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mercoledì 15 ottobre 2003

Souvenir dalla Francia

Il 15 ottobre del 1999 stavo per lasciare la Francia, in un certo senso per sempre, e non avevo ancora comprato un regalo per mio fratello.

Vorrei poter dire: “Non sono bravo coi regali”, ma neppure questo è vero. Dipende dalle persone: ad alcuni so sempre cosa regalare, ad altri no. Con mio fratello c’era uno strisciante conflitto d’interessi. Se gli prendevo un cd che secondo me era bello, era chiaro a entrambi che prima o poi quel cd sarebbe finito in camera mia.
Allora avrei dovuto prendergli un cd che piacesse a lui e non a me, sarebbe a dire, un cd di merda, e non era giusto. Più o meno coi libri era uguale. Salvo qualche colpo di genio o di fortuna, una copia di ERNESTO "CHE" GUEVARA, La guerra di guerriglia, prima edizione Feltrinelli Ue, trovato su una bancarella: sicuro che quello se ne sarebbe rimasto per sempre sui suoi scaffali.
E infatti, eccolo qui.

Più o meno per gli stessi motivi avevo adocchiato da parecchio un cd francese che avrebbe potuto piacergli, se non altro per il pugno chiuso in copertina. (C’era anche una versione di Bandiera Rossa, cantata in italiano, ma pronunciata alla francese, Avancioppoppolo, demenziale). Ma c’era un ma: costava un sacco di franchi, veramente tanti per un cd col pugno chiuso, e probabilmente non li valeva. E magari a lui non sarebbe nemmeno piaciuto. E comunque in città non lo avevano: potevano ordinarlo da Poitiers, ma era troppo tardi. Il 16 partivo. Ed era il 15 ottobre, mezzogiorno, stavo per lasciare la Francia e non avevo nulla da portare a mio fratello.
Troppo giovane per il cognac, troppo vecchio per Asterix. Alla sua età ci sono solo i cd. E l’unico cd che mi veniva in mente era troppo caro e stava a Potiers. Potevo andare a Poitiers: ci avrei messo un pomeriggio intero e avevo ancora i bagagli da fare. La sera avevo una cena d’addio e la mattina la sveglia presto. Mille chilometri al volante non sono uno scherzo, è inutile barare, bisogna essere riposati sul serio.

D’altro canto, era mio fratello. Saltai in macchina e andai a Potiers. Un traffico del diavolo. Tornando, ero sopraffatto dall’assurdità della situazione. Quattro preziose ore di sonno buttate per comprare qualcosa di assolutamente inutile, e probabilmente anche brutto. Gli sarebbe piaciuto, almeno? Sì, gli sarebbe piaciuto, per far piacere a me. Siamo fatti così: ci inganniamo l’un l’altro, ci compriamo tante cose, ci riempiamo mensole e armadi di roba inutile, che nel migliore dei casi ci ricorda qualcuno. E nel peggiore dei casi è solo roba brutta e inutile che non hai mai il coraggio di buttare via.

Sarà capitato anche a voi, di dover prendere decisioni, su un regalo, o su come investire un pomeriggio, e di trovarvi a misurare in minuti e in centesimi l’affetto che vi lega a una persona. È brutto, è triste, ma il giorno è fatto di ventiquattro ore, e nelle vostre tasche ci stanno tot franchi e non di più.
Io lo so come ci si sente in questi casi, ed è per questo che sto scrivendo adesso: vorrei dirvi che capisco, ma che ho scoperto che ne vale sempre la pena. Vale la pena perdere un pomeriggio, vale la pena spendere il doppio o il triplo o il quadruplo o qualsiasi prezzo. Può essere una cretinata, un libro o un cd scemo: può anche essere l’unica cosa che vi verrà in mente, stanotte, quando verranno a dirvi che siete stati cattivi amici, o cattivi padri, o cattivi fratelli. No. Il 15 ottobre del 1999 ho buttato via un pomeriggio prezioso, perché volevo bene a mio fratello. Ho la prova. È proprio qui, nella mensola, sopra il mio letto. Nessuno me lo può portare via.

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