Let's go to Hell, boys
Buon principio di quaresima a tutti. Sì, oggi è il mercoledì delle ceneri e cercherò di essere in tema.
Venerdì scorso si parlava dei classici italiani all'estero. Mi è venuta in mente una cosa da mostrare.
"THROUGH ME ONE'S LET INTO THE CITY OF SORROW,
THROUGH ME ONE'S LET INTO EVERLASTING PAIN,
THROUGH ME ONE JOINS THE THRONGS THAT LOST THEIR MORROW.
JUSTICE MOV'D MY HIGH MAKER, NOT DISDAIN;
BY DIVINE POWER WAS I MADE, AND BY
SUPERNAL WISDOM AND FIRST LOVE SOV'REIGN.
NO THINGS WERE MADE, ERE CREATED WAS I,
IF NOT ETERNAL, AND ETERNAL I LAST:
LAY DOWN ALL HOPE, YE WHO STEP IN, AND CRY".
My eyes upon these dark-hu'd words ran fast
That high above a door were hewn in writ;
So "Hard" I said "on me their sense is cast".
Può piacere o non piacere (a me piace), ma credo sia comunque facilmente riconoscibile. È il principio del terzo canto dell'Inferno, tradotto in inglese. Fin qui nulla di straordinario. La traduzione rispetta però tutti i vincoli metrici dell'originale: la rima è concatenata e il verso è il pentametro giambico (il verso inglese più simile all''endecasillabo dantesco). E già questo sarebbe un exploit notevole. Infine: il folle (italiano) che ha fatto questo non si è limitato a quattro quartine, ma ha tradotto l'intera Commedia, Hell, Purgatory e Paradise, tutto.
È un'altra incredibile produzione wordtheque! Non ci contattano soltanto pazzi pericolosi, ma anche pazzi a loro modo ammirevoli, come questo ingegner Fanelli di Firenze, ex maestranza Enel, autore di svariate pubblicazioni di idraulica, che nel tempo libero si diletta di architettura, computer graphics, e traduce Dante verso per verso. Senza gridare al miracolo, come tanti autori di romanzi di sicuro successo.
The power of Dante’s language, dichiara, is so irresistible that sometimes, somehow, it can suddenly shine through this opaque screen. When it does, it gives the rash craftsman an exhilarating thrill. I hope that these few shafts of light can also break through to some of the readers (if any).
Io non ho la competenza né il tempo per verificare se l'inglese di Fanelli funzioni, ma mi piace pensare di sì. Tanta pazienza e modestia meritano menzione. Fate girare la notizia. Avete amici anglofoni che vorrebbero leggere Dante? Creiamo un piccolo caso net-editoriale... Let's go down, boys, let's go hell!
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi.
Noi no. Donate all'UNRWA.
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mercoledì 28 febbraio 2001
lunedì 26 febbraio 2001
"Perché - si chiede monsignor Frisina - presentare con tanta leggerezza e facilità personaggi così negativi come Eminem, che incitano alla violenza contro i genitori, all'odio razziale, alla trasgressione? È un problema della Rai, ma anche le tv private non possono sottrarsi alla grave responsabilità di essere più attente ai contenuti dei programmi". Don Sciortino, si chiede, a sua volta, "perché Sanremo va a cercarsi grane con un personaggio simile solo per inseguire una discutibile audience? È grave.
Ma è poi così scandaloso Eminem?
Può anche darsi che inciti "alla violenza contro i genitori, all'odio razziale, alla trasgressione". In inglese. E a noi italiani cosa resta? Un vago abbaiare anglofono su basi ben confezionate, in una manciata di video simpatici. E un'immagine di orgoglio razziale, questa sì preoccupante: vedete, anche un bianco può fare il rap (Eminem non è un tipo qualunque: è il bianco qualunque).
Ma qualcuno si è veramente preoccupato di tradurre i testi di Eminem? I ragazzini vegliano la notte compulsando il booklet del CD con a fianco l'Hazon Garzanti? Ma dai.
Io da piccolo ero andato a ripescarmi The End dei Doors, dove c'è quel verso che dice "Father – yes son? – I want to kill you". Ma era un inglese molto basico, come si vede. Invece non riuscirò mai a capire chi ascolta rap inglese in Italia. Bisogna avere una conoscenza della lingua, e perfino della cultura, molto approfondite, per capirci qualcosa.
Altrimenti, si simula. Ci si affeziona a qualcosa perché ci hanno detto che è bello. Ci si scandalizza, perché ci hanno detto che è scandaloso. Ama, odia, scandalizzati, consuma, crepa. Che lo facciano i ragazzini, passi. Ma anche i vescovi. Tirando fuori anche quello che è successo a Novi Ligure. Per carità d'Iddio.
Ma è poi così scandaloso Eminem?
Può anche darsi che inciti "alla violenza contro i genitori, all'odio razziale, alla trasgressione". In inglese. E a noi italiani cosa resta? Un vago abbaiare anglofono su basi ben confezionate, in una manciata di video simpatici. E un'immagine di orgoglio razziale, questa sì preoccupante: vedete, anche un bianco può fare il rap (Eminem non è un tipo qualunque: è il bianco qualunque).
Ma qualcuno si è veramente preoccupato di tradurre i testi di Eminem? I ragazzini vegliano la notte compulsando il booklet del CD con a fianco l'Hazon Garzanti? Ma dai.
Io da piccolo ero andato a ripescarmi The End dei Doors, dove c'è quel verso che dice "Father – yes son? – I want to kill you". Ma era un inglese molto basico, come si vede. Invece non riuscirò mai a capire chi ascolta rap inglese in Italia. Bisogna avere una conoscenza della lingua, e perfino della cultura, molto approfondite, per capirci qualcosa.
Altrimenti, si simula. Ci si affeziona a qualcosa perché ci hanno detto che è bello. Ci si scandalizza, perché ci hanno detto che è scandaloso. Ama, odia, scandalizzati, consuma, crepa. Che lo facciano i ragazzini, passi. Ma anche i vescovi. Tirando fuori anche quello che è successo a Novi Ligure. Per carità d'Iddio.
sabato 24 febbraio 2001
Oui, c’est moi
Ok, chiariamo una volta per tutte questa storia di Davide Ognibene. Sono io.
La mamma mi ha insegnato a non dare subito le proprie generalità su internet, e nell’ultimo paio di anni devo aver messo assieme cinque o sei false identità, con tanto di username e password, in un garbuglio ormai inestricabile (anche perché a volte un username viene riciclato come password, e viceversa).
Un segno che la cosa mi sta scappando di mano è il fatto che dichiaro ormai generalità false senza accorgermene, come Lady Lindon. Così, dopo un po’ di tempo che avevo il sito, e cominciavo a far girare la notizia, qualcuno ha iniziato a chiedermi: ma chi è questo Ognibene (e tu cos’è che fai esattamente nel suo sito?)
La cosa mi ha un po’ turbato. Ricordo vagamente di aver riempito un questionario in cui sostenevo di avere più di sessant’anni e svariate migliaia di dollari di reddito mensile, e tuttavia di non essere interessato a informazioni commerciali su nessun prodotto. Ma non ricordo affatto di avere dato questo nome, al quale sono particolarmente affezionato, e che uso soltanto nelle occasioni speciali. Il cognome è quello di mia madre. Scusa mamma. Me l’avevi pur detto.
Ok, chiariamo una volta per tutte questa storia di Davide Ognibene. Sono io.
La mamma mi ha insegnato a non dare subito le proprie generalità su internet, e nell’ultimo paio di anni devo aver messo assieme cinque o sei false identità, con tanto di username e password, in un garbuglio ormai inestricabile (anche perché a volte un username viene riciclato come password, e viceversa).
Un segno che la cosa mi sta scappando di mano è il fatto che dichiaro ormai generalità false senza accorgermene, come Lady Lindon. Così, dopo un po’ di tempo che avevo il sito, e cominciavo a far girare la notizia, qualcuno ha iniziato a chiedermi: ma chi è questo Ognibene (e tu cos’è che fai esattamente nel suo sito?)
La cosa mi ha un po’ turbato. Ricordo vagamente di aver riempito un questionario in cui sostenevo di avere più di sessant’anni e svariate migliaia di dollari di reddito mensile, e tuttavia di non essere interessato a informazioni commerciali su nessun prodotto. Ma non ricordo affatto di avere dato questo nome, al quale sono particolarmente affezionato, e che uso soltanto nelle occasioni speciali. Il cognome è quello di mia madre. Scusa mamma. Me l’avevi pur detto.
venerdì 23 febbraio 2001
Cosa sanno gli europei della letteratura italiana?
Intervista a uno spagnolo e una francese ventitreenni, ad alto grado di scolarità (laurea breve). "Ditemi quello che vi viene in mente sull'argomento, non abbiate paura di essere imprecisi".
Prima di tutto c'è Dante, anzi, Dante Alighieri, un autore teatrale del Cinquecento, che ha scritto la Divina Commedia, un testo piuttosto breve che parla… vediamo, "dell'uomo… del suo cielo… del suo inferno" ("C'è anche una spirale da qualche parte", bisbigliano in dissolvenza).
Poi c'è Machiavello, autore del Prince, in cui parla di Borgia, uno statista malvagio e senza scrupoli, insomma, machiavellico. Sei-Settecento.
Seguono poi due nomi del Novecento; Italo Calvino e Umberto Eco. Ma siccome l'esperimento riguardava soltanto la letteratura fino all'Ottocento (la cultura scolastica), andiamo oltre (bisogna dire che per un breve attimo Calvino è scivolato nell'Ottocento).
Arriviamo così a "uno scrittore di poesie erotiche che aveva una casa a Pescara, inizia con la a". Dopo molto penare, mi rendo conto che si tratta di D'Annunzio – nelle altre lingue la particella non fa parte del cognome. "Ma ha scritto poesie erotiche, no?" Certo che le ha scritte.
Poi c'è il silenzio, che provo a sbloccare suggerendo un… "Petrarca?".
"Ah, Petrarca, certo. Ma era un romano, no?" [Nel senso di latino].
"Nooo, è dell'Ottocento".
Vi siete divertiti? Spaventati? Sentiti soli in un'Europa troppo grande che non sa niente di voi, della vostra preziosa cultura? Chiedetevi però cosa sanno i vostri amici con un'educazione non letteraria, o cosa sapete voi stessi, mettiamo, della storia letteraria castigliana.
Il gioco partiva dall'idea che ciascuno di noi, per il solo fatto di vivere continuamente esposto a messaggi, deve per forza trattenere nozioni, benché imprecise. Dovendo iniziare un breve corso sulla cultura italiana, mi piacerebbe partire da queste nozioni confuse e inconsapevoli piuttosto che da due tabule rase. Scoprire che in fondo si sa già qualcosa è rassicurante; scoprire quanto poco in realtà si sa è stimolante; correggere e approfondire una nozione, invece di apprenderla da zero, dovrebbe comportare un minimo risparmio di energia mentale
Infine, il gioco dà preziose informazioni all'istruttore, che può servirsene immediatamente per correggere il tiro.
In questo caso abbiamo una lezione interessante sulla percezione dell'Italia all'estero: ed è consolante, in fondo, che l'"inferno dantesco" e il "machiavellico Borgia" abbiano così poco a che fare cogli spaghetti e i mandolini.
venerdì 16 febbraio 2001
Può darsi che abbiate deciso anche voi di passare questi ultimi giorni a mungere napster, questa meravigliosa vacca grassa, prima della chiusura. E può darsi che anche voi vi siate trovati davanti al ‘blocco dello scaricatore’. Vale a dire: avete a disposizione, ancora per pochi giorni, tutto lo scibile musicale: cosa salvate?
Questo è il principale difetto di napster e simili (secondo me): bisogna già avere idea di cosa cercare. Gli incontri fortuiti e indimenticabili, quelli per dire che possono capitarci ascoltando la radio a un’ora tarda, o anche un’ora qualsiasi, sono esclusi in partenza. Il massimo è trovare qualcosa che si è lungamente (e disperatamente) cercato: per cui inevitabilmente si scade nell’infanzia stupida e dorata: nel mio caso gli anni ’80, i Nu Shooz o i World Party, dimenticabili e dimenticati. Oggi ho finalmente messo le mani su Marinai delle Orme: ma quanto era brutta? Non ci si crede.
Detto ciò, vi do una dritta. Non perdete troppo tempo con le rarità e le scemenze. Scaricate i Beatles.
Perché bisogna scaricare i Beatles
1. In primo luogo, perché non li conoscete. Non potete avere tutti i dischi, che sono più o meno una dozzina (concentrati nello spazio di otto anni). Forse avete qualche antologia, ma non è gran cosa. Specie se è quella appena uscita, una fregatura incredibile, l’esempio di come la pubblicità riesca a creare un evento con il nulla: in commercio c’erano compilazioni anche più complete, a prezzi inferiori.
2. I Beatles sembrano fatti apposta per essere scaricati da napster. Le canzoni pullulano in decine di copie, sono brevi e, quel che più conta, non soffrono molto la compressione in mp3. Immagino che i maniaci di alta fedeltà non si siano mai trovati a loro agio in rete, ma che senso avrebbero, i Beatles, in alta fedeltà? Meglio sentirli così, con una certa patina di passato, che giustamente è passato.
E in una così sterminata mole di materiale (quasi 200 pezzi) pescare a caso è una vera emozione.
Addirittura esistono in circolazione mp3 dei loro LP interi: tenete conto che un lp dei Beatles durava mezz’ora. Mezz’ora di felicità.
3. Per farsi una cultura veramente universale. Non è che in tutto il mondo conoscano e cantino i Beatles. Ma poche opere danno, come le loro canzoni, un senso di condivisione con l’umanità. Penso.
Ogni canzone dei Beatles ha l’aria di essere un esperimento. Nulla è sicuro in partenza. La chitarra potrà scordarsi. Ringo potrà sbagliare. I coretti stavolta potrebbero anche incrociarsi male. Lennon potrebbe cantando tossicchiare e accartocciarsi. Ma ogni volta il peggio è evitato. E si ricomincia con una nuova scommessa. Uno strumento nuovo, un giro armonico diverso, sempre qualcosa che non si era mai esattamente sentita prima. Come nei primi secondi dopo il Big Bang le ere si susseguivano in pochi attimi, così tutta la musica che poi ci avrebbe tormentato e sollazzato in seguito veniva fuori così, in un’esplosione confusa che non ti lascia il tempo di riflettere. Un giorno alla radio si sente uno strano “Yeah yeah”, e cinque anni dopo è già il tempo di “Happiness is a warm gun”. Oggi un gruppo medio pubblica nello stesso periodo di tempo due o tre CD. Molto meno eccitanti. L’universo forse è ancora in espansione, ma rallenta, rallenta… tra un po’ inizierà il riflusso.
Questo è il principale difetto di napster e simili (secondo me): bisogna già avere idea di cosa cercare. Gli incontri fortuiti e indimenticabili, quelli per dire che possono capitarci ascoltando la radio a un’ora tarda, o anche un’ora qualsiasi, sono esclusi in partenza. Il massimo è trovare qualcosa che si è lungamente (e disperatamente) cercato: per cui inevitabilmente si scade nell’infanzia stupida e dorata: nel mio caso gli anni ’80, i Nu Shooz o i World Party, dimenticabili e dimenticati. Oggi ho finalmente messo le mani su Marinai delle Orme: ma quanto era brutta? Non ci si crede.
Detto ciò, vi do una dritta. Non perdete troppo tempo con le rarità e le scemenze. Scaricate i Beatles.
Perché bisogna scaricare i Beatles
1. In primo luogo, perché non li conoscete. Non potete avere tutti i dischi, che sono più o meno una dozzina (concentrati nello spazio di otto anni). Forse avete qualche antologia, ma non è gran cosa. Specie se è quella appena uscita, una fregatura incredibile, l’esempio di come la pubblicità riesca a creare un evento con il nulla: in commercio c’erano compilazioni anche più complete, a prezzi inferiori.
2. I Beatles sembrano fatti apposta per essere scaricati da napster. Le canzoni pullulano in decine di copie, sono brevi e, quel che più conta, non soffrono molto la compressione in mp3. Immagino che i maniaci di alta fedeltà non si siano mai trovati a loro agio in rete, ma che senso avrebbero, i Beatles, in alta fedeltà? Meglio sentirli così, con una certa patina di passato, che giustamente è passato.
E in una così sterminata mole di materiale (quasi 200 pezzi) pescare a caso è una vera emozione.
Addirittura esistono in circolazione mp3 dei loro LP interi: tenete conto che un lp dei Beatles durava mezz’ora. Mezz’ora di felicità.
3. Per farsi una cultura veramente universale. Non è che in tutto il mondo conoscano e cantino i Beatles. Ma poche opere danno, come le loro canzoni, un senso di condivisione con l’umanità. Penso.
Ogni canzone dei Beatles ha l’aria di essere un esperimento. Nulla è sicuro in partenza. La chitarra potrà scordarsi. Ringo potrà sbagliare. I coretti stavolta potrebbero anche incrociarsi male. Lennon potrebbe cantando tossicchiare e accartocciarsi. Ma ogni volta il peggio è evitato. E si ricomincia con una nuova scommessa. Uno strumento nuovo, un giro armonico diverso, sempre qualcosa che non si era mai esattamente sentita prima. Come nei primi secondi dopo il Big Bang le ere si susseguivano in pochi attimi, così tutta la musica che poi ci avrebbe tormentato e sollazzato in seguito veniva fuori così, in un’esplosione confusa che non ti lascia il tempo di riflettere. Un giorno alla radio si sente uno strano “Yeah yeah”, e cinque anni dopo è già il tempo di “Happiness is a warm gun”. Oggi un gruppo medio pubblica nello stesso periodo di tempo due o tre CD. Molto meno eccitanti. L’universo forse è ancora in espansione, ma rallenta, rallenta… tra un po’ inizierà il riflusso.
lunedì 12 febbraio 2001
In uno dei molti articoli di commento che accompagnano la duplice pubblicazione delle sequenze del genoma umano, il genetista francese Jean-Michel Claverie scrive su "Science" che "un numero tanto basso di geni costituisce un cambio di paradigma, che potrebbe modificare radicalmente la nostra comprensione della complessità degli organismi e dell'evoluzione". Un cambio di paradigma che potrebbe costringerci a rivalutare completamente il peso del controllo della componente genetica su quello che siamo e facciamo, rilanciando il ruolo dell'ambiente e la sua interazione col genoma. Una vera e propria rivoluzione, insomma, che sembra dar ragione ai molti, anche tra i genetisti di punta, che combattevano da tempo il cosiddetto "determinismo biologico": una visione tutto sommato meccanica del vivente, e a quanto pare lontana dalla realtà.
Ha vinto l'ambiente
Non so voi, ma io sono proprio contento. Anche se non saprei dire cosa sia esattamente questo famoso genoma, se è vero che l'ambiente ha vinto sull'ereditarietà, io sono proprio contento. Ho sempre tifato ambiente; sin da quando vidi per la prima volta Una poltrona per due di Landis (con Eddie Murphy e Dan Aykroid, Akyroid... acc... insomma lui) io ero il vecchietto che puntava sull'ambiente e alla fine si aggiudicava il dollaro in palio.
Ci sono stati anni cupi in cui i dubbi mi tormentavano. Ogni tanto accendevi la tv e sentivi dire: Abbiamo scoperto il gene di questo, abbiamo scoperto il gene di quello. Il gene della timidezza. Il gene dell'intelligenza. Il gene dell'esuberanza sessuale. E insomma! Non solo i nostri guai diventavano incurabili, ma dovevamo anche passarli ai nostri discendenti. Questi insigni ricercatori non saranno mai sfottuti abbastanza. Sborsate pure cifre abominevoli per aggiudicarvi il copyright sul gene dell'autostima... Oggi leggo che il concetto di razza è scientificamente out, dico, non è una bellissima notizia?
Però anche i quei giorni mi dicevo, come Dostoevskij, che anche se si fosse scoperto che l'ambiente non c'entrava, noi dovevamo ostinarci a credere nell'ambiente, altrimenti dove andrebbe, tutta la poesia della nostra umanità, il famoso libero arbitrio? Noi valiamo qualcosa soltanto per la nostra capacità di cambiare le carte in tavola, di tradire le premesse da cui siamo generati. Almeno io la penso così, ma fino a ieri questo era solo un atto di fede. Adesso è qualcosa di più.
Chissà, forse da qui può nascere un'inversione di tendenza. Ora che sappiamo che l'ambiente è il importante, forse ricominceremo a occuparcene. Potrebbe persino tornare di moda la politica, intendo quella seria. Insomma complimenti. Oggi mi sento come se se stessero distribuendo il gene dell'allegria. Gratis.
Ha vinto l'ambiente
Non so voi, ma io sono proprio contento. Anche se non saprei dire cosa sia esattamente questo famoso genoma, se è vero che l'ambiente ha vinto sull'ereditarietà, io sono proprio contento. Ho sempre tifato ambiente; sin da quando vidi per la prima volta Una poltrona per due di Landis (con Eddie Murphy e Dan Aykroid, Akyroid... acc... insomma lui) io ero il vecchietto che puntava sull'ambiente e alla fine si aggiudicava il dollaro in palio.
Ci sono stati anni cupi in cui i dubbi mi tormentavano. Ogni tanto accendevi la tv e sentivi dire: Abbiamo scoperto il gene di questo, abbiamo scoperto il gene di quello. Il gene della timidezza. Il gene dell'intelligenza. Il gene dell'esuberanza sessuale. E insomma! Non solo i nostri guai diventavano incurabili, ma dovevamo anche passarli ai nostri discendenti. Questi insigni ricercatori non saranno mai sfottuti abbastanza. Sborsate pure cifre abominevoli per aggiudicarvi il copyright sul gene dell'autostima... Oggi leggo che il concetto di razza è scientificamente out, dico, non è una bellissima notizia?
Però anche i quei giorni mi dicevo, come Dostoevskij, che anche se si fosse scoperto che l'ambiente non c'entrava, noi dovevamo ostinarci a credere nell'ambiente, altrimenti dove andrebbe, tutta la poesia della nostra umanità, il famoso libero arbitrio? Noi valiamo qualcosa soltanto per la nostra capacità di cambiare le carte in tavola, di tradire le premesse da cui siamo generati. Almeno io la penso così, ma fino a ieri questo era solo un atto di fede. Adesso è qualcosa di più.
Chissà, forse da qui può nascere un'inversione di tendenza. Ora che sappiamo che l'ambiente è il importante, forse ricominceremo a occuparcene. Potrebbe persino tornare di moda la politica, intendo quella seria. Insomma complimenti. Oggi mi sento come se se stessero distribuendo il gene dell'allegria. Gratis.
venerdì 9 febbraio 2001
Sempre sul problema che La nostra cultura è costituita per gran parte da cose che in realtà non sappiamo, ma che ci comportiamo come se le sapessimo:
Sappiamo scrivere italiano?
Perché a scuola non si insegna come si mettono gli accenti? D’accordo, è una cretinata, ma proprio perché è una cretinata andrebbe imparata molto presto, e poi non ci sarebbe da pensarci più. Come le tabelline.
Sono stufo di correggere gli accenti ai docenti universitari… e poi mi confondo anch’io… ma insomma.
Oppure diciamolo, che tanto vale lasciar perdere e imparare sul serio l'inglese (o lo spagnolo).
Sappiamo parlare italiano?
In questi giorni il mio birignao modenese sta diventando una delle voci ufficiali del portale della Logos. Potrete sentirmi leggere, secondo le circostanze, notizie, favole e poesie.
Sì, e non mi vergogno.
Mah, forse dovrei.
Forse perché i miei datori di lavoro sono ispanofoni, e non se ne rendono conto… un modenese al microfono è una sinfonia di sibili, sputacchiate, con un vago sapor di strafottenza provinciale.
E siamo da capo: perché a scuola non insegnano dizione? Nella vita potrebbe tornare più utile che, poniamo, il latino.
Me per me è troppo tardi, e poi al diavolo, per-quel-che-mi-pagano. Continuerò a declamare e sputacchiare finché la pronuncia modenese non diventerà l’accento standard su internet, come il romanesco è lo standard in tv e il milanese lo standard in radio.
A's'vdam
Sappiamo scrivere italiano?
Perché a scuola non si insegna come si mettono gli accenti? D’accordo, è una cretinata, ma proprio perché è una cretinata andrebbe imparata molto presto, e poi non ci sarebbe da pensarci più. Come le tabelline.
Sono stufo di correggere gli accenti ai docenti universitari… e poi mi confondo anch’io… ma insomma.
Oppure diciamolo, che tanto vale lasciar perdere e imparare sul serio l'inglese (o lo spagnolo).
Sappiamo parlare italiano?
In questi giorni il mio birignao modenese sta diventando una delle voci ufficiali del portale della Logos. Potrete sentirmi leggere, secondo le circostanze, notizie, favole e poesie.
Sì, e non mi vergogno.
Mah, forse dovrei.
Forse perché i miei datori di lavoro sono ispanofoni, e non se ne rendono conto… un modenese al microfono è una sinfonia di sibili, sputacchiate, con un vago sapor di strafottenza provinciale.
E siamo da capo: perché a scuola non insegnano dizione? Nella vita potrebbe tornare più utile che, poniamo, il latino.
Me per me è troppo tardi, e poi al diavolo, per-quel-che-mi-pagano. Continuerò a declamare e sputacchiare finché la pronuncia modenese non diventerà l’accento standard su internet, come il romanesco è lo standard in tv e il milanese lo standard in radio.
A's'vdam
mercoledì 7 febbraio 2001
Il futuro è fattorino
Di questi tempi, quando ho il frigo vuoto, difficilmente trovo il tempo per andarlo a riempire. Non credo che in futuro le cose andranno meglio, per quanto riguarda il tempo; in compenso credo che sarà la tecnologia ad aiutarmi.
Infatti tra un paio d’anni, recessione permettendo, stimo di poter iniziare a fare la spesa on line. Andrò sul sito della coop (o della conad, a seconda dei prezzi, della grafica, delle politiche ambientali) e selezionerò i prodotti, invierò una mail, e un fattorino verrà a recapitarmi le sporte a casa (non sarà più umiliante abitare al terzo piano senza ascensore). Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Rimarrà la fatica di controllare cosa manca nel frigo.
Ma tra cinque-sei anni, penso che anche questa fatica mi sarà evitata da un frigorifero intelligente che mi avverta da solo sulle scadenze delle merci, sulle carenze (se manca il latte), sulle eccedenze (troppi pomodori, poi vanno a male), sui gusti dei famigliari (le sottilette non vanno mai via), ecc.. Il frigorifero mi manderà una mail e io farò l’ordine ai fattorini. Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Infine, tra meno di dieci anni, se non si sovrappongono crisi, calamità, pestilenze, se insomma la civiltà occidentale resiste, la tecnologia mi doterà di un frigorifero non solo intelligente, ma anche affidabile, il quale manderà direttamente le mail ai fattorini, senza chiedermi il permesso. Al massimo sarò io a chiedergli di tanto in tanto più o meno gelati, a seconda di come me la passo. Ma col tempo il frigorifero imparerà a conoscere i miei cicli e stati d’animo, non dovrò più dirgli nulla, arriverò a casa la sera con la cena già bella e recapitata dai fattorini, e avrò più tempo da dedicare al mio lavoro.
Il quale lavoro consisterà, se le mie previsioni non sono errate, nel fare il fattorino, sgobbando dodici ore al giorno per strada e su per le scale, a portare la spesa a un sacco di persone come me che non hanno il tempo di farla, perché anche loro fanno i fattorini.
(Questa forse è una metafora della nostra società postmoderna).
Di questi tempi, quando ho il frigo vuoto, difficilmente trovo il tempo per andarlo a riempire. Non credo che in futuro le cose andranno meglio, per quanto riguarda il tempo; in compenso credo che sarà la tecnologia ad aiutarmi.
Infatti tra un paio d’anni, recessione permettendo, stimo di poter iniziare a fare la spesa on line. Andrò sul sito della coop (o della conad, a seconda dei prezzi, della grafica, delle politiche ambientali) e selezionerò i prodotti, invierò una mail, e un fattorino verrà a recapitarmi le sporte a casa (non sarà più umiliante abitare al terzo piano senza ascensore). Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Rimarrà la fatica di controllare cosa manca nel frigo.
Ma tra cinque-sei anni, penso che anche questa fatica mi sarà evitata da un frigorifero intelligente che mi avverta da solo sulle scadenze delle merci, sulle carenze (se manca il latte), sulle eccedenze (troppi pomodori, poi vanno a male), sui gusti dei famigliari (le sottilette non vanno mai via), ecc.. Il frigorifero mi manderà una mail e io farò l’ordine ai fattorini. Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Infine, tra meno di dieci anni, se non si sovrappongono crisi, calamità, pestilenze, se insomma la civiltà occidentale resiste, la tecnologia mi doterà di un frigorifero non solo intelligente, ma anche affidabile, il quale manderà direttamente le mail ai fattorini, senza chiedermi il permesso. Al massimo sarò io a chiedergli di tanto in tanto più o meno gelati, a seconda di come me la passo. Ma col tempo il frigorifero imparerà a conoscere i miei cicli e stati d’animo, non dovrò più dirgli nulla, arriverò a casa la sera con la cena già bella e recapitata dai fattorini, e avrò più tempo da dedicare al mio lavoro.
Il quale lavoro consisterà, se le mie previsioni non sono errate, nel fare il fattorino, sgobbando dodici ore al giorno per strada e su per le scale, a portare la spesa a un sacco di persone come me che non hanno il tempo di farla, perché anche loro fanno i fattorini.
(Questa forse è una metafora della nostra società postmoderna).
lunedì 5 febbraio 2001
Piccola proprietà intellettuale (inc.)
Oggi è passato Andrea e volevo passargli questa proposta per un business, era lui che me ne chiedeva sempre. Anche se ha l’aria di essere l’idea giusta nel momento sbagliato…
Sappiamo che nei prossimi mesi il gratuito su internet andrà ridimensionandosi: da luglio napster inizierà a chiedere soldi agli utenti – intanto stanno studiando il modo di inibire il comando “copy” sui siti, ecc.. Chissà, forse qualcuno comincia a pensare che l’utente medio sia pronto al grande passo: diventare un acquirente di file. Sarà vero?
Su wordtheque la maggior parte degli acquirenti erano gli stessi autori. Siccome gli spettavano il cento per cento dei diritti, si creavano situazioni paradossali (gente che telefona protestando: “mi hanno addebitato l’acquisto ma non mi hanno ancora accreditato la vendita”, ecc.). Il servizio è sospeso (non serve a niente e costa burocrazia), ma almeno ha dimostrato che persone anche a digiuno di computer, pur non avendo alcuna intenzione di acquistare on line, possono essere interessati a vendere. Dopotutto, perché no? Oggi il medio utente può mettere qualsiasi cosa on line, ma gratis. Perché non offrirgli una vetrina?
Attenzione: non si tratta di diventare ‘editori’. Non bisognerebbe prendere nessuna percentuale sulle vendite: non è bello, e, soprattutto, non conviene. Invece ci si fa pagare il servizio. Che cosa significa? Che si guadagna qualcosa anche coi file che nessuno venderà mai (e forse sono la maggioranza).
Può sembrare una semplice riedizione delle case editrici-bidone, quelle che da sempre stampano ‘on demand’, o per meglio dire, a spese dell’autore. Ma, oltre che la spesa sarebbe molto inferiore, oltre che sarebbe comunque opportuno mantenere una soglia (bassina) di qualità, potrebbe trattarsi del luogo ideale per l’utente medio che non è necessariamente uno scrittore, artista o programmatore maledetto, ma che ha del materiale a disposizione e vuole non tanto farci soldi, quanto vedere riconosciuta la propria proprietà intellettuale. Dandogli il 100% dei diritti noi gliela riconosciamo: nulla gli vieta di cedere a un editore vero, se ne incontra uno interessato, grazie al nostro sito-vetrina.
Alla fine quel che conta veramente non è ‘vendere’. Quel che conta è mettere le proprie cose in vetrina, proteggendosi però dal copia-incolla selvaggio.
A vedere bene si tratta di un nuovo modo per vedere internet. Non più la zona franca del tutto è gratis (ma non lo è mai stato), ma nemmeno l’ennesimo centro commerciale in mano alla grande distribuzione. Un più umano bazar dove chiunque esibisce la propria mercanzia. Chiunque di noi potrebbe almeno sperare di mettere da parte qualche soldo extra con qualcosa realizzato nel proprio tempo libero: un libro, una canzone in mp3, un programmino per dare da mangiare ai pesci rossi sullo screen-saver, ecc..
L’obiezione è sempre: “Ma chi comprerà questa roba?”
La risposta è: “Chi se ne frega, noi non ci facciamo pagare per i file che vendiamo, noi ci facciamo pagare la vetrina”.
Comunque per i primi due anni almeno bisognerebbe fare tutto gratis, per lanciare la cosa come si deve.
Il maggior pregio del progetto, mi pare, è l’esiguità delle spese: occorre soltanto attivare un contratto con una banca per l’e-commerce, e mantenere un portale efficiente. Nessun magazzino: si venderebbero soltanto file.
La cosa che principalmente mi sfugge è il ruolo della SIAE in tutto questo. Soprattutto per quanto riguarda gli mp3, che sarebbero il mercato più promettente (gli esordienti interessati a commerciare il proprio demo), ecc..
Beh, che ne dite?
Forse non ci si farebbero i miliardi, ma secondo me è un buon inizio. C’è l’aspetto proditorio che deve avere ogni buona iniziativa imprenditoriale (fare soldi sulle velleità creative della gente); e allo stesso tempo c’è anche un’idea globale, politica, contro la distribuzione massificata, per la piccola proprietà intellettuale, geee…
Oggi è passato Andrea
Sappiamo che nei prossimi mesi il gratuito su internet andrà ridimensionandosi: da luglio napster inizierà a chiedere soldi agli utenti – intanto stanno studiando il modo di inibire il comando “copy” sui siti, ecc.. Chissà, forse qualcuno comincia a pensare che l’utente medio sia pronto al grande passo: diventare un acquirente di file. Sarà vero?
Su wordtheque la maggior parte degli acquirenti erano gli stessi autori. Siccome gli spettavano il cento per cento dei diritti, si creavano situazioni paradossali (gente che telefona protestando: “mi hanno addebitato l’acquisto ma non mi hanno ancora accreditato la vendita”, ecc.). Il servizio è sospeso (non serve a niente e costa burocrazia), ma almeno ha dimostrato che persone anche a digiuno di computer, pur non avendo alcuna intenzione di acquistare on line, possono essere interessati a vendere. Dopotutto, perché no? Oggi il medio utente può mettere qualsiasi cosa on line, ma gratis. Perché non offrirgli una vetrina?
Attenzione: non si tratta di diventare ‘editori’. Non bisognerebbe prendere nessuna percentuale sulle vendite: non è bello, e, soprattutto, non conviene. Invece ci si fa pagare il servizio. Che cosa significa? Che si guadagna qualcosa anche coi file che nessuno venderà mai (e forse sono la maggioranza).
Può sembrare una semplice riedizione delle case editrici-bidone, quelle che da sempre stampano ‘on demand’, o per meglio dire, a spese dell’autore. Ma, oltre che la spesa sarebbe molto inferiore, oltre che sarebbe comunque opportuno mantenere una soglia (bassina) di qualità, potrebbe trattarsi del luogo ideale per l’utente medio che non è necessariamente uno scrittore, artista o programmatore maledetto, ma che ha del materiale a disposizione e vuole non tanto farci soldi, quanto vedere riconosciuta la propria proprietà intellettuale. Dandogli il 100% dei diritti noi gliela riconosciamo: nulla gli vieta di cedere a un editore vero, se ne incontra uno interessato, grazie al nostro sito-vetrina.
Alla fine quel che conta veramente non è ‘vendere’. Quel che conta è mettere le proprie cose in vetrina, proteggendosi però dal copia-incolla selvaggio.
A vedere bene si tratta di un nuovo modo per vedere internet. Non più la zona franca del tutto è gratis (ma non lo è mai stato), ma nemmeno l’ennesimo centro commerciale in mano alla grande distribuzione. Un più umano bazar dove chiunque esibisce la propria mercanzia. Chiunque di noi potrebbe almeno sperare di mettere da parte qualche soldo extra con qualcosa realizzato nel proprio tempo libero: un libro, una canzone in mp3, un programmino per dare da mangiare ai pesci rossi sullo screen-saver, ecc..
L’obiezione è sempre: “Ma chi comprerà questa roba?”
La risposta è: “Chi se ne frega, noi non ci facciamo pagare per i file che vendiamo, noi ci facciamo pagare la vetrina”.
Comunque per i primi due anni almeno bisognerebbe fare tutto gratis, per lanciare la cosa come si deve.
Il maggior pregio del progetto, mi pare, è l’esiguità delle spese: occorre soltanto attivare un contratto con una banca per l’e-commerce, e mantenere un portale efficiente. Nessun magazzino: si venderebbero soltanto file.
La cosa che principalmente mi sfugge è il ruolo della SIAE in tutto questo. Soprattutto per quanto riguarda gli mp3, che sarebbero il mercato più promettente (gli esordienti interessati a commerciare il proprio demo), ecc..
Beh, che ne dite?
Forse non ci si farebbero i miliardi, ma secondo me è un buon inizio. C’è l’aspetto proditorio che deve avere ogni buona iniziativa imprenditoriale (fare soldi sulle velleità creative della gente); e allo stesso tempo c’è anche un’idea globale, politica, contro la distribuzione massificata, per la piccola proprietà intellettuale, geee…
venerdì 2 febbraio 2001
Piccolo test di geografia
Nei giorni del concorso ho studiato un po’ di geografia fisica, questa cenerentola tra le materie. Per esempio, ho re-imparato come funziona la dinamica astronomica delle stagioni, l’influsso dell’inclinazione dell’asse terrestre, etc.. È una nozione che mi tocca recuperare da capo diciamo ogni cinque-dieci anni, tutte le volte a prezzo di un enorme sforzo di astrazione.
In geografia le cose più difficili sono quelle più scontate. Per esempio: la luna ruota o no su sé stessa? Voi cosa ne dite? Io e F. ne discutiamo spesso, di solito di notte e coi bicchieri mezzi vuoti.
Ed eccone un’altra ispirata dal cielo di oggi, perfetto cielo limpido di febbraio con le nevi del Cimone sullo sfondo… siete pronti? Bene. Perché sulle montagne fa più freddo?
Questo, per esempio, sul mio manuale di geografia (per le superiori) non c’era. Probabilmente è considerata una nozione troppo elementare. Dovrebbe far parte di quella ‘cultura di base’ geografica che dovremmo già avere assunto… dove? Alle elementari? Dal seno materno? In uscita con gli scout?
Bene, io so benissimo che sulle montagne fa più freddo, ma non credo di sapere esattamente il perché. Ho alcune teorie, ma mi piacerebbe sentire le vostre. (Qui a fianco ho aggiunto un link per scrivermi). Per ora nessuno mi ha risposto con la perentorietà di una nozione assunta una volta per tutte.
Vorrei poter dimostrare come in realtà la maggior parte di noi non sappia perché sulle montagne faccia freddo, anche se crede di saperlo.
E cioè: quello che noi chiamiamo cultura è ciò che noi crediamo (o facciamo finta) di sapere…
Nei giorni del concorso ho studiato un po’ di geografia fisica, questa cenerentola tra le materie. Per esempio, ho re-imparato come funziona la dinamica astronomica delle stagioni, l’influsso dell’inclinazione dell’asse terrestre, etc.. È una nozione che mi tocca recuperare da capo diciamo ogni cinque-dieci anni, tutte le volte a prezzo di un enorme sforzo di astrazione.
In geografia le cose più difficili sono quelle più scontate. Per esempio: la luna ruota o no su sé stessa? Voi cosa ne dite? Io e F. ne discutiamo spesso, di solito di notte e coi bicchieri mezzi vuoti.
Ed eccone un’altra ispirata dal cielo di oggi, perfetto cielo limpido di febbraio con le nevi del Cimone sullo sfondo… siete pronti? Bene. Perché sulle montagne fa più freddo?
Questo, per esempio, sul mio manuale di geografia (per le superiori) non c’era. Probabilmente è considerata una nozione troppo elementare. Dovrebbe far parte di quella ‘cultura di base’ geografica che dovremmo già avere assunto… dove? Alle elementari? Dal seno materno? In uscita con gli scout?
Bene, io so benissimo che sulle montagne fa più freddo, ma non credo di sapere esattamente il perché. Ho alcune teorie, ma mi piacerebbe sentire le vostre. (Qui a fianco ho aggiunto un link per scrivermi). Per ora nessuno mi ha risposto con la perentorietà di una nozione assunta una volta per tutte.
Vorrei poter dimostrare come in realtà la maggior parte di noi non sappia perché sulle montagne faccia freddo, anche se crede di saperlo.
E cioè: quello che noi chiamiamo cultura è ciò che noi crediamo (o facciamo finta) di sapere…
Due libri e tre gravidanze
La storia dei miei concorsi è una storia di infinite umiliazioni.
L'università ti vizia, ti ammansisce con basse dosi di burocrazia, e soprattutto, quando non è a numero chiuso, t'illude che la quantità non sia un problema, mai: anzi, più si è, più gli esaminatori vorranno sbrigarsela con noi.
Malgrado avessi avuto a disposizione tutti gli elementi necessari a capirlo per tempo, devo ammettere che il risveglio è stato brusco. Sul mercato del lavoro i laureati in lettere valgono molto poco, perché sono troppi. Se si fa un concorso (posto che ci sia un motivo per farlo, a parte la campagna elettorale), essi parteciperanno a migliaia. Così il concorso durerà più di un anno (12 mesi esatti tra lo scritto e l'orale).
"Abbia pazienza", dicevo ieri per telefono a una signorina della sovrintendenza, "ma quel che ho scritto sulla domanda del '99 proprio non me lo ricordo. Voglio dire, per me un anno, un anno e mezzo è praticamente una vita. Ho scritto anche (petulante) un paio di articoli, e..."
"Sì, lo so, che avete tutti scritto due libri, e tre gravidanze, ma il problema è che siete in troppi, per cui se vuole provare a darmi il suo nome e cognome, io andrò a cercare..."
(Contrito)"La ringrazio, la ringrazio tanto..."
Non so esattamente di quanto, ma direi che una gravidanza valga molto di più di una pubblicazione, in termini di punteggio.
La storia dei miei concorsi è una storia di infinite umiliazioni.
L'università ti vizia, ti ammansisce con basse dosi di burocrazia, e soprattutto, quando non è a numero chiuso, t'illude che la quantità non sia un problema, mai: anzi, più si è, più gli esaminatori vorranno sbrigarsela con noi.
Malgrado avessi avuto a disposizione tutti gli elementi necessari a capirlo per tempo, devo ammettere che il risveglio è stato brusco. Sul mercato del lavoro i laureati in lettere valgono molto poco, perché sono troppi. Se si fa un concorso (posto che ci sia un motivo per farlo, a parte la campagna elettorale), essi parteciperanno a migliaia. Così il concorso durerà più di un anno (12 mesi esatti tra lo scritto e l'orale).
"Abbia pazienza", dicevo ieri per telefono a una signorina della sovrintendenza, "ma quel che ho scritto sulla domanda del '99 proprio non me lo ricordo. Voglio dire, per me un anno, un anno e mezzo è praticamente una vita. Ho scritto anche (petulante) un paio di articoli, e..."
"Sì, lo so, che avete tutti scritto due libri, e tre gravidanze, ma il problema è che siete in troppi, per cui se vuole provare a darmi il suo nome e cognome, io andrò a cercare..."
(Contrito)"La ringrazio, la ringrazio tanto..."
Non so esattamente di quanto, ma direi che una gravidanza valga molto di più di una pubblicazione, in termini di punteggio.
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