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giovedì 28 novembre 2024

Il santo che gridava al lupo, al lupo

28 novembre: San Giacomo della Marca (1393-1476), predicatore e inquisitore

Museo Cerralbo, Madrid
Giacomo da bambino a un certo punto non voleva più pascolare le pecore. Ai tempi si chiamava Domenico, e ai fratelli raccontava di aver visto un lupo. La cosa non doveva poi essere così improbabile, eppure non gli credevano: oppure credevano che dovesse cavarsela da solo. Invece una sera non tornò all'ovile, e dopo averlo cercato in lungo e in largo i fratelli lo trovarono a Offida, ospite di un prete suo parente che lo aveva messo a studiare. E siccome per lo studio sembrava portato, invece di bastonarlo un po' e riportarlo a casa, il fratello lo lasciò lì. Il che mi conforta nell'opinione che l'unica vera utilità degli stage scuola-lavoro, oggi, sia quella di convincere gli studenti a rientrare a scuola, e organizzarsi per restarci il più possibile. Forse dovremmo mandarli a pascolare, tutti, una o due settimane in settembre, ora che tra l'altro i lupi sono tornati. Riscoprire il vero Don Milani, quello che lasciava scrivere ai suoi studenti allevatori "la scuola sarà sempre meglio della merda": e affinché non resti un vuoto aforisma, mandarli a spalare letame finché non implorano di memorizzare le coniugazioni. Oppure riportare in auge certe vetuste occupazioni industriali: la fresa, la mola, e perché no, le miniere. Certo, c'è il rischio che qualche studente preferisca vedersela coi lupi che con gli insegnanti: ma è una sfida che noi insegnanti dovremmo saper cogliere. 

Con Giacomo il lupo funzionò. Del resto ogni secolo ha gli ascensori sociali che può: nel quindicesimo un ragazzo marchigiano di umili origini e deciso a studiare non poteva probabilmente trovare di meglio che un saio francescano. Allievo del grande Bernardino da Siena, la star assoluta della predicazione tre-quattrocentesca, Giacomo si distinse presto non solo per l'arte oratoria ma anche per la determinazione con cui in coppia con l'inquisitore Giovanni da Capestrano cacciava e mandava al rogo i "fraticelli", ovvero i francescani estremisti, colpevoli di interpretare la Regola francescana in una versione oltranzista che probabilmente era quella più vicina all'originale, ma la meno gradita alle gerarchie temporali e spirituali. Questo non li impediva di coltivare propositi vendicativi e criminali, visto che un paio di volte tentarono di farlo fuori; del primo attentato, avvenuto nel  1426, sappiamo anche il prezzo pattuito coi sicari: 200 ducati per ammazzare Giacomo, 500 per Giovanni.

Inviato dal papa in Bosnia contro gli eretici bogomilli, e più tardi in Boemia (oggi repubblica Ceca), dove Jan Hus aveva fatto da poco scoccare la prima scintilla della riforma protestante, Giacomo che da bambino non aveva voluto difendere le sue pecore dal lupo, passò tutto il resto della sua lunga vita a difendere l'ortodossia cattolica: e malgrado questo corse lui stesso il rischio di passare per eretico, quando nel 1462 sostenne pubblicamente che il sangue versato da Cristo potesse essere oggetto di venerazione (quella che si deve ai santi) ma non di adorazione (quella che i cristiani devono riservare a Dio): per Giacomo il sangue, di cui si conservavano evidentemente alcune reliquie, si era separato dalla divinità durante la Passione. L'argomento riapriva una diatriba ormai secolare coi domenicani, che sostenevano l'esatto contrario, e Giacomo aveva avuto l'ardire di parlare del sangue di Cristo predicando ai bresciani, proprio mentre l'inquisitore lombardo era un domenicano, Giacomo Petri. Ne derivò una lunga contesa che terminò salomonicamente quando Pio II, convocati i due Giacomi a Roma, impose a entrambi il silenzio sull'argomento: per cui se mi chiedete oggi se per i cattolici il Sangue di Cristo sia adorabile o venerabile, onestamente non lo so, forse non è neanche più lecito esprimere un parere; per fortuna abbiamo altri problemi. Giacomo della Marca morì quindici anni dopo, quando aveva passato l'ottantina: coriaceo e longevo come molti suoi colleghi predicatori. Ma la polemica sul Sangue, che gli aveva amareggiato gli ultimi anni di vita, ne complicò probabilmente anche il percorso verso la canonizzazione, che terminò soltanto nel 1726. Nel frattempo Giacomo era stato un po' dimenticato: i pittori preferivano popolare le Sacre Conversazioni di santi già canonizzati e al di sopra di ogni polemica, e quando finalmente poterono includere Giacomo, non sapevano bene come distinguerlo dagli altri predicatori francescani secchi e smunti, come Bernardino da Siena o Bernardino da Feltre. Alcuni, avendo sentito parlare della diatriba del Sangue, gli mettevano in mano un'ampollina, ma possiamo immaginare che i vescovi non apprezzassero l'idea: un Santo dovrebbe essere identificato dalle sue azioni, possibilmente miracolose, e non da polemiche censurate del Papa. Per cui a volte dall'ampolla spunta un serpente, il che alluderebbe a un altro attentato ai danni di Giacomo, ordito dai soliti terroristi fraticelli, da cui si sarebbe miracolosamente salvato. 

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