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mercoledì 29 ottobre 2025

Un Angelo a Napoli (ha i suoi problemi)

30 ottobre: Sant'Angelo d'Acri (1669-1734), apostolo della Calabria

Nessuno è profeta in patria, ma anche a Napoli è dura. È una città esigente, mettiamola così: specie se vieni da fuori, che in altre città è quasi inevitabile, ma a Napoli da un certo punto in poi no: fatevi venire in mente qualcuno che nascendo in altre regioni è diventato grande a Napoli.

La butto lì: Liberato. 

Dite: ma Liberato è di Napoli.

Rispondo: è senz'altro quel che vuole che pensiamo: ma se invece fosse, boh, di Forlimpopoli? O Cividale?

Eh, probabilmente lo terrebbe segreto a tutti, perché se qualcuno a Napoli se ne accorgess... ah.

In altre città non è così, dai. Ve lo immaginate uno che fa finta di essere milanese ma non lo è? Sì che ve lo immaginate, senza nemmeno molta fatica. Tutti i milanesi fanno finta di esserlo. Non solo gli artisti, i comici, proprio tutti. A Napoli è diverso, e sarebbe interessante cercare di capire il perché. Tra l'altro è un fenomeno recente, perché per secoli Napoli è pur stata la capitale di un regno popoloso, e in quanto tale un po' di gente da fuori doveva assorbirla, non sappiamo quanto volentieri. Vedi il caso di frate Angelo d'Acri. 

Le vedi le isoglosse?
È dove cambia il colore
Acri oggi è in provincia di Cosenza, e Angelo laggiù era già un predicatore di un certo successo – un cappuccino dalla barba folta e il miracolo facile, sulla linea diretta che va da Francesco da Paola a Pio di Pietrelcina, una linea decisamente meridionale che però, fateci caso, da Napoli non passa. Anche Angelo ci soggiornò solo per un breve periodo, chiamato da un vescovo  che gli affidò la predicazione quaresimale nella chiesa di Sant'Eligio – credo sia proprio quella in Piazza del Mercato. Angelo obbedì, ma è facile immaginare che in città fosse un pesce fuor d'acqua. Nato da una famiglia di umile estrazione, Angelo qualche studio l'aveva pur fatto, altrimenti i confratelli non l'avrebbero destinato alla predicazione; ma dopo qualche disastroso tentativo di memorizzare i discorsi a memoria, aveva iniziato a improvvisare, adoperando linguaggio e stile dei suoi concittadini, nonché contenuti concreti, alla loro portata. Questo stile oratorio lo aveva reso popolare in tutte le Calabrie, ma a Napoli la parlata è ben diversa – avete presente che isoglossa ci passa in mezzo? – avete presente le isoglosse? – e a parte la parlata, il pubblico in generale era molto più esigente, si sedeva sulle panche e si aspettava di ascoltare un bel discorso preparato con cura; magari poi uscendo lo commentava con gli amici, sottolineando i punti forti e soprattutto quelli deboli; molti altri passatempi in quaresima non essendo consentiti.

E dunque Frate Angelo avrebbe dovuto trascinare il suo pubblico con elaborate costruzioni retoriche che facessero temere l'inferno e sognare il paradiso, ma era un pubblico raffinato e lui veniva da lontano. È facile immaginare quanto la situazione risultasse troppo stressante per lui, che non poteva fare a meno di notare come le panche della chiesa fossero ogni giorno più vuote. A un certo punto l'autorità parrocchiale chiese al sagrestano di cacciarlo dalla chiesa, operazione che quest'ultimo effettuò, dice il biografo, "con soverchio zelo". Angelo si era già messo sulla strada per la Calabria quando ricevette dal vescovo l'ordine di fare dietrofront: alla parrocchia di Sant'Eligio era stato chiamato e alla parrocchia di Sant'Eligio doveva restare. A questo punto non aveva scelta: ma la prima volta che gli capito di tornare sul pulpito fece una cosa che contraddice un poco gli agiografi che gli riconoscono un carattere bonario e paziente. 

Al termine della predica, pervaso da uno spirito profetico, avrebbe infatti affermato: "Compiacetevi, Predilettissimi , di recitare divoti un Pater, ed un'Ave Maria per 1'Anima di colui, che all'uscire da questo Tempio dovrà morire; qual sebbene si tenga per sano, e salvo; pure, ciò non ostante, un'ora sola gli rimane". A chi si riferiva sarebbe stato chiaro un'ora dopo, quando gli abitanti del quartiere furono testimoni della morte improvvisa di Gennaro Sarto, "Scrivano Fiscale di Vicaria". "Era quelli un di quei, che dilegiavan la predica, e screditavano l'Oratore; e non ad altr'oggetto erasi trasferito in Chiesa, che per aver campo poi di ritagliarlo ne' Circoli, e nelle Radunanze degl'Oziosi", insomma siccome le prediche di Frate Angelo non gli piacevano, non se ne perdeva una. Avete presente i lettori che su un giornale per prima cosa vanno a leggere i pezzi scritti dagli autori che non sopportano? Certo che li avete presente. Magari mi state leggendo per questo esatto motivo.  

Allo stesso modo, Gennaro Sarto amava assistere alle prediche di Angelo per il gusto di recensirle male e riderne con gli amici... finché Angelo non lo maledisse, uccidendolo al primo colpo, anche se questa cosa nessuno osa scriverla; gli agiografi preferiscono che uniamo i puntini e traiamo le conseguenze; senza dimenticarsi di accennare al fatto che da quel giorno, le panche di Sant'Eligio furono sempre piene di gente, e nessuno più criticò lo stile del predicatore. Anche solo per questo, Angelo d'Acri dovrebbe essere il patrono di tutti gli artisti che vorrebbero aspettare i critici sotto casa col randello. Per ora tuttavia non ha ancora un patronato: del resto è diventato santo soltanto di recente (nel 2018), dopo aver guarito miracolosamente un ragazzo che aveva fatto un incidente con un quad.

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