo: voglio solo un modo pratico per riconoscerle (e per riconoscere gli uomini). Se da domani si decidesse di togliere l'articolo alle donne e metterlo agli uomini per me andrebbe ugualmente bene (salvo che no, non funziona così: la scrittura è un'abitudine, e rompere le abitudini è complicato per me che scrivo e per voi che leggete). Purtroppo in italiano non si è omologato come in altre lingue l'uso di anteporre sempre l'appellativo al cognome: se scrivessi, per dire, in francese, "Mme" e "M" mi toglierebbero d'impiccio. Così in inglese Mr e Ms. In italiano "signore" e "signora" non sono altrettanto elastici: una situazione più equa sarebbe introdurre l'articolo anche davanti ai cognomi maschili, alla milanese; se qualcun altro lo propone posso anche provarci, ma alla fine la soluzione che abbiamo è più economica. 

Non lo faccio per litigare – sul serio, in realtà a me piace litigare, ma spero di trovare sempre argomenti più interessanti, e a tal proposito devo dire che in questi giorni, tra una pandemia e una probabile guerra in Ucraina, questa idea che qualcuno possa preoccuparsi tanto per l'uso di uno schwa in un documento, che qualcuno stia veramente in ambasce per via del linguaggio inclusivo mi suona quasi divertente: qui siamo oltre all'orchestrina del Titanic, siamo a quelli che ascoltavano l'orchestrina e avevano da ridire sull'acconciatura del batterista. Allo stesso modo, mi è già capitato di notare che qualcuno si risentisse perché scrivevo un cognome femminile con "la" davanti, ma in tutti i casi era gente già arrabbiata con me per motivi più seri. 

Non lo faccio per oppormi a un movimento che lotti per la maggiore inclusività e pariteticità nella lingua italiana, non avendo io nessun reale motivo per oppormi. La lingua cambia ed è molto probabile che questa mia abitudine (che ripeto, quando cominciai a scrivere era una regola) molto presto venga interpretata come un vezzo, e magari un vezzo che riveli il sessismo inconsapevole della mia generazione. Posso capirlo e mi sta bene: sono cose che succedono continuamente, ci basta aprire qualsiasi libro o giornale di trent'anni fa per trovare già espressioni che oggi suonano strane e a volte fastidiose. E allo stesso tempo quelle espressioni sono vere, sono il motivo per cui studiare testi del passato è straniante e affascinante, e modificarle equivarrebbe ad alterare subdolamente il passato.

Siccome nel mio passato ho scritto molte cose imbarazzanti ma (grazie al cielo) nulla di davvero incriminante, non modificherò nulla: e non modificherò nemmeno il modo in cui scrivo adesso, ormai è una questione di coerenza. Lo so, è la coerenza dei testoni, del resto quando cominci a fare una cazzata, più passano gli anni più costa fatica ammettere che hai fatto una cazzata. Verso i 45 anni si arriva a un punto di rottura, molta gente si converte in quel momento perché dopo è praticamente impossibile, l'energia necessaria ad ammettere la cazzata diventa così grande che ti distrugge. Quel punto di rottura, credo proprio di averlo sorpassato: l'idea di aggiornarmi per far piacere agli inclusivisti di oggi mi ripugna un poco, temo che sia persino fatica sprecata in un momento storico in cui ti basta dare un calcio a un sasso e ci trovi sotto un tizio che ti spiega come scrivere correttamente per non offendere qualcunə. Mi conviene restare dall'altra parte, un museo vivente degli usi e costumi linguistici del secolo scorso. Magari con questa scusa qualcuno mi verrà a trovare più spesso. 

13 commenti:

  1. io infatti non scrivo di schwa. Però spezzerei una lancia per l'articolo davanti ai cognomi, anche se la mia torinesità di nascita me lo fa sentire strano. Almeno ci sarebbe una piena parità. Quasi quasi comincio a farlo.

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  2. "voglio solo un modo pratico per riconoscerle (e per riconoscere gli uomini)".
    non è però curioso che questa esigenza venga completamente disattesa nel maschile sovraesteso, e nessuno sembri accusarne il colpo?
    poi, per carità, difendibilissimo l'approccio pigro in sé, senza che debba essere tacciato di sessismo.

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  3. Non è che inglese e francese siano messi davvero meglio perché gli inglesi usano Mrs e MS (o Madame e Madomoiselle in francese) dunque distinzione tra cognome acquisito con matrimonio o cognome da nubile.
    Per esperienza personale so di donne che preferiscono usare Dr o Prof proprio per evitare di dover specificare il proprio stato civile in conversazioni nel quale non ha motivo d'essere considerato.
    Labadal

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  4. ehm ehm...qui in Francia ormai il termine "Mademoiselle" si usa solo nel linguaggio parlato, e ancora... Leggete, se volete, questo articolo : https://www.liberation.fr/checknews/2018/06/29/est-il-vraiment-interdit-de-dire-mademoiselle_1662793/

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  5. In effetti se fra una settimana potrebbe scoppiare la terza guerra mondiale, stare a discutere di schwa o se sia meglio dire predecessora o preceditrice sono lana caprina alla settima.
    Però (che bello iniziare un periodo con "però") io personalmente ho sempre trovato inadeguate certe strutture grammaticali delle lingue neolatine in merito ai plurali collettivi "Cari studenti" detto in una scuola col 95% di ragazze mi è sempre sembrato fuori posto, quindi ben venga il "carə studentə", che suona un po' molisano e risolve il problema.
    Io vengo da una zona linguistica dove è normale anteporre l'articolo dinnanzi a tutti i cognomi ("Mi vedo col Barsanti" e "Mi vedo colla Barsanti"), ma mi tendo conto che per molti non toscani ciò possa apparire stridente.

    Secondo me, schwa o non schwa, ma anche rumeni o romeni, lagrime o lacrime, occorre partire dal presupposto che la lingua la fa chi parla e che le grammatiche sempre seguono a ruota: se fra 20 anni si sarà diffuso il doppio articolo o nessuno articolo, certe espressioni appariranno arcaiche, altrimenti no: la lingua serve per comunicare, sgorga istintiva.
    Se agli italiani è venuto istintivo di trasformare le lagrime in lacrime, forse fra 20 anni avranno lo schwa istintivo... o forse no.

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  6. Per citare il poeta (?): ...s'annamo a pijà 'n gelato?
    In questo caso (ma solo in auesto caso) ha ragione la ballerina, sarà il tempo a decidere chi avrà vinto. Ma secondo me sarà difficile che vinca qualcosa di impronunciabile! Quindi continueremo a sentire "care cittadine e cari cittadini" ecc.

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    1. Beh, pochi decenni fa anche "computer" era impronunciabile, tanto che sino agli anni 90 si diceva "calcolatore" ;)

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    2. Ignoro quale espressione usasse Andreotti (il matematico, non il politico), ma pei corridoi da lui calcati udii molte volte la parola "calcolatore".
      Poi siamo arrivati noi giovincelli nati da ridosso del cambio di millennio e abbiamo rovinato tutto con il termine inglese:P

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    3. Eh già, "sino agli anni 90" omini rivestiti di pelli di fèlidi, se e quando non intenti a combattere un dinosauro o a manufacere la selce, solevano dire cose come calcolatore, dagherrotipo, velocipede, torpedone, paternoster.

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  7. Dire scevà no? Ah, l'italianissimo scevà, signore mie (femminile sovresteso) altro che questi vezzi stranieri. Trovo ammaliante l'idea di metterci tutte a parlare come Tina Pica, ma sono emiliana e l'articolo si usa anche davanti ai nomi femminili, non solo i cognomi. Posso rinunciare all'articolo solo per confondere gli uomini (una minoranza) che non leggono le donne

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  8. Quando mi capita di parlare di un personaggio femminile uso l'articolo davanti al cognome, ma sto cercando di abituarmi a non farlo per una questione di eleganza. Con l'articolo mi sembra sempre di additare la persona, di dire "quella là", in modo negativo.
    E negli ultimi 5-10 anni ormai mentalmente non posso fare a meno di associarlo a un certo politicante che dice(va) "la Boldrini...", "la Merkel...", quando mi capitava di vederlo al telegiornale (sto anche cercando di evitare i telegiornali).
    Leonardo, prova anche tu ad associarlo a quell'individuo, magari funziona per convincerti a smettere di usare l'articolo...
    Andrea

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