Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

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sabato 26 marzo 2022

I talk fanno schifo e nessuno li guarda davvero


1. Con gli anni '90 il dibattito politico in Italia si sposta irreparabilmente dai quotidiani al palinsesto tv. I talk show diventano il luogo primario in cui l'opinione pubblica, in teoria, si esprime. In pratica diventa da subito una grande caciara. Un'apparente varietà di voci nasconde (neanche troppo bene) una semplificazione brutale sia degli oggetti del discorso sia dei soggetti che discutono. La tv del resto è ancora metà Stato e metà Mediaset, due entità che non per coincidenza cominceranno ciclicamente a sovrapporsi. Un fantasma di pluralità veniva nobilmente concesso ai telespettatori mediante quella pratica primorepubblicana conosciuta come "lottizzazione". 

2. I talk sono un'arena in cui vince chi chiacchiera in modo più spigliato. L'approfondimento è un servizio di due o tre minuti; l'esperto deve semplificare e far sua la retorica degli imbonitori. A ogni tesi deve seguire un contraddittorio perché la sintassi del talk lo prevede, e se non si trova nessuno decente in grado di contraddire una tesi, lo si paga. Oppure se ne prende uno gratis, ma indecente.

3. I talk fanno schifo. Quelli fatti bene. Stanno al dibattito politico come il wrestling alla lotta libera. Le eventuali competenze degli invitati non si misurano sul campo, ma si esibiscono proprio come i muscoli dei wrestler. Chi vince e chi perde è già deciso in partenza, così come il premio partita per entrambi. Spesso i più bravi sono proprio i cattivi: farsi odiare è un'arte e non stupisce che gli ingaggi possano essere più alti. 

4. Nessuno li guarda davvero: il sospetto è che chi ne parla si sia visto perlopiù gli highlights ritagliati sui social, i clippini in cui l'Opinionista A "asfalta" l'Opinionista B (è wrestling, appunto). Sostutuendosi all'informazione e al dibattito, i talk hanno alienato milioni di persone nate e cresciute in un Paese in cui la politica era quella cosa lì, quella di cui si discuteva nei talk urlati e/o noiosi. Quando una deputata del M5S, all'indomani della vittoria elettorale del 2013, si ritrova a un tavolo con Pierluigi Bersani, il suo primo pensiero non è: sto discutendo a tu per tu con il rappresentante del primo partito italiano. Quando apre bocca, è per dire: "sembra di stare a Ballarò". In quale altra dimensione potrebbe Bersani discutere con qualcuno? La deputata esprime la sua incredulità, per essere passata come Alice dall'altra parte dello specchio: e insieme il suo rifiuto per tutto ciò che, essendo televisivo, non può essere autentico.  

5. Il motivo per cui i canali tv hanno insistito sui talk è meramente economico: costano poco. Meno della fiction, meno dei reportage. La maggior parte degli ospiti partecipano gratis, per conquistarsi la famosa visibilità che in molti casi serve ad accreditarsi in talk più importanti, in una spirale di fama e di follia che ha convinto molte persone di essere statisti proprio nel momento in cui venivano esibiti come pupazzi. 

6. È più di un decennio che stiamo selezionando la classe dirigente coi talk: direi che non sta funzionando. Del resto già i Cinque Stelle nel 2013 erano una reazione alla politica-talk: al tempo dovevano solennemente giurare di non andare in tv (in seguito si lamentavano di non essere invitati). La fine politica di Monti comincia proprio con le sue comparsate televisive: Draghi se ne tiene ben lontano, e del resto un altro politico che è sempre andato pochissimo in tv e non si è mai fatto coinvolgere nei talk è Silvio Berlusconi.

7. Prendete due persone ugualmente istruite: uno guarda i talk tutte le sere, uno non li guarda mai. Il primo non risulterà in nessun modo più informato del secondo. Io non ho mai guardato un talk per più di dieci minuti in vita mia. Non capisco come una persona possa arrivare all'undicesimo senza addormentarsi. Il contenuto di un talk di due ore si può sintetizzare in un testo leggibile in cinque minuti. 

8. I talk sono diventati il paesaggio informativo: non li guardiamo ma diamo per scontato che ci siano e che li guardino gli altri. Questo in parte potrebbe spiegare come mai molta gente si consideri oppressa dalla politica e dai dibattiti da talk show benché persino in televisione ci sia un'abbondanza mai vista di contenuti alternativi. Tutte le culture anti-"mainstream" insistono molto sul concetto che occorre spegnere la tv: se chiedi a un adepto di che tv stia parlando, invariabilmente si tratta dei talk show. Ed è sempre un talk show che hanno guardato più di te. Il novax medio dice di non avere la tv in casa ma sa distinguere un virologo televisivo dall'altro, io non ho mai imparato ad abbinare nomi e facce.

9. Non esistono ricerche in merito e non saprei come farle, ma ho il forte sospetto che il pubblico dei talk show sia per lo più composto da spettatori che detestano i personaggi – così come del resto chi guarda i programmi di cronaca nera detesta gli assassini e li vorrebbe catturati e puniti. La maggior parte dei pupazzi è sulla ribalta per farsi detestare, e lo sanno: si comportano odiosamente perché in questo consiste l'ingaggio. 

mercoledì 16 marzo 2022

Vogliono sapere chi è il Buono (i ragazzi)

I ragazzi vogliono sapere se ha ragione Putin piuttosto che Zelensky, e se i russi sono i buoni e gli ucraini i cattivi. Le cose sono più complesse ma i ragazzi vogliono sapere questo, e fino a una certa età non hanno torto. Ne sono abbastanza convinto. Per capire le cose complesse devi prima averle studiate semplici. I ragazzi vogliono sapere chi ha cominciato: non puoi ogni volta ripartire da Pietro il Grande o da Ivan il Terribile. Vogliono sapere chi è il nazista, e quando scoprono che ce n'è da entrambe le parti ci restano male. Perché sono ragazzi. Ed è giusto che siano così. 


Ma è giusto anche crescere. E un sacco di gente qui sopra dovrebbe farlo. Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Da quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Questo è Paolo di Tarso, dalla prima lettera ai Corinzi, che forse ha fondato il Cristianesimo ma era anche un infiltrato del Sinedrio, o più probabilmente dei Romani, per dire quanto siano complicate le cose. E subito soggiunge: adesso vediamo come in uno specchio, in modo oscuro. Questo è essere adulti: trovarsi davanti a uno specchio – e quindi, tra le altre cose, ingombrati dalla nostra stessa figura che ci impedisce di capire le cose interessanti sullo sfondo: il nostro cosiddetto punto di vista è anche il nostro limite, l'orizzonte insuperabile. Certo, Paolo un modo per superarlo sosteneva che lo avremmo trovato. E siccome parla di uno specchio, viene da pensare che il suo Regno dei Cieli ci avrebbe colto alle spalle: all'improvviso ci saremmo voltati, e avremmo visto la realtà, simile a come la vedevamo specchiata ma anche completamente diversa – uno straniamento simile a quello che ci dà il nostro volto quando lo vediamo in videocamera invece che allo specchio – e soprattutto senza il nostro Io tra i piedi, finalmente affrancati dalla nostra Soggettività, dai nostri desideri, dalle nostre paure, un giorno noi avremmo visto il mondo com'è davvero, come i ragazzi pretendono di vederlo. 

I ragazzi possono anche accettare che esistano diverse narrazioni: che i russi la raccontino in un modo e gli ucraini in un altro. Però poi vogliono sapere qual è quella vera. Non gli interessa Pirandello, non li appassiona Rashomon, loro pretendono l'Oggettività e se gli chiedi: esiste questa classe quando non ci siete dentro? propongono di accendere la webcam. L'eterogenesi dei fini è molto al di là del programma di terza media – le avessero trovato un nome più sexy chissà, ma io stesso comincio a sbadigliare appena dico eterogenesi.

Parlando di specchi (e di voltarsi all'improvviso) mi è venuto in mente Cartesio. Almeno una volta all'anno mi piace raccontare la storia di Cartesio che a furia di dubitare di tutto, scopre di non avere nessuna prova per sostenere che esista alcunché: tutto potrebbe essere stato creato da un demone un istante fa, ecco, questa cosa fa sempre il suo porco effetto perché anche oggi alla fine i ragazzi stanno crescendo a pane, bufale e antibufale, ogni tanto rivelano una propensione ormai istintiva al debunking, qualsiasi cosa gli racconti potrebbe essere falsa e alla fine il dubbio cartesiano non è che il punto estremo a cui tende ogni complottismo e ogni debunking: tutto quello che sappiamo è falso; il demone ora si chiama Bill Gates o George Soros ma il suo mestiere è più o meno lo stesso. E l'unica via di uscita sembra ancora quella scoperta da Cartesio, che se devo essere onesto mi è sempre parsa un cunicolo fragilissimo, ma tant'è: Io Penso. 

Potrei essere una gelatina in fondo al mare, uno schiavo in una caverna, un servo sciocco dei potenti della terra, ma qualcosa sto pure pensando. Leggo storie, le confronto, alcune mi sembrano più verosimili perché col tempo ho sviluppato un gusto per la verosimiglianza, un senso per i rapporti causa effetto, alcuni trucchi che di solito mi danno soddisfazioni (ad es. se c'è chi parla di sesso e chi parla di economia, di solito ha ragione chi parla di economia: insomma è più facile che questa guerra si faccia per un gasdotto che per il gay pride. Ma potrei sbagliarmi). Tutto questo l'ho sviluppato perché ho studiato storia, sin da bambino. E all'inizio l'ho studiata molto semplice, su libri con tante illustrazioni, perché ero bambino. Ma le illustrazioni erano molto belle, la storia era ben raccontata, e oggi eccomi qui. Vedo gente intorno a me che non riesce a staccarsi dallo specchio: credono di vedere la Russia e l'Ucraina, e perfino la Crisi dell'Occidente – secondo me si stanno guardando i brufoli del naso. Ma come posso dirlo? Forse che non ho anch'io il mio bello specchio davanti? Sì, e infatti i miei brufoli li vedo benissimo: ho imparato a strizzarli e anche che nella maggior parte dei casi è meglio ignorarli, un giorno se ne andranno o forse no, ma comunque non sono interessanti. Come faccio a sapere che quel che vedo io è più oggettivo di quel che vedono tanti altri? Ragazzi, mi dispiace, non posso saperlo. Posso solo leggere, informarmi, ascoltare più campane possibili, e poi.

E poi devo scommettere. 

Ovvero, no, non sono obbligato. Posso anche aspettare e vedere come va a finire. Ma non lo trovo sportivo, ecco. La storia che ho studiato è piena di gente che si è guardata intorno, ha fatto un po' di calcoli, e poi si è buttata. Non sempre ci hanno preso, è il senso del gioco. Io non ho le responsabilità di una Giovanna d'Arco o di un Churchill, ma da che pulpito potrei mai giudicarli, se non provo qualche volta a buttarmi anch'io? Vivere nella storia significa buttarsi, ogni giorno è l'otto settembre, le informazioni non sono mai complete, chi ti spara addosso non è necessariamente quello a cui dovresti sparare tu. Senz'altro posso nascondermi in un angolo, continuare a leggere storie su storie e aspettare che arrivino i vincitori a bruciare quelle dei perdenti. Un sacco di gente ha sempre fatto così, e un'altra cosa che la gente fa è eliminare i documenti imbarazzanti. Sarà interessante, tra qualche tempo, verificare come si riposizioneranno i sostenitori di Putin, se Putin perde. Oppure vincerà, e in quel caso sarà interessante vedere come mi riposiziono io. So benissimo che nessuna delle due parti ha il 100% di ragione, lo 0% di torto. So persino che "ragione" e "torto" non sono categorie storiografiche. Io però qualcosa ai ragazzini lo devo dire, e gli dico così: studiate, leggete il più possibile, quando qualcuno vi sembra molto convinto andate a cercare qualcun altro che sembra molto convinto della tesi opposta. Imparate anche a riconoscere in voi stessi un limite, perché se la fuori c'è gente che la racconta esattamente come vi piace, non significa che conoscono meglio la storia; più probabilmente conoscono meglio voi e verificate subito se non vogliono vendervi qualcosa; e a parte questo, per quel che mi riguarda, dopo aver lungamente studiato e ponderato, mi prendo la responsabilità di dirvi che questa è una guerra imperialista e che la Russia non ha alcun diritto di devastare l'Ucraina. Almeno questo è quel che penso io: voi studiate e poi ditemi se ho ragione. Io posso sbagliare e non ho idea di come andrà a finire. 

Ma sono contento di avervi mostrato il dottor Zivago all'inizio dell'anno, perché ho appena letto che i russi stanno scavando trincee intorno a Kiev (chissà se è poi vero) e mi è venuta in mente una delle scene che vale il film intero, il momento in cui ai soldati si rompono gli stivali, si rompono i coglioni e tornano a casa, dove c'è il nemico più serio: ecco, se potessi scegliere un finale, io indicherei questo.

domenica 13 marzo 2022

Adesso sappiamo quanti buchi servono

Negli ultimi tre mesi non ho scritto molto qui per vari motivi, l'ultimo dei quali è che quando davvero mi veniva voglia di scrivere qualcosa, era sempre sui Beatles e la riversavo nel Magical Mystery Tournament, che è appena finito, nel modo più prevedibile. Accludo l'ultimo comunicato:

Ops, quasi mi dimenticavo. E il vincitore del Magical Mystery Tour 2021/2022 è...

A Day in the Life (Lennon/McCartney), traccia finale di Sgt Pepper's Lonely Hearts Club Band (1967).

Tutto qui, nessuno ha vinto niente. Io però ho avuto un'opportunità per scrivere ancora altre cose sui Beatles – cose che probabilmente avevo già scritto e meglio, ma è uno di quei casi in cui il percorso (the long and winding road) era molto più interessante del punto d'arrivo (tante grazie, ha vinto il brano che era già numero 1 nel ranking). Per me ormai scrivere dei Beatles è come parlare del tempo – cioè no, perché io mi annoio a parlare del tempo, mentre potrei continuare a scrivere inezie inutili sui Beatles probabilmente all'infinito, mentre il mondo brucia e i compiti da correggere si accumulano. 

Credo che il senso sia esattamente questo: il mondo brucia, la scuola è sempre più complicata, ogni tanto ho bisogno di mettermi a scrivere cose assolutamente inutili e soprattutto che non facciano litigare nessuno – quasi nessuno, dai, ma se avete presente com'è messo facebook in questo periodo vi rendete conto che le tensioni lennonisti vs paulisti sono una cosa da nulla. Credo di essere arrivato ai Beatles proprio per esclusione: mi serviva qualcosa che piacesse a tutti e non offendesse nessuno. Ci tengo a dire che di solito mi piace offendere tutti mentre scrivo, e litigare on line è sempre stata una passione che ho coltivato più del sesso, non scherzo, il sesso è più piacevole ma litigare on line mi veniva più spontaneo, ma a questo punto della mia vita è come se avessi bisogno di un'oasi, un'Arcadia in cui mettermi a scrivere all'infinito le stesse storie di pastorelle o scarafeggi. E non di me, un'altra cosa importante è che ero stanco di scrivere di me, ma rileggendo questo paragrafo direi che mi è tornata la voglia. 

Vabbe', tornando ai Beatles ricordo che anche se A Day alla fine ha vinto tutto, non ha mai stravinto: anche prima della discussa semifinale contro Eleanor Rigby, i margini contro le contendenti erano sempre di poche decine di voti. Arriva sempre prima, ma sempre di poco. Credo che a farla preferire sia proprio la sua natura compromissoria: è sperimentale ma è anche una ballata struggente, è di John ma è anche di Paul, c'è l'orchestra ma serve a far rumore, è in Sgt Pepper ma non c'entra niente con il mood di Sgt Pepper, parla di una morte assurda e tragica, ma cerca di buttarla in ridere. Forse se dovessimo scegliere soltanto una canzone per spiegare chi erano i Beatles, sarebbe quella che tiene assieme più sfaccettature del fenomeno. Ma grazie al cielo non lo dobbiamo fare. E grazie a tutti voi per avermi tenuto compagnia (compreso i bot, ciao bot, mi dispiace che non ha vinto Eleanor, però in effetti mi sembra la scelta ovvia per un bot). Spero di avere ancora tantissimo tempo per scrivere inezie su cose inutili, magari non sui Beatles ma ugualmente inutili. 

CLASSIFICA FINALE

1. A Day in the Life 

2. Hey Jude 

3. Eleanor Rigby 

4. Strawberry Fields Forever

La pagina facebook

Il tabellone

giovedì 10 marzo 2022

Il lacerante dilemma del pacifista occidentale (come se a qualcun altro interessasse)

Tra le tante opinioni che ho letto disordinatamente in questi giorni, il concetto che mi è rimasto più attaccato alla coscienza è quello di "westplaining" – il solito neologismo americano, sì, ma l'idea mi è abbastanza familiare e risuona sulle stesse corde del mio pacifismo (vedi per esempio qui). La sensazione che la responsabilità della guerra in Ucraina sia da attribuire all'espansionismo Nato e Ue non sarebbe soltanto quella che più piace raccontarci a Putin e al suo ufficio stampa, ma anche "westplaining", ovvero una spiegazione che serve soprattutto a noi occidentali e ci conforta sul fatto che qualsiasi cosa succeda in Europa o altrove sia comunque causata da noi (qui un'invettiva molto più sanguigna). Il mondo, com'è noto, pesa sulle nostre spalle: non solo su quelle dei nostri governanti, che in effetti partecipano ai summit della più grande alleanza militare della storia dell'umanità; il mondo ricade anche sulle spalle di noi pacifisti, che allo scoppiare di ogni guerra ci scopriamo lacerati da dilemmi dolorosi: sostenere l'Ucraina o chiedere la cessazione illimitata delle ostilità? Zelensky eroico difensore del suo popolo o pazzo scriteriato che sta portando l'Ucraina alla rovina? Come se all'atto pratico a Zelensky interessasse la nostra opinione: come se davvero dipendesse da noi se all'Ucraina arriveranno armi o solo belle parole. In questo non siamo poi molto diversi, noi pacifisti occidentali, dai nostri acerrimi nemici sin dai tempi della prima guerra in Iraq: gli interventisti casco-in-testa, i neocon sempre con un po' di democrazia in tasca che vorrebbero esportare da qualche parte dove abbia ancora un valore, gli appassionati di scontro delle civiltà. Per loro non siamo intervenuti abbastanza, non siamo intervenuti in tempo; noi invece magari temiamo di essere intervenuti troppo, ma insomma il dibattito rimane una cosa tra noi. Agli ucraini e ai russi è inutile chiedere, anche perché sappiamo tutti che razza di propaganda c'è laggiù, ogni fazione tira acqua al suo mulino eccetera.  

E però la guerra dura da due settimane ormai (ed è credo la più grande alla quale ho assistito in vita mia, questo va detto: sì, ci sono state molte altre guerre e alcune si combattono tuttora, ma l'invasione di un Paese grande e popoloso come l'Ucraina è un fatto nuovo, non solo per la vicinanza, ma per la mera quantità: milioni di profughi sono qualcosa che non prevedevamo e non sappiamo come gestire). Dicevo: la guerra dura da due settimane ormai, e se mi è concesso trarne una conclusione provvisoria, direi che gli ucraini non vogliono arrendersi. Può darsi che convenga a loro e sicuramente converrebbe a noi: se non sta succedendo, non è per la tigna di un presidente guitto (chi siamo noi, tra l'altro, per giudicare i guitti presidenti). È probabile che la Nato avrebbe dovuto accostarsi col piede più cauto alla frontiera russa, ma indipendentemente da tutto ciò, se c'è una costante nella storia del popolo ucraino dall'indipendenza in poi, è che loro coi russi non ci vogliono più stare. Magari da un punto di vista geopolitico hanno torto – lo aveva anche Mazzini nel 1830, l'Italia della Restaurazione era davvero un'espressione geografica e mancava dei requisiti minimi per diventare una repubblica unitaria. Non sono un fanatico dell'autodeterminazione dei popoli, ma insomma direi che la volontà complessiva del popolo ucraino a questo punto mi risulta abbastanza evidente: se persino molti russofoni preferiscono combattere sotto le insegne gialle e azzurre, questa cosa devo accettarla. Forse anche ammirarla.  

Questa è la mia opinione provvisoria che non intendo imporre a nessuno. Non è la prima volta che una guerra mi crea problemi di coscienza, anzi mi sembra di ricordare che questo succeda in tutte le guerre: solo quella in Iraq mi sembrò assurda sin dall'inizio, magari ci ho azzeccato per caso. Il modo in cui di solito reagisco alla mia personale confusione è rimarcare che intorno a me c'è gente che opinioni persino più confuse: potrei farlo anche stavolta, si legge roba talmente assurda in giro. Ma è un trucchetto, in realtà la maggior parte delle opinioni che vedo sono ragionevoli e ragionate: il dilemma ognuno cerca di risolverlo come può. Mi manca, questo sì, un dibattito che forse non c'è mai stato, ma una volta almeno si fingeva che fosse possibile: ora è tutto molto più polarizzato. Una cosa che forse si è un po' persa, dal 2020 in poi, è che chi ha opinioni diverse dalle nostre non è necessariamente un nemico del popolo – cioè dipende: diciamo che se continui a sostenere che il covid non esiste, che le bare di Bergamo sono una montatura, che la mascherina fa male al naso e che i vaccini sono un complotto di Bill Gates a un certo punto varchi un confine oltre il quale sei pericoloso per la mia salute. Anche in questo caso in un Paese relativamente libero non sarai perseguitato per le tue idee: al massimo allontanato per qualche tempo dai luoghi in cui metti a rischio la salute tua e degli altri, attraverso una serie di provvedimenti che lasciano perplesse anche molte persone che il covid sanno cos'è e il vaccino lo hanno fatto. Perché siamo relativamente liberi, appunto, perché crediamo che si possano coltivare idee anche molto diverse, perlomeno finché non mandano chi hai vicino a te in terapia intensiva. Dal 2020 ci siamo abituati a questa cosa.

Ora invece di covid si parla di Ucraina, e siccome siamo in un Paese relativamente libero, c'è chi non la pensa come noi: ebbene, non succede niente. Le idee altrui, anche se ci sembrano demenziali, non ci passeranno nessuna malattia. Un pacifista tout court che chiede il disarmo mentre un dittatore rade al suolo città intere ci può sembrare un utopista fuori dal mondo: glielo diremo, sei un utopista fuori dal mondo, ma possiamo stare calmi: non ci contagerà con la sua utopia. (Magari le utopie fossero contagiose).

Invece un tizio serenamente convinto che la Nato possa esportare armi a un Paese non Nato e che questo non verrà interpretato dalla Russia come un atto di belligeranza, per cui avremo una guerra mondiale o perlomeno europea senza neanche avere portato truppe nostre in prossimità del confine, solo tonnellate di armi messe in mano a ragazzini irregimentati in un esercito che tecnicamente non è nostro alleato (e se passa alla Russia?), un tizio del genere potrà sembrarci un atlantista della domenica: ebbene glielo diremo, sei un atlantista della domenica, ma è tutto qui, non ci contagerà col suo atlantismo domenicale.

Un tizio, infine, convinto di essere fuori dal coro perché sta mangiando pane e Sputnik News da dieci anni: uno che esercita il suo fuoricorismo scrivendo esattamente quello che Putin desidera che egli scriva, ebbene un tizio così lo spernacchieremo; gli affibbieremo nomignoli come bimba di Putin che turberanno la sua orgogliosa e rivendicata eterosessualità, e questo è quanto: lo debunkeremo per quanto possibile. Ma non è un infetto, non ci passa la putinite: è solo un tizio che ha opinioni russofile mentre la Russia schiaccia una nazione indipendente. Questo è fastidioso ma siamo in un Paese relativamente libero, si può relativamente fare. Quando non si potrà più, io sarò preoccupato, non relativamente.

venerdì 4 marzo 2022

La blatta

Dicono che l'intestino sia un po' il nuovo cervello e devo ammettere che a volte è proprio quando mi viene in mente di scrivere qualcosa, nel cuore della notte, che l'intestino mi avverte di avere altri progetti, più urgenti. Così invece di mettere giù qualche pensierino fondamentale sulla questione ucraina eccomi in bagno: ho appena acceso la luce, mi sono appena seduto, quando la mia visione periferica mi manda un allarme, ha intercettato una macchia in movimento, qualcosa di nero si muove nel bianco delle piastrelle – ah, è un coleottero. Non proprio uno scarafaggio, no, diciamo una blatta, ma in confidenza, c'è qualcosa di più orrendo di un enorme insetto marrone scuro che spunta all'improvviso dall'ombra sotto al tuo gabinetto? Una presenza aliena in casa tua, nello spazio più intimo e segreto – lì dove ogni uomo siede indifeso – ma da dove arrivano? capissi finalmente da dove arrivano. È la prima della stagione – c'è chi dice che salgono dagli scarichi ma credo sia una superstizione, dovrebbero essere impermeabili per passare. E però la razionalità è una patina sottile, per il mio intestino ad esempio quello è un orribile mostro che sorge dalla fogna per portarmi l'orrore in casa. 

Si è immobilizzato contro il battiscopa, è una cosa che fanno. Non so quanto ci vedano, ma di sicuro percepiscono la luce e benché non abbiano un volto, nulla di ciò a cui di solito noi umani ci affidiamo per cercare di decifrare le emozioni delle altre creature viventi, ho sempre trovato qualcosa di molto espressivo nel modo in cui all'improvviso si immobilizzano: è come se dicessimo, ops, tu non mi hai visto vero? Diciamo che non mi hai visto. Non sono qui in effetti, se anche credevi di avermi visto ti sei sbagliato, sono una macchia qualsiasi. Non hai nessun interesse a schiacciarmi. Lo sai quanto schifo faccio, se mi schiacci, sì?


E un'altra idea che mi sono messo in testa è che la forma che hanno preso da millenni a questa parte serva principalmente a questo, perché in nessun modo quella specie di corazza bombata che hanno li risparmia dallo schiacciamento: anzi li rende più appariscenti e schifosi ma forse hanno deciso di investire proprio in questo, ogni specie si specializza in qualcosa e loro si sono perfezionati nell'arte di fare più schifo possibile quando li schiacci. Le cimici, bisogna ammetterlo hanno avuto un'idea migliore: se schiacciate puzzano. Le blatte fanno semplicemente schifo. Un po' funziona: io per esempio odio calpestarle, e inoltre sono venuto a sedermi qui per un altro motivo. 

E però finché quella macchia continuerà a fissarmi il mio intestino non riuscirà a riflettere come dovrebbe. Non c'è solo lo schifo, l'alieno è lì in un angolo e mi guarda, il mio schifo è sopportabile, la sua paura un po' meno. Quella blatta è davanti al suo destino – quanto mi costa accelerarlo? Strapperò un cospicuo lembo di carta igienica e glielo poserò sopra: non vedrò la sua corazza flettersi e sprizzare fuori la polpa schifosa. 

Non faccio in tempo a pensarlo che la blatta è partita, è come se ci capissimo al volo. Cammina rasente al battiscopa con quelle sei zampine orribili, non ci può essere solidarietà tra mammiferi e mostri invertebrati a sei zampe, siamo venuti al mondo per farci la guerra. A una zampina posteriore rimane intrappolato un batuffolo di polvere. Dove credi di scappare mostro delle fogne?, ecco, ora ti cancello col bianco della carta. Non è vero, la intravedo ancora, e noto che appena ha sentito la carta addosso si è calmata, forse crede di avere trovato un rifugio quando ormai disperava, ed è bello che questo sia il suo ultimo pensiero: un po' di speranza, di sollievo, e poi più niente, non avrà il tempo per accorgersi che è morta: imprimo sulla carta igienica un rapido colpo di ciabatta. 

Forse troppo rapido, perché voglio la blatta morta ma nemmeno una piccola striscia sul pavimento. Dovrei esserci riuscito ma non controllerò. L'intestino reclama le sue ragioni, ora può liberarsi senza più sentirsi osservato e temuto. Nessun senso di colpa: tra uomini e blatte nessuna pace è possibile, nessun negoziato è in corso. La nostra vita è la loro morte. Non ho fatto che difendere la mia proprietà e la mia famiglia. È tempo di azionare lo sciacquone, ma prima devo raccogliere il cadavere: ho infatti intenzione di liberarmene con lo stesso strumento. 

È ancora viva. 

La parte posteriore ha preso una botta mortale, ma tre zampine funzionano ancora e trascinano la carcassa il più lontano possibile da me. Ora succede questa cosa orribile, per cui un insetto senza volto, dalla forma repellente, che finché passeggiava sano sulle mie piastrelle mi risultava un alieno, adesso che si trascina moribondo mi appare così familiare. C'è qualcosa di universale nel modo in cui si comporta, qualcosa che mi sembra di aver visto in centinaia di film: un ferito senza speranza che continua a strisciare, sa di non avere scampo ma non ce la fa a morire fermo. Nella sua condizione la morte dovrebbe essere un sollievo ma gli esseri viventi sono fatti così, siamo tutti fatti così, fratello, ne abbiamo orrore, è l'istinto che ci tiene in vita e che ci allena alle sofferenze più indicibili che io senza goderne ti ho inflitto, e ora devo ucciderti, scusami, io non volevo – cioè, certo che volevo ucciderti, ma nel modo più pulito e indolore possibile, la tua sofferenza io non l'ho cercata, puoi credermi? Non potevo lasciarti andare via ma non volevo che tu patissi e guarda che casino ho fatto, e tu non puoi nemmeno perdonarmi. E con che faccia chiederò io al mio carnefice, quando sarà il momento, un po' di pietà e di pulizia, un velo bianco sugli occhi, un colpo secco spietato e pietoso.

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