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lunedì 7 ottobre 2024

Cosa ricordare il sette ottobre

Israele ammette un'"immensa quantità di fuoco amico" il 7 ottobre 
(Electronic Intifada)


Il sette ottobre credo sia importante ricordare soprattutto quello che è successo – perdonate l'ovvietà, ma vedo che per molti non è così, e quindi ora io qui scriverò quello che penso sia successo, per ricordarlo meglio a me e agli altri. Potrei ovviamente sbagliarmi; nel qual caso non avete che da correggermi, possibilmente segnalandomi prove documentarie che smentiscano quel che scrivo adesso qui. Non c'è nulla di male ad avere delle forti opinioni, quel che un tempo si poteva ancora chiamare un'ideologia: non c'è nulla di male finché le opinioni restano fondate su dati reali: non li nascondono, non li deformano, non li inventano. A quel punto l'ideologia si mette tra noi e la realtà, il che è pericoloso perché a volte la realtà è un muro e l'ideologia può mandarci a sbattere. Anche questa era un'ovvietà – per alcuni, fino allo scorso sette ottobre. 

Il sette ottobre alcuni commando di Hamas hanno violato i confini della Striscia di Gaza (dove milioni di palestinesi erano tenuti sostanzialmente prigionieri da più di un decennio), eludendo la vigilanza dell'esercito israeliano con una facilità che ha sorpreso anche loro. È in effetti difficile immaginare che la stessa intelligence israeliana che in queste settimane è riuscita ad azzerare la gerarchia di Hezbollah (con un'opera di infiltrazione che deve essere durata anni) non si sia resa conto di quello che sobbolliva un anno fa nella Striscia; ma restiamo su quello che sappiamo. Sappiamo che i miliziani hanno fatto irruzione in alcuni kibbutz, e in un festival musicale organizzato sciaguratamente troppo vicino alla Striscia. Sappiamo che la priorità dei miliziani era fare prigionieri, da scambiare con quelli che Israele detiene nelle sue prigioni. Soprattutto al festival, però, i potenziali ostaggi erano troppi: i miliziani non potevano gestirli tutti, e nel frattempo l'esercito israeliano si stava riorganizzando. Quando è intervenuto, lo ha fatto con la mano pesante: elicotteri e carri armati. A quel punto gli ostaggi sono diventati carne di cannone; sia i miliziani sia gli effettivi israeliani probabilmente preferivano eliminarli che lasciare che il nemico li prendesse vivi. Ne sono morti più di un migliaio; di alcune decine si sa per certo che sono stati uccisi dal fuoco amico; le foto dei parcheggi e dei kibbutz bombardati ci fanno sospettare che siano parecchi di più. I miliziani sono comunque riusciti a riportare nella Striscia più di duecento ostaggi. Che in una situazione così concitata qualcuno possa avere perso tempo a torturare o stuprare i prigionieri che doveva custodire è controintuitivo ma non improbabile: durante una battaglia la gente perde la testa e perde i freni. Fin qui però nessuno ha prodotto testimonianze attendibili di questi stupri e di queste torture; e questo malgrado qualcuno sostenga ancora che sarebbero state "sistematiche". 

Per l'apparato difensivo, e in generale il governo israeliano, il sette ottobre è stato un disastro senza precedenti, che ne ha evidenziato debolezze insospettabili; per la società israeliana, uno choc da cui forse non si è ancora ripresa. Invece di ammettere un fallimento storico, e rassegnare le proprie dimissioni, il primo ministro Netanyahu (puntellato da una maggioranza che include formazioni esplicitamente razziste) ha scelto di avallare e propagandare le più oscene fake news: i quaranta bambini decapitati o cotti al forno, gli stupri sistematici, le mutilazioni eccetera. Queste storie, messe in giro per lo più dall'organizzazione privata che si occupava (male) di raccogliere i corpi, sin dall'inizio sembravano poco credibili a chi cercasse di conservare un minimo di oggettività; eppure Netanyahu le ha ripetute a Biden e Biden le ha ripetute al mondo. Presto o tardi sono rigettate come false anche dalla stampa israeliana; e ciononostante a un anno di distanza ammorbano ancora il dibattito, al punto che ho la sensazione che molti filoisraeliani, quando chiedono di ricordare il sette ottobre, ti stiano chiedendo ancora di ricordare i quaranta bambini decapitati. Non il fallimento dell'intelligence, non il disastro militare, non il fuoco amico che fa centinaia di vittime; meglio ricordarsi di bambini mai esistiti. Netanyahu li cita ancora.

Il resto lo sappiamo. Sostenuto acriticamente dall'amministrazione USA e dai solerti alleati occidentali – che non gli hanno fatto mancare armi e munizioni – Netanyahu ha trovato nel sette ottobre il pretesto per radere al suolo Gaza e decimarne gli abitanti. Come durante il sette ottobre, anche in seguito non ha mostrato di considerare la liberazione degli ostaggi una priorità. Il tizio è anziano e forse non sopporta l'idea di andarsene prima di vedere l'Armageddon che più di molti altri ha contribuito a provocare; il che forse spiega la sua necessità di estendere il conflitto. Invece di chiuderla una volta per tutte con Gaza (il che significherebbe ammettere che gli ultimi ostaggi non torneranno più) negli ultimi mesi ha aperto un fronte di terra in Libano, bombardando anche postazioni yemenite, siriane e... russe. L'Iran è il prossimo, e anche la Francia pare debba stare molto attenta. Una simile escalation, un anno fa, non la prevedeva nemmeno il più pessimista degli osservatori. E invece sta succedendo, davanti ai nostri occhi. Più della deriva senile di Netanyahu, che continua a coprire i propri pasticci combinandone di più grandi, a spaventare è la catastrofe morale del Paese che tutto sommato ancora lo sostiene (malgrado non manchino preziose voci di dissenso). Alla società israeliana può essere riconosciuta perlomeno l'attenuante del panico; credevano di essere una democrazia occidentale, si sono svegliati secondini di un ribollente carcere all'aperto. Più difficile perdonare i filoisraeliani nostrani, completamente succubi di una propaganda che anche in Israele è considerata di basso livello. Per anni ci siamo domandati com'è possibile che in certi momenti storici un genocidio possa verificarsi senza che i testimoni muovano un dito, senza che smettano di trovarlo necessario e meritorio; dal sette ottobre del 2024 non ce lo domandiamo più. 

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