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giovedì 6 settembre 2001

Buonanotte, bambini (ovunque voi siate)

“Good night children, everywhere…”
(The Prisoner, episode 15: The girl who was Death)

Quando ero un bambino – uno strano bambino – mi facevo molti problemi.

Questa cosa della bomba atomica, per esempio, non riuscivo a mandarla giù. Così se era una bella giornata e uscivo a fare una corsa, a un certo punto m’incantavo a guardare le scie dei jet e pensare: adesso quello è un missile e ci uccide tutti.

Allora tornavo in casa e mi mettevo di fronte alla tv – peggio ancora. C’erano alieni veramente orrendi alla tv quand’ero bambino, alieni cattivi e basta, cattivi proprio senza redenzione, con poteri spaventosi. Non era semplicemente che volessero conquistare la terra – fin lì, d’accordo -– ma volevano conquistare proprio noi, i nostri corpi, e renderli mostruosi come i loro. L’unica era affidarsi alle capacità di qualche robot d’acciaio giapponese di cui però, istintivamente, non sono mai riuscito a fidarmi. Erano mostri pure loro, in fin dei conti, avevano una faccia ma non facevano un sorriso o una smorfia mai, e si muovevano con malagrazia. “Ma perché non ci montano le ruote”, mi chiedevo, “o un bel cingolato”? Vivevo pur sempre in un autofficina…

Cambia canale, c’è un film di fantascienza. Trama: dopo una guerra nucleare le scimmie prendono il potere. Oppure: dopo una guerra nucleare i giovani prendono il potere, e chi ha 25 anni viene terminato (ti montano una lucina gialla nel palmo della mano, che quando ne compi 24 diventa rossa). Oppure: dopo una guerra nucleare… continuate voi.

Forse ero io un po’ apprensivo di natura. O forse era davvero terrorizzante, la tv della mia infanzia. C’era un’angoscia che non era soltanto nelle storie, le bombe atomica e i relativi dopobomba, ma nei dialoghi, nelle immagini, in tutto. Molte trame naturalmente non le capivo nemmeno. Per forza: ero un bambino – ma le trame dei telefilm di oggi le capirebbe anche un bambino. No, erano trame aggrovigliate, difficili, impegnative, e non si capiva mai chi era il buono o chi il cattivo.

Poi l’infanzia è terminata, e non mi manca. All’altezza di Heidy e Candycandy la tv italiana è stata prima irrigata, poi inondata da un fiume di melassa che oggi ha rotto ogni diga. Oggi l’angoscia non c’è in tv, e non si capisce nemmeno perché dovrebbe esserci. La gente è stanca, la gente fa otto ore e poi ha voglia di sentire gente che ride, ragazzine che sculettano.

E poi sono venute meno le ragioni stesse della nostra angoscia, no? Bombe atomiche, guerre spaziali, chi ci pensa più?

A volte mi chiedo come verranno su i bambini. A volte mi chiedo come sarei venuto su io, se invece di Goldrake mi fossi trovato in mano i pokemon. Nessuna ansia di difendere la terra dai nemici, solo il problema di collezionare un sacco di esserini per essere più bravo degli altri… beh… forse anche la mia generazione guarda i pokemon di nascosto.

Però abbiamo visto anche Goldrake e Daitan3, una certa angoscia metafisica di salvare il mondo dagli alieni spersonalizzanti ce l’abbiamo, e questo mi fa pensare che Cacciari, quando rimprovera Casarini di usare un lessico da Guerre stelari, punge nel vivo.

Tutto questo parlare perché? Perché navigando mi sono ritrovato di fronte a uno dei miei peggiori shock infantili, quasi del tutto dimenticato. Un telefilm assurdo di cui conservavo pochissime immagini – una sigla inquietante in cui la faccia del protagonista si allarga come per uscire dallo schermo, finché all’ultimo momento non compare una sbarra di ferro a fermarla. Si chiamava (non me lo ricordavo) Il prigioniero. Il protagonista -– un musone terribile – è prigioniero di una comunità perfetta dove tutti sono felici, tranne lui, che si ostina a non voler farsi chiamare “Numero 6”. Il lavaggio del cervello, l’assunzione di droghe, la deformazione della personalità, sono ordinaria amministrazione in ogni puntata. “Paranoie da anni Sessanta”, direi adesso. Solo che allora non sapevo neanche che cosa fossero, gli anni Sessanta, e mi bevevo tutte le paranoie senza nessun filtro culturale.

(Adesso che ci penso negli ultimi anni abbiamo usato la cultura per difenderci da tutto. Ogni cosa che ci succedeva, era “Anni Sessanta”, “Anni Novanta”, “Postmoderna”, “Dentro il Novecento”, “Fuori dal Novecento”… come se il problema di Genova sia essere o no nel Novecento… sai cosa ci frega di essere o no nel Novecento, quando c’inseguono per pestarci nelle nostre stesse strade…)

La cosa più terribile comunque erano quelle enormi palle bianche che circondavano il villaggio perfetto e ti ‘inglobavano’ se cercavi di scappare. (E cioè: non solo morire, ma diventare parte del nemico, che per giunta è un mostro disumano-meccanico. Come i meganoidi).

E poi c’era questo protagonista. Ho scoperto che era un divo britannico, e che tutto il serial era un parto della sua fantasia. Bene. Ecco, aveva lo stesso problema dei robot giapponesi. Sosteneva di essere un essere umano, non un numero. Ma con che argomenti? Con quel muso, con quell’ostinazione a lasciare il Villaggio, non sembrava affatto più umano dei suoi nemici, i Numeri Due che sconfiggeva con raffinata crudeltà.

Rileggendo le trame ho scoperto che devo aver guardato tutti gli episodi della serie. Magari senza capire (anzi, sicuramente senza capire). Magari mentre armeggiavo coi mattoncini lego sul tappeto, ma li ho visti tutti, e da qualche parte dentro di me sono rimasti. Compresa l’ultimo episodio, incomprensibile, che mi fece una paura terribile, anche a causa di una canzone angosciante, stonata, che ogni tanto saltava fuori.
Scopro (ma lo sapevo già, in fondo) che si tratta di All you need is love dei Beatles. Certo. Se ci riflettete è una delle canzoni più strane che abbiate mai sentito. (Né quattro quarti né tre quarti). Tutto Quel Che Vi Serve è l’Amore. Con quel tono beffardo che ci metteva Lennon, e l’orchestrina di George Martin…L’ideale accompagnamento per un lavaggio del cervello. Pensate che oggi la usa Castagna…

Ma in fondo è giusto così, no? Il Villaggio del Prigioniero assomiglia tanto alla capitale della Repubblica Italiana, Milano Due. La città del Grande Fratello. La città del nostro Presidente, che ci scala le tasse e ci fa vedere la televisione. Che ci dà Tutto Quello Che Ci Serve… Tutto Quel Che…

…scusate, passava un aeroplano. Mi piace guardare gli aeroplani, la striscia che fanno nel cielo.

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