Storia di Mària
[È una storia, appunto, ogni riferimento a persone o cose è casuale].
Il primo a porre il problema fu il padre, che una sera – Mària aveva dieci anni – rincasando fetente di bar, le appioppò un ceffone. Senza un motivo al mondo. O meglio: Mària stava correndo verso di lui nel corridoio, blaterando di un compito di scuola o di qualche altra sciocchezza, mentre il padre aveva i suoi problemi, i suoi debiti di gioco, i suoi pensieri, e insomma S-ciaf!
“Perché non parli come un maschio?”
Mària non crede nei traumi infantili, via! un ceffone è un ceffone. Di sicuro non è diventato così per una sberla, tra mille che ne avrà prese. Ma da quel giorno cominciò pure qualcosa. Col ceffone il padre gli propose la questione fondamentale: chi sono i maschi? Cosa vogliono? Come parlano? A dieci anni Mària non ne aveva la minima idea. Sempre in casa stava, appiccicato alla sottana di mamma. Era ora di dare un'occhiata al mondo.
La curiosità lo spinse a vivere la ricreazione in un modo diverso. Di colpo in bianco smise di giocare alla settimana con le compagne, che pure teneva carissime, e si avventurò nell’angolo di cortile dove spallonavano i maschi di quinta. Qui trovò una conferma ai sospetti del padre: la sua voce non andava. Il timbro era lo stesso degli altri bambini, ma c’era qualcosa di stridulo, che paragonato al tenorile bofonchiare di Flavio Dusacchi lo faceva suonare affettato. Lo stesso soprannome, abbreviazione del comunissimo cognome “Mariani”, sillabato da quei monellacci assumeva una sfumatura equivoca. Né Mario né Maria: Mària. Un nome qualunque, eppure unico al mondo. Mària non lo avrebbe mai più abbandonato.
Per il resto non erano così cattivi, gli ometti di quinta. Mària se li ingraziava con merende supplementari e pacchetti di figurine. Ripensandoci da adulta, un poco la imbarazza questa totale mancanza di dignità. Ma stare coi maschi era troppo importante. Era fiera dei lividi che si portava a casa – i maschi avevano sviluppato un’arte marziale che consisteva in una sequenza infinita di ganci destri alle spalle. Mària era un punchball simpatico e disponibile, e lo sarebbe rimasto per anni. Da Bordon Diego imparò anche a bestemmiare Dio e i Santi: ma quelle sillabe magiche, ripetute da Mària, tornavano a suonare troppo simili a preghiere, e insomma, dopo qualche tentativo Mària lasciò perdere: la sua non era una voce da maschi. Anche il padre si rassegnò.
Alle medie il vocabolario maschile s’allargò all’improvviso, e Mària scoprì d’essere un finocchio, un ricchione, una checca, un busone: tutto questo senza ancora mai avere desiderato nessuno, né maschio né femmina: e poi dicono che il genere si sceglie. Mària si era rimesso a chiacchierare con le compagne, ora che i maschiacci evitavano anche solo di toccarlo, per via del contagio: fermamente convinti che lo sfioramento del busone comportasse un rischio per la loro virilità, passavano intere ricreazioni a inseguirsi urlando “sfiga-di-Mària-immune!” E altre cose simili che, in assenza di ricerche serie sul bullismo, gli insegnanti non notavano. Poi venne la fase degli odori.
Si ricorda molto bene, Mària, che molto prima di decidersi a guardarli, i maschietti cominciò ad annusarli.
Non ci poteva fare niente. Gli odori stanno nell’aria. Gesù ha detto di cavarti un occhio, se ti dà scandalo, ma non ha aggiunto di turarti il naso. Il sudore di D’Angelo era muschiato e dolcissimo. Germini Patrizio aveva una pelle spugnosa che tratteneva l’odore di qualsiasi bagnoschiuma, anche se quasi sempre era pino silvestre. Nel frattempo le sue compagne cominciavano timidamente a truccarsi: Mària aveva potuto contare fino a quel momento sulla loro complicità, ora qualcosa stava cambiando; iniziava a odiarle. I loro profumini le impedivano di concentrarsi sull’afrore ascellare di Verozzi. E c’era il problema delle tette, che iniziavano a catalizzare gli sguardi. In questo gioco di rimandi incrociati, Mària restava totalmente indisturbata, e aveva modo di osservare gli altri. I maschi la indispettivano, non riusciva più a capirli. Fino a qualche settimana prima non alzavano gli occhi dalle figurine, ora avrebbero dato il rarissimo Pietro Vierchowod per uno sfioro di tetta.
E i peli. Fu Dusacchi il primo uomo a porre il problema, nello spogliatoio maschile. “Mària, oh! Ma ti radi?”
Se avesse avuto il tempo, in mezzo alle risate dei compagni, Mària avrebbe risposto di sì: si radeva, perché cominciava ad averne tanto, e folto, e la imbarazzava in particolare quel ciuffetto che tendeva a salire in direzione ombelico; ma Dusacchi, biondo com’era, poteva capirlo? D’altronde, cosa stava succedendo? Da quando in qua nello spogliatoio ci si guardava in basso? Mària non aveva mai osato. Pensava che ai maschi non piacesse. E Mària stava facendo il possibile per capirli, i maschi.
Perché gli piacevano. Gli piaceva l’insolenza metropolitana di Dusacchi, la timidezza irsuta di Verozzi, l’accento nordico di Bordon quando con una presa al collo lo stringeva tra le braccia per un momento, sussurrando “busone di merda”. Tutto sembrava pronto per un’esplosione ormonale, che invece il liceo congelò: al riparo dai maschi, in una classe a stragrande maggioranza femminile, Mària si dimentico degli odori e riprese a cicalare con le amiche. Divenne il migliore confidente di tutte, perché effettivamente conosceva i maschi meglio di loro, e la frase “Tutti stronzi” in bocca a Mària sapeva più di vero. In compenso le ragazze le insegnarono a vestirsi con stile, a camminare nei corridoi come sotto i portici del centro, e viceversa.
Il quinto anno fu meraviglioso, Mària era diventata una sintesi di due sessi che le piacevano molto, e cominciava ad aggiungerci qualcosa di originale, di suo. Un pomeriggio d’aprile, mentre ufficialmente aiutava Barazzi Clelia a ripassare chimica (in realtà provando vestiti vintage eredità di una zia), si ritrovò abbracciata su di lei, nel letto di lei, e pensò che quello che la situazione le richiedeva era un bacio. Ma forse sbagliò i tempi, o i modi: non aveva mai baciato una ragazza – non aveva mai baciato nessuno! Clelia si irrigidì di scatto, se lo aveva desiderato era stato un attimo, un giorno, un anno, un millennio prima: Mària si ritrasse, avrebbe voluto scomparire, e in un certo senso davvero scomparì qualcosa in lei, per sempre.
Un mese dopo, in gita scolastica, Clelia venne a bussare alla sua camera. “Ti devo dire un segreto. Sono omosessuale”.
“Eh?”
“Si dice anche delle donne, non lo sai? Perché deriva dal greco…”
“Clelia, Clelia, lo so da cosa deriva. Ma cosa… come fai a saperlo”.
“Ho fatto sesso con Nadia”.
“Quella zoccola? Ma non vuol dire, è ubriaca da ieri, e poi… e perché vieni qui a dirmi questa cosa…”
“Volevo ringraziarti. Perché è stato grazie a te che l’ho capito… quel pomeriggio che tu hai cercato di baciarmi!”
“Clelia, senti, sei fatta anche tu. Perché non ti stendi un po’, ti riposi e poi magari domani ne parliamo con calma”.
Clelia russò tutta la notte, come a ribadire il suo omoerotismo conquistato e trionfante, lasciando Mària sveglia a scalciare i dubbi: ha capito che è lesbica perché l’ho baciata, o ha capito che è lesbica perché l’ho baciata da schifo? Le piaccio o no? Le piaccio come uomo o come donna? O le piaccio perché non sono né l’uno né l’altro? Oppure tutto sommato non le piaccio, visto che alla fine si scopa la zoccola dall’altra parte del corridoio? Oppure avevano ragione i maschi delle medie, l’omosessualità è un virus e io gliel’ho passato… sfiga-di-Mària-immune… che casino… ma sai che c’è? Io non ne voglio un cazzo… a me piacciono i maschi… l’odore dei maschi… queste ragazze con tutti i loro problemi mi stressano la minchia e basta… fammi prendere la maturità e poi non mi trovano mai più”.
All'università, in una città diversa, la bomba ormonale, pazientemente custodita negli anni di frustrante apprendistato, esplose con la forza di cento cavalli vapore. Da vergine a idolo delle feste nel giro di pochi mesi, finché – sorpresa – non si stancò. Piuttosto presto. La promiscuità lo attirava, e insieme lo lasciava insoddisfatto. Provò a farsi una storia seria: ci provò con tutte le forze. Andò persino a vivere con lui, un damsino di Matera con la fissa per il cinema tedesco. Durò due anni. Andavano nei locali dei gay, alle feste gay; a un certo punto a Mària sembrò di soffocare. Conosceva tutti, e non gli piaceva più nessuno. Avrebbe voluto entrare nel bar di una polisportiva, e guardare le partite della Fortitudo coi ragazzetti del quartiere, e invece doveva sgugnarsi la retrospettiva di Fassbinder. E non provare ad allungare quelle mani.
“Senti, io ti lascio”.
“SSsssst, è iniziato il film”.
“E non ce l’ho con te. Tu sei gentilissimo e bravissimo e assolutamente a posto. Il problema è che sei gay”.
“Anche tu sei gay”
“Lo so. Io però i gay non li sopporto”.
“E cosa ti piace, allora?”
“Mi piacciono i maschi”.
“E cosa pensi di fare?”
“Non lo so”.
“Prova con le tette”.
Il consiglio, totalmente gratuito, spiazzò Mària come l’uovo di Colombo. Ma per abituarsi all’idea ci vollero comunque un paio d’anni. Cominciò con un push-up, giusto per vedere l’effetto. Non male! Aveva la sensazione di portarsi un pezzo di mamma con sé, le dava un senso come di confidenza. Infine iniziò con gli ormoni. Vedersi cambiare fu spaventoso e fantastico: l’adolescenza, finalmente, a venticinque anni. E il risultato finale fu discretamente spettacolare. Ora Mària sarebbe piaciuta agli uomini.
Pensò subito di monetizzare il risultato: dei soldi aveva bisogno, e inoltre non conosceva molti altri modi d’incontrare persone sensibili alla sua nuova identità sessuale. Prese in affitto una mansarda e pagò un paio di annunci sul giornale adatto: era nata una stella. I primi utili furono utilizzati in un paio di altri ritocchi che Mària riteneva necessari. Perché aveva voglia di tornare a casa, e voleva tornarci perfetta, e magari irriconoscibile. Come una seconda nascita.
“Torno a spaccarvi il culo”.
Letteralmente. Nei primi sei mesi di attività, Mària si ritrovò a sodomizzare D’Angelo, che ogni tanto ne aveva voglia ma non si considerava un ricchione; Verozzi, che voleva provare “una volta l’effetto che fa”; Germini che sosteneva d’essere ubriaco e di avere litigato con la fidanzata, e che dopo mezz’ora ebbe una specie di orgasmo multiplo mai attestato nella letteratura scientifica; e Bordon, il rude Bordon, che lo incitava pure: “Dai! E dai! E spingi, busone di merda!”
“Ma allora ti ricordi di me?”
“Perché ti sei fermato? E spingi!”
Fu Dusacchi a riconoscerlo invece, dalle misure.
“Ma certo che lo so chi sei, eri quello che ce l’aveva più lungo di tutta la scuola”.
“Io?”
“E che pelo avevi. Ne avevi tanto che ti radevi. E due gioielli, grossi così, solo tu. Ci ho pensato per anni”.
“Ai miei gioielli”.
“Sì”.
“E non potevi dirmelo prima? Dovevi aspettare che mi facessi crescere le tette?”
“Mi piacciono le tue tette”.
“Ma non le stai nemmeno guardando! È un pretesto! La verità è che non ti piacciono le tette”.
“Certo che mi piacciono. Non sono mica un busone”.
“Sicuro?”
“O, vaffanculo”.
Il che, detto da Dusacchi, nella posizione in cui si trovava in quel preciso momento, suonava come il più enorme controsenso al mondo.
“Non darmi mai più del busone. Mai più”.
“Va bene, ora sssst”.
Ricapitolando: Mària cercava l’uomo vero, si è montata un par di tette da sogno, e adesso il suo mestiere consiste nel sodomizzare una manica di maschi repressi che hanno paura di chiederlo a un gay. Non vi girerebbero le palle? A Mària in effetti girano. Ma questi maschi chi sono? Cosa vogliono? Lei si aspettava protezione, energia, magari anche ceffoni. E questi giù, in ginocchio o a pecora, a implorare, spingi spingi, che roba è? Mària è molto delusa. Cambierebbe anche sesso, se gliene fosse rimasto uno da provare.
L’altro giorno, per incanaglirsi, sbirciava la diretta del family day, quando in uno scorcio rapido li vide: nell’orgia cattolica di Piazza San Giovanni – milioni di persone convenute da tutt’Italia perché ce l’avevano con lei – Barazzi Clelia e Dusacchi Flavio mano nella mano, quest’ultimo con un bambino biondo calcato sulle spalle. E a momenti sveniva, sul serio, perché un bambino coi capelli di Dusacchi e il labbro di Clelia era ciò che più si avvicinava alla sua idea di perfezione.
Eh, quanto è piccolo il paese. Dunque è Clelia l’oca-moglie a cui Flavio ama sputare ingiurie postcoitali. Ma non era lesbica? Si vede che s’era sbagliata – chi è Mària per giudicare. Ma chi sono Flavio o Clelia, d’altro canto, per dare lezioni di normalità sessuale? E perché ce l’hanno tanto con Mària, che in tutta la sua vita non ha mai tolto niente a nessuno? Dio probabilmente ha inventato la famiglia solo per vedere il sorriso dei bambini, e si dimentica alla svelta tutte le ipocrisie, le promesse e le minchiate che vengono prima o dopo. Gli uomini e le donne e gli altri però quaggiù hanno da vivere, raccontandosi bugie e tirando avanti – e finché funziona che male c’è? Ma funzionerebbe, la Sacra Famiglia Dusacchi, senza la mansarda di Mària che fa da camera di compensazione? Sul serio non c’è posto nel presepe per lei? Potrebbe fare il bue, un'altra creatura di sessualità incerta; ma senza di lui si moriva dal freddo, quella notte.
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E' bellissimo questo racconto. Davvero.
RispondiEliminaIo ti leggo abbastanza spesso. Generalmente in silenzio, quando nei feed trovo qualcosa di tuo.
RispondiEliminaNon credo di essermi mai preoccupata di lasciarti un commento, poi oggi leggo questo e in fondo c'è scritto che "sono libera di scrivere quello che mi pare".
Ottimo.
Credo che questa sia un'ottima occasione per scriverti che il tuo modo di mettere insieme le parole per tessere un racconto è particolarmente incantevole, e sono stata bene, nei panni di Mària, per il tempo in cui ho vissuto i suoi pensieri grazie a te.
Madonna, proprio bello.
RispondiEliminaMa io non c'entro per nulla, anzi mi dissocio
RispondiEliminaBello.
RispondiEliminaio lo penso da sempre che il vero (?) Leonardo sia questo (e irrinunciabili anche tutti gli altri, s'intende)
RispondiEliminacomplimenti.
RispondiEliminaPerò!
RispondiEliminaE' meglio della Storia d'Italia a rovescio.
I'm speechless. Wow.
RispondiEliminaIl luogo comune dell'omofobo = omosessuale represso però, pur essendo narrativamente efficace, fa un po' scadere il valore della denuncia. E' un po' una trovata alla hollywood.
RispondiElimina"nell’orgia cattolica di Piazza San Giovanni – milioni di persone convenute da tutt’Italia perché ce l’avevano con lei – Barazzi Clelia e Dusacchi Flavio mano nella mano, quest’ultimo con un bambino biondo calcato sulle spalle"
RispondiEliminacaro leo, mi da' da fare questa frase, impostazione, scena. Che e' poi il succo del racconto. E' infatti in queste poche righe che ti giochi la possibilita' di essere un bravo narratore fra gli altri, oppure un vero scrittore. Li' c'e' come una curva, un bivio. E tu hai scelto la strada piu' semplice. Anche questa volta, purtroppo, mi sa che hai dimostrato di essere uno bravo, ma fra i tanti. Peccato.
Non so se sei un bravo tra i tanti, se sei bravo solo per pochi o se sei un genio...Non so chi sei, ma stavo cercando delle immagini del "grande fratello" e ho trovato il tuo blog, ho letto un pezzo del 2005, quello che conteneva la foto, in cui si parla di democrazia abrogativa o roba simile e non ho più potuto smettere di leggere.
RispondiEliminaMi sa che lo dovrò mettere tra i preferiti questo sito, mi piace come scrivi e mi piacciono gli argomenti che tratti.
sì, ma se inizi con "le" al femminile, però bari eh...
RispondiEliminaBello, bravo.
RispondiEliminaMeglio bravo tra i tanti che ottimo tra i tonti, ahr ahr ahr.
RispondiEliminaNon siamo mica in tempi gentili, qui si gioca di luogo comune se serve. E non mi sembra ancora poi così comune, il luogo dell'utente medio di prostituta transessuale (un tale che non osa farsi sodomizzare da un uomo neanche di nascosto: ha assolutamente bisogno di tette nei pressi che lo rassicurino della sua virilità).
Tutti bravi padri di famiglia.
Averne, di tanti così.
RispondiEliminaSe me ne segnalate un paio, già sono contento.
Nel merito: lungi da me l'interpetare Leonardo, porto solo le mie impressioni.
Ovvero, che non fosse l'ipocrisia benpensante il punto del racconto. Ma il fatto che Mària e l'ipocrita sono due facce della stessa medaglia: stesso background, stessi percorsi. CHe Mària non è un alieno - non più di quanto lo sia il Dusacchi.
E alla fine di questa mia fiera della banalità (per nulla condivisa, però) mi piace ricordare che, anche se la maggior parte dei difensori della famiglia sono più vicini alla beghina bigotta e terribilmente, crudelmente coerente, la fetta dei buoni padri di famiglia che vanno a trans esiste e non è insignificante. Almeno se si presta fede alle statistiche sul numero dei cattolici nel paese e sulla diffusione della prostituzione.
Grullo anonimo
il sottotitolo del pezzo, se mai ci fosse bisogno di un'esegesi, potrebbe essere:
RispondiElimina"(ancora) altri libertini"
Che poi Tondelli era di quelle parti, nevvero.
In Pl non ci sono transessuali. E' una forma di prostituzione che ancora non s'è sviluppata granché. Forse invece servirebbe...
RispondiEliminabhe che dire.............i complimenti te li devo fare. Anke se non sono d'accordo sul concetto, ci tenevo a farti i complimenti x lo stile! Magari capiterà un giorno in cui scriverai un racconto di cui io approverò anke il significato, e allora avrò la soddisfazione di aver visto un concetto che approvo scritto in un modo che merita ammirazione. Resterò in attesa.......;-)
RispondiEliminaho letto, m'è anche piaciuto. peccato che finisca un po' in brodazza. due o tre post fa male parlasti dei radicali. a loro invece quel finale facile facile mi sa piacerebbe un casino
RispondiEliminabello
RispondiEliminapunto
Sì va beh, adesso sta' a vedere che i bambini sono l'unico valore che ci resta. Stiamo freschi...
RispondiEliminaDico solo che non si fotte uno che non lo vuole, che sia un vecchio o un neonato.
bello. grazie.
RispondiEliminasei bravo, conosci i trucchetti (e talvolta ne abusi).
RispondiEliminaperò come si dice: la guera è guera pe'ttutti!
penso che il punto centrale sia proprio l'ipocrisia. se tutti ci concentrassimo e agissimo per quel che crediamo realmente forse ci sarebbero famiglie in meno e trans in più.
ma probabilmente si vivrebbe meglio. pensa se i parlamentari non dovessero dimostrare a ogni momento quanto so' ligi e allineati alla chiesa come si discuterebbe meglio di famiglia e di realtà e di diritti delle persone e di sostegno della famiglia e...
Sulla querelle "Bravo-non bravo" dico solo: Leonardo non se la mena da gran scrittore; dopo aver letto un racconto del genere personalmente penso che è un racconto scritto con il cuore e non mi viene da fare il critico cesellatore (cosa che mi viene meglio con quelli che se la menano da scrittori e cianno, sottolineo "cianno", la puzzetta al naso). Anzi: ora 'sto racconto lo faccio pure leggere ad alcuni amici, tiè :-)
RispondiEliminaSul tema dell'identità sessuale (cercando di essere breve): sono eterosessuale, non ho incertezze sul tema, sono felicissimo di essermi riprodotto (per ben due volte), non ho perversioni di rilievo, credo di essere una delle persone più familiste che io abbia mai incontrato. Eppure un po' mi sento "femminile": mi piacciono i bambini, ad es. L'identità sessuale è solo una identità "genitale"? Tante volte non si "costringe" l'identità nella genitalità? Mi sembra questo, sopratutto, il tema del racconto.
Sul family day: sarò di rozzi pensieri, ma a me sembra proprio una ennesima distrazione da problemi molto più seri.
Mi fermo e saluto, anche perchè ciò da andare a fare un virilissimo lavoro agreste, sai, in maglietta, i muscoli imperlati di sudore che guizzano come pitoni sottopelle... e mi ropmpo le palle di fare...
Ciao a tutti, mi sono imbattuto nel blog di questi due tossicodipendenti, eroinomani, bucomani, ecc..E' allo stesso tempo crudo e romantico. Andate a dare un occhiata! Ciao!
RispondiEliminahttp://blog.myspace.com/urloblog
Non riesco mai a decidere con te.
RispondiEliminaPrima parte - quella scolastica - fulminante e istruttiva. dovrebbe leggerla il Fioroni.
per un momento - su Mària che non vuole i gay, ma cerca i maschi - ti ho trovato insopportabile. Speravo che quella roba lì fosse finità con Pasolini.
Poi la conclusioni mi ti ha riconciliato.
E comunque Mària non è gay di certo. è queer
Anche PPP non era in senso proprio un gay, ma un pederasta vecchio stile. Però non capisco cosa c'entri. Neanche cosa ci sia d'insopportabile nel preferire i maschi etero ai gay. De gustibus.
RispondiEliminaPPP non era per nulla un gay, anzi era un omosessuale antico.
RispondiEliminae infatti - come tutti quelli della sua generazione - non verrebbe mai al Gay pride né rivendicherebbe diritti per due uomini che vivono insieme, gli suonerebbe ridicolo.
però il mondo è cambiato e sarebbe anche utile prenderne atto.
non c'è nulla di insopportabile, cmq, dicevo solo per non fare confusione