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mercoledì 26 luglio 2006

- teaching teachers kidding kids

Chi insegna agli insegnanti?

Lessi una volta di un prof (un collega), che si lamentava delle ragazzine. Tutte uguali. Chiedi a una dodicenne: cosa farai da grande? Lei ti risponde: la modella. Poi ci pensa meglio e aggiunge: al massimo la parrucchiera.

In fondo tutti noi viviamo al massimo, purtroppo non nel senso di Vasco Rossi, ma in quello della ragazzina. Abbiamo tutti un piano B. Io per esempio, a 12 anni che avrei risposto? Probabilmente mi sarebbe piaciuto scrivere. Romanzi o canzoni o boh. Ma al massimo avrei fatto il prof. Di lettere, ovvio.

E come me ci sono milioni di persone, incoraggiate – contro ogni buon senso – dal sistema scolastico italiano. La scuola italiana ha sempre avuto un debole per la cultura umanistica, la letteratura, la filosofia. Ben prima che intervenisse il famigerato ministro Gentile (fascista!) Quanto prima? Non lo so. La prima Università del mondo è nata a Bologna. Per molti secoli non ebbe una cattedra di lettere, perché i letterati puri non fatturavano nulla. Carmina non dant panem, si diceva. Nel medioevo eran fatti così. Erano secoli avanti.

Oggi invece l’università sforna letterati a getto continuo. E quante cose può fare un letterato laureato, pensateci. Per esempio, può scrivere: libri, poesie, saggi, radiodrammi, blog, e quant’altro. Tutte cose che, curiosamente, non danno il pane.
Quando se ne accorge, sulle prime il letterato ci rimane male.
Poi però si ricorda che dà bambino aveva un piano B.

Il mio piano B scattò del 2000, quasi a mia insaputa. Un mattino di gennaio mi trovai in una folla discretamente oceanica che attendeva l’apertura dei cancelli per quello che sarebbe passato alla storia come il Concorsone. L’imbarazzo di ritrovarmi di nuovo su un banco di scuola, dopo parecchi anni, con un dizionario un astuccio i bigliettini e tutto il resto, era parzialmente mitigata dal fatto che tutti sembravano più anziani di me: capelli grigi o radi, rughe, occhiali da presbiti. In effetti ero stato fortunato: il Concorsone era il primo dopo nove anni, e anche l’ultimo. Non ce ne sarebbero stati altri. L’Italia non aveva bisogno di tutti questi prof, dopotutto.

Gli scritti restano, a distanza di anni, un mistero. Sapevo tutto sulla crisi del ’29, persino il nome del Presidente, eppure mi bocciarono in Storia. Feci un tema pessimo, e mi promossero in Italiano. Ma quello che mi preoccupava era l’Orale.
L’Orale ci fu un anno dopo. Nel frattempo mi ero trovato un lavoro, e il Concorsone mi appariva sempre più surreale. Tuttavia mi sentivo in dovere di provarci: dopo 20 anni di esami, mi sembrava idiota demoralizzarsi proprio all’ultimo gradino prima di una Abilitazione. Ma avevo paura che mi chiedessero di pedagogia e didattica, materie a me del tutto ignote.
Mi sarei anche letto dei libri, se avessi capito quali leggere, ma nessuno sapeva dirmi niente. All’università erano materie facoltative, evitabili, evitate. Ma mi sembrava improbabile che uno potesse essere abilitato all’insegnamento in una scuola italiana senza conoscere nemmeno un rudimento di pedagogia o didattica. Come se all’esame di guida non ti chiedessero nulla sui cartelli stradali.

All’orale mi chiesero il rapporto tra fasi lunari e maree. Le ragioni dell’intervento USA nella prima guerra mondiale (mi soffermai sul contenzioso col Secondo Reich sull’isola di Guam). E passai. Abilitato. Potevo insegnare. Cominciarono a telefonarmi al cellulare: le va di fare tre ore a Medolla? Che ne pensa di sei ore a Prignano? Grazie, no, rispondevo. Un lavoro ce l’ho già, e non so se sarei capace di insegnare.

Il che, se ci pensate, è tragico. Venti anni di istruzione. Una licenza, un diploma, una laurea, e finalmente un’abilitazione a un lavoro. Che nessuno però mi aveva mai insegnato a fare.

E come me, milioni di persone. Il dramma del sistema scolastico italiano a mio parere è questo: non solo crea molti più insegnanti di quanti ne servano, ma non insegna loro nemmeno a insegnare. Tutto quello che fa è impregnarli di nozioni e rilasciare un pezzo di carta. Ma un pezzo di carta e un sacco di nozioni non fanno un prof, questo mi era chiaro persino allora.

(Fine della prima parte. Non perdetevi la seconda!!! Guest star: il Terribile Tar del Lazio!!!!)

8 commenti:

  1. bè anche io ho fatto il concorso anzi i concorsi...ma il carrozzone concorso non è neanche paragonabile alle farse e false siss...dove neanche i docenti sanno cosa insegnare a coloro che a loro volta un dì saranno insegnanti...solo per aver pagato due annualità di tasse universitarie...almeno per i concorsi abbiamo anche studiato

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  2. Dio, se hai ragione! E il bello, ora, è che dopo aver fatto l'università, non solo devi fare una trafila lunghissima prima di poter insegnare, ma devi fare altri anni di "scuola", anni in cui ti insegneranno tante belle cose di Didattica e Pedagogia, ma sempre solo nozioni.
    Nessuno ti spiegherà come trattare con un alunno più lento (o più veloce) degli altri, come affrontare i momenti di crisi, la chiusura mentale che gli adolescenti mettono in atto contro gli insegnanti (o gli adulti in generale).
    Che culo, eh?

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  3. Uh, vogliamo mettere la Siss? Dopo esserti laureato, abilitato e dopo 5 anni che già insegni, ti tocca tornare a scuola -di pomeriggio da allievo- per non farti scavalcare in graduatoria. E ci trovi, come docenti, gli stessi dell'università, che ti spiegano le stesse cose, nello stesso modo. Solo che adesso paghi il doppio per stare lì.
    E gli insegnanti, che insegnano all'università appunto, non mettono piede in una scuola dai tempi loro e non hanno idea di come sia la realtà. Si narra di una docente del corso per insegnanti di sostegno che entrò in aula baldanzosa, con pc, proiettore e quant'altro, proiettando al muro la scritta HANDICAP E' BELLO! ed impostò il corso su questo assunto...

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  4. mitilene: non si narra ma si partecipa a siss in cui come apice di cultura trasmessa ci hanno fatto giocare con la plastillina...ho detto tutto

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  5. Che mi hai fatto ricordare!...
    Proprio grazie ai lunghissimi intervalli tra un concorso e l'altro, e tra una supplenza e l'altra, feci in tempo a cambiare mestiere (e a fare la fortuna di qualcuno: la mia o quella dei possibili allievi a me scampati?)

    Ciao
    (una che ha preso l'abilitazione nel 1991 ma non ne ha fatto un gran che)

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  6. la mia opinione in merito è che molto spesso tutto questo "spargimento di sangue", questa gavetta, queste trafile, sono immotivate se non si ha una sincera passione per insegnare. ché uno alla fine dice "ma il gioco non vale la candela, suvvìa!"

    leb.

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  7. dai che se sei fortunato alla ssis ti trovi, fra gli altri cattedratici che sbrodolano fantastiche teorie, docenti scolastici abilitati via concorso che ti raccontano come va a scuola tutti i giorni. sono gli unici di cui ti dovresti fidare, nel bene e nel male (se ti sembrano folli, fose lo sono). ma ancor di più, ringrazia che in ssis puoi fare la prova coi ragazzi prima di firmare un contratto col ministero. solo chi è entrato in classe tramite concorso e senza aver mai fatto un'ora di sopplenza sa che vantaggio sia pagare per abilitarsi.

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