Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi
Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi.
Noi no. Donate all'UNRWA.
Pages - Menu
domenica 29 maggio 2011
Va tutto benissimo
(Veramente benissimo).
La teoria di questa settimana sarà un po' in ritardo, credo che non sia un problema per nessuno.
giovedì 26 maggio 2011
Dharma 740
La dichiarazione dei peccati
“Quindi adesso a chi tocca? Onorato, Osoppo, Oronzo...”
“Mi scusi, io sono Ognibene”.
“Ognibene, avevamo appuntamento un'ora fa”.
“Sì, ecco, io... ero uscito a... a prendere una boccata d'aria, perché qui... non si respira, davvero, stavo per svenire”.
“Vabene vabene vabene, se Onorato accetta di aspettare... Ma c'è Onorato?”
“Ecco, credo sia il signore che è svenuto davvero, lo hanno portato via poco fa”.
“Meglio così. Si accomodi”.
“Certo che fa caldo qui”.
“Non me lo dica, non me lo dica. Ha con sé i documenti? Codice fiscale?”
“GNBDVD73H11HGKJFG fjhkjh lk jj dij fsaokekelleterre678”
“Codice Ibann?”
“OT709834750943446'549'65987'98'97987098760980989809483098043085094860594ì743'097ì063898u'9'29046895i6498690509ì'098098098'0ì0000000000000000000459384790578'60589890'0”
“Numero di Carta di Credito?”
“76896”.
“Pin della Carta di Credito?”
“...”
“Ahahah, stavo scherzando, ci stava per cascare eh?”
“Quanti abboccano?”
“Sempre meno, uno su venti ormai, ne vale comunque la pena. Codice meccanografico?”
“Domodossola Livorno Cagliari Domodossola Domodossola Domodossola Pisa Milano Empoli Domodossola Domodossola Arezzo Frosinone Gaeta Domodossola Domodossola Belluno Klagenfurt Novi Ligure Piazza Al Serchio Altolà Madonna dell'Oppio...”
“Basta così. Peccati da dichiarare?”
“Mah, le solite cose: non ho santificato le feste, non ho meritato la fiducia dei miei clienti, non ho ricambiato l'affetto inesauribile dei miei genitori, ho tradito la mia compagna in miliardi di minuscoli modi e poi...”
“Sì, sì, ma ha portato le notule?”
“Ha ragione, mi scusi, è il caldo. Dunque... qui c'è una vecchia notifica di violazione del terzo comandamento”.
“Questo al massimo sarebbe il sesto comandamento. Lei ha commesso atti impuri”.
“Atti impuri? Io? Ma se non mi ricordo nemmeno come...”
“Sullo scontrino c'è scritto 2004”.
“Aaaaah, sì, il 2004, fu un estate difficile, poi mi ero totalmente dimenticato e...”
“La gente come lei mi fa uscire di matto”.
“Mi scusi”.
“Cioè, ha idea di che mora le faranno pagare per un minuscolo atto impuro del 2004?”
“Non ho idea, davvero”.
“Ma la gente non potrebbe essere più attenta? Dico, cosa ci vuole? Commette un peccato, le rilasciano la ricevuta, lei appena a casa la archivia in un cassetto... ma è chiedere troppo?”
“Io non so gli altri, ma io... forse non ho abbastanza cassetti in casa”.
“È quel che dicono tutti. Sa cosa le rispondo io? Balle. Siete tutti convinti di avere miliardi di peccati da dichiarare”.
“In effetti...”
“Quando alla fine sono le solite due o tre cose tutti gli anni, sa cos'è questa? Superbia. Settimo vizio capitale. La paga lei l'aliquota sul settimo vizio capitale?”
“Di solito no”.
“Forse sarebbe il caso”.
“Se lo dice lei”.
“Vabene vabene. Ha delle esenzioni?”
“Un bonifico per l'onlus ex bambini ciechi...”
“Buono”.
“E poi un contributo al canile municipale”.
“Questo non lo passiamo, mi dispiace”.
“Ma pensavo di fare del bene”.
“Noi contiamo solo il bene che si fa agli esseri umani. Tutti gli anni ve la spiego, questa cosa”.
“Ma non è giusto. Secondo me...”
“Senta, è inutile che mi spieghi l'universo secondo lei. Io sono solo quello che riempie i moduli, lo vede?”
“Mi dispiace. È che con questo caldo...”
“Non lo dica a me. Non lo dica a me. È tutto? Sicuro di non aver fatto nient'altro di buono?”
“Mi sono fermato spesso nel mio luogo di lavoro, dopo l'orario”.
“Quella non è bontà, è lavoro in nero”.
“Ma non per i soldi... l'ho fatto per risolvere dei problemi di cui mi sarei potuto fregare, invece sono rimasto lì, ho aiutato i miei colleghi, credo di aver fatto del bene...”
“Lei si crede importante e insostituibile. È convinto che senza di lei i suoi colleghi non sappiano risolvere un problema. Direi che a questo punto l'aliquota sulla superbia scatta automatica”.
“Ma avevo le migliori intenzioni...”
“Sì, sì, dite tutti così. Che caldo, Signore...”.
“È difficile fare del bene”.
“La cosa più difficile al mondo. Dunque, è tutto?”
“Tutto, sì”.
“Molto bene, allora, lei deve all'Ufficio del Giudizio trentacinque punti karma”.
“Così tanti?”
“Eh, arriva con una pendenza del 2004, cosa pretende?”
“Ma trentacinque punti... cosa mi aspetta?”
“Dunque, mi faccia vedere... noi abbiamo già cominciato a farle i perdere i capelli, direi da tre anni...”
“Da due”.
“Sì, beh, però a questo punto dobbiamo recuperare un'altra decina di punti, non resta che accelerare il passaggio alla calvizie completa”.
“La prego, mi lasci ancora stempiato per un anno. Non voglio diventare come quei quarantenni che si rasano”.
“Eh, la fa facile lei. Dove li prendiamo trentacinque punti? Col fegato come sta messo?
“È un po' grasso”.
“Senta, mi sembra di ricordare che qualche anno fa le avevamo assegnato una dermatite rara”.
“Atipica. Poi c'è stato il condono”.
“Ecco, ricominciamo progressivamente con la dermatite atipica, e dieci punti li abbiamo fatti fuori. Poi, visto che si sente così giovanile, che ne dice di una bella forfora?”
“Forfora?”
“In dodici mesi ci recupera cinque punti, che ne pensa?”
“-Sigh- Vada per la forfora”.
“E poi ci sono i denti”.
“La prego, i denti no”.
“Senta, allora me lo dica lei da dove prendere altri venti punti. La colecisti ce l'ha?”
“Me l'avete presa due anni fa. Però ho ancora l'appendice”.
“L'appendice, che tenerezza. Non conta nulla l'appendice, come i denti del giudizio. Qui ci vuole una bella carie, glielo dico subito, una capsula in un molare”.
“Li ho finiti”.
“Va bene, mi dica lei cosa vuole! Calcoli? Alitosi? Paranoia? Faccia lei. Abbiamo una ventina di punti da recuperare”.
“Non è possibile una dilazione?”
“Un modo c'è. È un pacchetto lancio che stiamo offrendo negli ultimi tempi. Non paghi nulla per cinque anni”.
“E poi?”
“Ischemia cerebrale, invalidità semipermanente”.
“No, non credo che sia il caso, no. Non... non potrebbe aumentarmi la forfora?”
“Magari vorrebbe anche qualche brufoletto?”
“Eh”.
“Senta, bisogna che se ne faccia una ragione. Lei va per i quaranta. Questo non è l'ufficio della fatina del dentino, questo è l'ufficio della dichiarazione dei peccati. L'acne giovanile dei suoi diciottanni non tornerà più".
"Mai più"..
"Al massimo se vuole un herpes”.
“No, non è proprio la stessa cosa”.
“Va bene, sa cosa le dico? Alziamo il livello di tolleranza alimentare”.
“Ma l'abbiamo già alzato l'anno scorso, ormai non mangio più latticini...”
“Perfetto, da qui in poi astensione completa”.
“Quanti punti karma fa?”
“Sette”.
“Auff”.
“Lei è miope? Potremmo abbassare le diottrie”.
“La forfora, l'intolleranza alimentare, gli occhiali più spessi...”
“Senta, noi qui riempiamo solo i moduli con i dati che ci portate voi. È colpa nostra se lei fa oggettivamente una vita di merda?”
“Con tutti gli stronzi che si vedono in giro”.
“Niente turpiloquio”.
“Coi loro denti bianchi, la loro pressione sanguigna nella norma, i loro capelli folti...”
“Senta, è il karma. Ognuno ha il suo. Non deve guardare agli altri. Ognuno se la vede col suo proprio destino”.
“E tutti gli evasori dove li mettiamo?”
“Si reincarneranno in ragionieri. Ma lei deve preoccuparsi di sé. Senta. Un po' di reumatismi?”
“Reumatismi? Mai avuti”.
“Ecco, vede? Un'esperienza nuova”.
“Ma sono dolorosi”.
“Un po' fastidiosi, ma poi ci si affeziona. È come un sesto senso, sentirà la bassa pressione, l'anticiclone delle Azzorre”.
“E vada per i reumatismi”.
“Così la voglio. Positivo e propositivo. Mancano ancora cinque punti. Si sbizzarrisca”.
“Non so...”
“Una disfunzione erettile!”
“Ma no... Senta, la tristezza conta?”
“La tristezza... nel senso di malinconia, no”.
“Maledizione”.
“Nel senso di crisi depressiva, beh, di punti ne facciamo otto”.
“Ho sforato?”
“Sì, ma li recupera sulla dichiarazione dell'anno prossimo, non si preoccupi. Allora stampo?”
“Stampi, stampi”.
“Vuole lasciare l'otto per mille allo Stato Italiano?”
“No, ai Paesi Bassi”.
“Ecco qui. Una firma sul modulo...”
“Aspetti, aspetti un attimo. Mi stavo dimenticando...”
“Ecco, lo sapevo. La buona azione che vi viene in mente all'ultimo momento. Dio quanto vi odio”.
“Io... ho regalato un ombrello a un'anziana signora, tre mesi fa. Conta?”
“Eh, dipende. Stava piovendo?”
“Un acquazzone improvviso, lei non riusciva ad andare avanti, e così io...”
“Si è fatto fare la ricevuta?”
“Sì, ma credo di averla a casa. Mi scusi...”
“Non è possibile”.
“Mi scusi davvero, io... a volte mi dimentico delle cose buone che faccio”.
“Ma è rimasto seduto lì davanti per tre ore. Non poteva farselo venire in mente prima?”.
“È che non riesco a pensare qui dentro. Fa caldo”.
“Lo dice a me?”
“Non si respira. Sembra di stare nell'anticamera dell'inferno”.
“Sembra?”
“Quindi adesso a chi tocca? Onorato, Osoppo, Oronzo...”
“Mi scusi, io sono Ognibene”.
“Ognibene, avevamo appuntamento un'ora fa”.
“Sì, ecco, io... ero uscito a... a prendere una boccata d'aria, perché qui... non si respira, davvero, stavo per svenire”.
“Vabene vabene vabene, se Onorato accetta di aspettare... Ma c'è Onorato?”
“Ecco, credo sia il signore che è svenuto davvero, lo hanno portato via poco fa”.
“Meglio così. Si accomodi”.
“Certo che fa caldo qui”.
“Non me lo dica, non me lo dica. Ha con sé i documenti? Codice fiscale?”
“GNBDVD73H11HGKJFG fjhkjh lk jj dij fsaokekelleterre678”
“Codice Ibann?”
“OT709834750943446'549'65987'98'97987098760980989809483098043085094860594ì743'097ì063898u'9'29046895i6498690509ì'098098098'0ì0000000000000000000459384790578'60589890'0”
“Numero di Carta di Credito?”
“76896”.
“Pin della Carta di Credito?”
“...”
“Ahahah, stavo scherzando, ci stava per cascare eh?”
“Quanti abboccano?”
“Sempre meno, uno su venti ormai, ne vale comunque la pena. Codice meccanografico?”
“Domodossola Livorno Cagliari Domodossola Domodossola Domodossola Pisa Milano Empoli Domodossola Domodossola Arezzo Frosinone Gaeta Domodossola Domodossola Belluno Klagenfurt Novi Ligure Piazza Al Serchio Altolà Madonna dell'Oppio...”
“Basta così. Peccati da dichiarare?”
“Mah, le solite cose: non ho santificato le feste, non ho meritato la fiducia dei miei clienti, non ho ricambiato l'affetto inesauribile dei miei genitori, ho tradito la mia compagna in miliardi di minuscoli modi e poi...”
“Sì, sì, ma ha portato le notule?”
“Ha ragione, mi scusi, è il caldo. Dunque... qui c'è una vecchia notifica di violazione del terzo comandamento”.
“Questo al massimo sarebbe il sesto comandamento. Lei ha commesso atti impuri”.
“Atti impuri? Io? Ma se non mi ricordo nemmeno come...”
“Sullo scontrino c'è scritto 2004”.
“Aaaaah, sì, il 2004, fu un estate difficile, poi mi ero totalmente dimenticato e...”
“La gente come lei mi fa uscire di matto”.
“Mi scusi”.
“Cioè, ha idea di che mora le faranno pagare per un minuscolo atto impuro del 2004?”
“Non ho idea, davvero”.
“Ma la gente non potrebbe essere più attenta? Dico, cosa ci vuole? Commette un peccato, le rilasciano la ricevuta, lei appena a casa la archivia in un cassetto... ma è chiedere troppo?”
“Io non so gli altri, ma io... forse non ho abbastanza cassetti in casa”.
“È quel che dicono tutti. Sa cosa le rispondo io? Balle. Siete tutti convinti di avere miliardi di peccati da dichiarare”.
“In effetti...”
“Quando alla fine sono le solite due o tre cose tutti gli anni, sa cos'è questa? Superbia. Settimo vizio capitale. La paga lei l'aliquota sul settimo vizio capitale?”
“Di solito no”.
“Forse sarebbe il caso”.
“Se lo dice lei”.
“Vabene vabene. Ha delle esenzioni?”
“Un bonifico per l'onlus ex bambini ciechi...”
“Buono”.
“E poi un contributo al canile municipale”.
“Questo non lo passiamo, mi dispiace”.
“Ma pensavo di fare del bene”.
“Noi contiamo solo il bene che si fa agli esseri umani. Tutti gli anni ve la spiego, questa cosa”.
“Ma non è giusto. Secondo me...”
“Senta, è inutile che mi spieghi l'universo secondo lei. Io sono solo quello che riempie i moduli, lo vede?”
“Mi dispiace. È che con questo caldo...”
“Non lo dica a me. Non lo dica a me. È tutto? Sicuro di non aver fatto nient'altro di buono?”
“Mi sono fermato spesso nel mio luogo di lavoro, dopo l'orario”.
“Quella non è bontà, è lavoro in nero”.
“Ma non per i soldi... l'ho fatto per risolvere dei problemi di cui mi sarei potuto fregare, invece sono rimasto lì, ho aiutato i miei colleghi, credo di aver fatto del bene...”
“Lei si crede importante e insostituibile. È convinto che senza di lei i suoi colleghi non sappiano risolvere un problema. Direi che a questo punto l'aliquota sulla superbia scatta automatica”.
“Ma avevo le migliori intenzioni...”
“Sì, sì, dite tutti così. Che caldo, Signore...”.
“È difficile fare del bene”.
“La cosa più difficile al mondo. Dunque, è tutto?”
“Tutto, sì”.
“Molto bene, allora, lei deve all'Ufficio del Giudizio trentacinque punti karma”.
“Così tanti?”
“Eh, arriva con una pendenza del 2004, cosa pretende?”
“Ma trentacinque punti... cosa mi aspetta?”
“Dunque, mi faccia vedere... noi abbiamo già cominciato a farle i perdere i capelli, direi da tre anni...”
“Da due”.
“Sì, beh, però a questo punto dobbiamo recuperare un'altra decina di punti, non resta che accelerare il passaggio alla calvizie completa”.
“La prego, mi lasci ancora stempiato per un anno. Non voglio diventare come quei quarantenni che si rasano”.
“Eh, la fa facile lei. Dove li prendiamo trentacinque punti? Col fegato come sta messo?
“È un po' grasso”.
“Senta, mi sembra di ricordare che qualche anno fa le avevamo assegnato una dermatite rara”.
“Atipica. Poi c'è stato il condono”.
“Ecco, ricominciamo progressivamente con la dermatite atipica, e dieci punti li abbiamo fatti fuori. Poi, visto che si sente così giovanile, che ne dice di una bella forfora?”
“Forfora?”
“In dodici mesi ci recupera cinque punti, che ne pensa?”
“-Sigh- Vada per la forfora”.
“E poi ci sono i denti”.
“La prego, i denti no”.
“Senta, allora me lo dica lei da dove prendere altri venti punti. La colecisti ce l'ha?”
“Me l'avete presa due anni fa. Però ho ancora l'appendice”.
“L'appendice, che tenerezza. Non conta nulla l'appendice, come i denti del giudizio. Qui ci vuole una bella carie, glielo dico subito, una capsula in un molare”.
“Li ho finiti”.
“Va bene, mi dica lei cosa vuole! Calcoli? Alitosi? Paranoia? Faccia lei. Abbiamo una ventina di punti da recuperare”.
“Non è possibile una dilazione?”
“Un modo c'è. È un pacchetto lancio che stiamo offrendo negli ultimi tempi. Non paghi nulla per cinque anni”.
“E poi?”
“Ischemia cerebrale, invalidità semipermanente”.
“No, non credo che sia il caso, no. Non... non potrebbe aumentarmi la forfora?”
“Magari vorrebbe anche qualche brufoletto?”
“Eh”.
“Senta, bisogna che se ne faccia una ragione. Lei va per i quaranta. Questo non è l'ufficio della fatina del dentino, questo è l'ufficio della dichiarazione dei peccati. L'acne giovanile dei suoi diciottanni non tornerà più".
"Mai più"..
"Al massimo se vuole un herpes”.
“No, non è proprio la stessa cosa”.
“Va bene, sa cosa le dico? Alziamo il livello di tolleranza alimentare”.
“Ma l'abbiamo già alzato l'anno scorso, ormai non mangio più latticini...”
“Perfetto, da qui in poi astensione completa”.
“Quanti punti karma fa?”
“Sette”.
“Auff”.
“Lei è miope? Potremmo abbassare le diottrie”.
“La forfora, l'intolleranza alimentare, gli occhiali più spessi...”
“Senta, noi qui riempiamo solo i moduli con i dati che ci portate voi. È colpa nostra se lei fa oggettivamente una vita di merda?”
“Con tutti gli stronzi che si vedono in giro”.
“Niente turpiloquio”.
“Coi loro denti bianchi, la loro pressione sanguigna nella norma, i loro capelli folti...”
“Senta, è il karma. Ognuno ha il suo. Non deve guardare agli altri. Ognuno se la vede col suo proprio destino”.
“E tutti gli evasori dove li mettiamo?”
“Si reincarneranno in ragionieri. Ma lei deve preoccuparsi di sé. Senta. Un po' di reumatismi?”
“Reumatismi? Mai avuti”.
“Ecco, vede? Un'esperienza nuova”.
“Ma sono dolorosi”.
“Un po' fastidiosi, ma poi ci si affeziona. È come un sesto senso, sentirà la bassa pressione, l'anticiclone delle Azzorre”.
“E vada per i reumatismi”.
“Così la voglio. Positivo e propositivo. Mancano ancora cinque punti. Si sbizzarrisca”.
“Non so...”
“Una disfunzione erettile!”
“Ma no... Senta, la tristezza conta?”
“La tristezza... nel senso di malinconia, no”.
“Maledizione”.
“Nel senso di crisi depressiva, beh, di punti ne facciamo otto”.
“Ho sforato?”
“Sì, ma li recupera sulla dichiarazione dell'anno prossimo, non si preoccupi. Allora stampo?”
“Stampi, stampi”.
“Vuole lasciare l'otto per mille allo Stato Italiano?”
“No, ai Paesi Bassi”.
“Ecco qui. Una firma sul modulo...”
“Aspetti, aspetti un attimo. Mi stavo dimenticando...”
“Ecco, lo sapevo. La buona azione che vi viene in mente all'ultimo momento. Dio quanto vi odio”.
“Io... ho regalato un ombrello a un'anziana signora, tre mesi fa. Conta?”
“Eh, dipende. Stava piovendo?”
“Un acquazzone improvviso, lei non riusciva ad andare avanti, e così io...”
“Si è fatto fare la ricevuta?”
“Sì, ma credo di averla a casa. Mi scusi...”
“Non è possibile”.
“Mi scusi davvero, io... a volte mi dimentico delle cose buone che faccio”.
“Ma è rimasto seduto lì davanti per tre ore. Non poteva farselo venire in mente prima?”.
“È che non riesco a pensare qui dentro. Fa caldo”.
“Lo dice a me?”
“Non si respira. Sembra di stare nell'anticamera dell'inferno”.
“Sembra?”
lunedì 23 maggio 2011
Chi verifica le verifiche?
L'esperto
È uno di cui vi fidate. Ogni volta che trovate il suo nome, leggete fino in fondo, non cambiate canale. È uno di quelli che ne capiscono. Soprattutto, è uno di quelli che sanno citare i dati, che non sparano sentenze a capocchia. L'esperto è affidabile.
Finché un giorno, per caso, l'esperto si mette a parlare di qualcosa che conoscete anche voi. Anche se voi della vita non conoscete molto, pure c'è sempre qualcosa di cui la vita finisce per rendervi esperti, a volte vostro malgrado. Ed ecco che questa persona, che stimate tantissimo, di cui non vi perdete un intervento, per la prima volta vi sembra un po' fuori tono. Distratto, quasi superficiale. Magari è una coincidenza. O è solo la prima volta che ve ne accorgete? Potete fidarvi ancora di lui?
Domenica sulla Repubblica Tito Boeri ha pubblicato un lungo intervento sulla prova Invalsi, che qui viene ricopiato pari pari, con tutte le obiezioni che mi sono venute in mente a una prima, una seconda, una terza lettura. Quello che segue è dunque un pezzo molto lungo, che parla di una cosa un po' specifica, smettete pure di leggere quando vi va.
Il costo della rivolta contro i test Invalsi
Solo a settembre sapremo quali sono le conseguenze della "rivolta" contro i test Invalsi nelle scuole superiori, quanti esami sono stati consegnati in bianco, quanti studenti hanno disertato le prove.
Sapremo anche quanti docenti hanno permesso che i loro studenti copiassero gli uni dagli altri, rendendo il test di apprendimento del tutto inutile. Ma è tempo già ora di organizzare la rivolta di coloro che pagheranno il costo di queste "agitazioni": i docenti, a partire da chi si è visto invalidare il test sulla propria materia da un collega che magari non li ha neanche informati della sua intenzione di boicottare l'esame, gli studenti e le loro famiglie.
Solo a settembre sapremo... sicuri? Questo è uno di quei problemi statistici che non ho mai capito. Se i dati sono stati raccolti male, come faremo a sapere che i dati sono stati raccolti male? Dai dati? Ma sono stati raccolti male. Oddio, laddove un'intera classe abbia messo le stesse crocette sugli stessi pallini, non sarà difficile immaginare un boicottaggio. Ma dove hanno messo i pallini a caso, con in media il 25% di possibilità di azzeccare comunque il quesito? E dove l'insegnante in sede di spoglio dopo aver compilato diligentemente una quindicina di tabulati, ha sbroccato e ha messo a caso l'altra quindicina? A settembre lo sapremo? Ce ne accorgeremo? Mah.
La rivolta contro l´invalidazione degli Invalsi dovrebbe andare ben al di là della difesa di queste prove. Come tutti i test, anche gli Invalsi sono perfettibili [...]
Ecco, i test sono perfettibili. Tre anni che sento dire questa cosa: tante grazie, siamo tutti perfettibili. La Venere di Milo è perfettibile. Don Seppia è perfettibile. La prova Invalsi è senz'altro nell'insieme delle cose perfettibili, ma dopo tre anni che viene svolta, e pubblicata, sarebbe anche ora di cominciare a porci il problema: come possiamo renderla un po' più perfetta di così? Quand'è che cominciamo a discutere nel merito dei quesiti che vengono posti, delle risposte che vengono imposte? Ne vogliamo parlare? O vogliamo continuare ad accettare in blocco la prova così com'è, con la scusa che è perfettibile?
[...] a partire dalle modalità con cui vengono svolte e valutate le prove. Ci devono essere ispettori che controllino che agli studenti non venga permesso di copiare e i risultati devono essere valutati da docenti diversi da quelli degli allievi che hanno sostenuto la prova, che hanno tutti gli incentivi a far fare bella figura ai propri studenti.
Gli ispettori. In tutte le classi. Professor Boeri, ha fatto il calcolo di quanti ispettori servirebbero? Quante classi elementari fanno il test (e lo devono fare tutte nello stesso orario)? Quante prime e terze medie? Quante classi superiori? Dove li troviamo tutti questi ispettori, e come li paghiamo? Ma soprattutto, una volta assoldate queste decine di migliaia di ispettori (probabilmente dai bassifondi delle graduatorie) chi è che si assicura della loro correttezza e professionalità? Bisognerà mandare ispettori degli ispettori a ispezionare gli ispettori... oppure si fa una prova a campione. Ecco, se si fa una prova a campione (ad es. una classe per istituto) ha senso mandare gli ispettori. Ma se davvero volete somministrare un test a livello nazionale, non avete scelta: l'unica rete di funzionari presente sul territorio è la classe docente. Siamo noi. Se volete fare la prova Invalsi, dovete convincerci. Pagandoci, per esempio. Oppure motivandoci in qualche altro modo. Finora avete provato con le minacce. A settembre vedrete se ha funzionato. Forse.
Bisognerebbe, al contempo, raccogliere informazioni sugli studenti assenti alle prove in modo tale da dissuadere gli istituti dall'incoraggiare assenze selettive degli studenti con le performance peggiori.
Sì. Ha un senso. Un po' poliziesco, ma posso capire. Non ci avevo ancora pensato, Boeri sì (a questo servono gli esperti): quando il sistema andrà a regime, le scuole cominceranno a competere furiosamente tra loro, ed evitare che gli studenti peggiori partecipino alla prova nazionale sarà per molte una questione di vita e di morte. Non resta che imporre un apparato poliziesco..
A questo punto i risultati dei test potrebbero essere resi pubblici, scuola per scuola senza timore di fornire segnali fuorvianti alle famiglie. Che devono comunque chiedere alle scuole informazioni aggiuntive rispetto ai test. Ad esempio, nell'era di Internet ogni docente dovrebbe affiggere sulla pagina web della scuola una nota in cui descrive a grandi linee come intende organizzare il programma di insegnamento e illustrare i propri metodi didattici e criteri di valutazione.
Ma per carità, sono d'accordo. Nell'era di Internet, invece di stampare il programma su una fotocopia e allungarlo al genitore (che lo smaltirà nel primo cestino di carta straccia sulla strada di casa), si può sbattere tutto questo materiale on line, con un bel risparmio di foreste. Però non è che prima dell'“era di internet” i programmi degli insegnanti fossero un segreto di Stato, eh. C'è da dire che un insegnante che sa “descrivere a grandi linee” il suo programma e i suoi metodi didattici su una pagina web (o su una fotocopia) non è necessariamente un bravo insegnante, e se ne rendono conto subito tutti: genitori, studenti, colleghi, il prof stesso. La differenza tra saper insegnare e saperla raccontare, a scuola, è enorme. All'università le cose vanno già diversamente. Così l'idea che un genitore possa scegliere una scuola sulla base della paginetta di presentazione dell'insegnante, ecco, è come dire... un po' accademica.
Il nostro sistema scolastico permette alle famiglie, soprattutto nelle grandi città, di scegliere la scuola a cui iscrivere i propri figli. Ci sono vincoli in questa scelta, ma molto meno che in altri paesi, dove l'iscrizione è dettata unicamente dalla residenza.
Altri Paesi. Quali? Perché? In questi non meglio precisati Paesi l'iscrizione è vincolata “unicamente dalla residenza”. In Italia da cosa altro è vincolata?
Questa maggiore possibilità di scelta dovrebbe fondarsi su informazioni adeguate sul valore aggiunto offerto dai diversi istituti alla formazione di chi si prepara per il mondo del lavoro. Invece paradossalmente in Italia ci sono meno informazioni che altrove sui contenuti formativi dei programmi didattici, sugli sbocchi professionali e sull'accesso all'università dei diplomati nei diversi istituti.
Anch'io sono convinto che “altrove” le cose vadano meglio, però non sarebbe male sapere dov'è questo “altrove”, e cosa fanno loro di meglio rispetto alle brochures informative e ai POF dei nostri istituti che, ne sono sicuro, sono perfettibili. Ma qual è il punto? I POF sono poco visibili? (Nell'“era di internet” di solito sono la prima cosa che una scuola mette on line). Stanno diventando tutti uguali? Per forza: sono il settore in cui vanno a incidere i tagli. Una scuola che metteva nel POF la madrelingua, se non ha più soldi per pagarla deve toglierla dal POF; la scuola che teneva aperti tutti i pomeriggi per corsi di potenziamento, ai primi tagli ha dovuto togliere i corsi dal POF. E così via.
A cosa si deve questo paradosso?
Ai tagli, per esempio.
Ci sono sicuramente barriere di natura ideologica ad ogni tipo di valutazione svolta dall'esterno. C'è poco da argomentare contro i pregiudizi.
No, l'ideologia no. Sul serio. Non c'è nulla di meno ideologico della resistenza alle prove invalsi. Gli insegnanti non vogliono essere precettati per svolgere un censimento sulle conoscenze dei loro alunni che avrà ripercussioni sul loro reddito e sulla reputazione dell'istituto dove lavorano, e l'ideologia in tutto questo c'entra poco o nulla. Il boicottaggio non l'ha promosso il sindacato trotzkista (ma neanche la Cgil), il boicottaggio lo ha fatto l'insegnante del quartiere svantaggiato che ha paura che lo giudichino inferiore a uno omologo del quartiere non svantaggiato perché è in ritardo col programma (chiamalo fesso).
Bene ricordare un vecchio adagio popolare: "se non ti poni il problema di misurare una cosa, significa che quella cosa per te non ha alcun valore". Chi non vuole misurare la qualità dell'istruzione, non assegna alcuna importanza alla scuola.
Io quell'adagio popolare, giuro, non l'ho mai sentito (in compenso potrei incartare chili di baci perugina con proverbi del tipo: il sapere non si pesa, la cultura non si misura, l'essenziale è invisibile agli occhi eccetera eccetera. Ma lasciam perdere).
C´è poi il rifiuto dei test standardizzati. Molti docenti ritengono che solo loro siano in grado di definire parametri di valutazione adeguati, che tengano conto della specificità del loro programma di insegnamento. La ragione ultima, talvolta inconsapevole, di queste obiezioni è che chi viene valutato vorrebbe sempre costruirsi il proprio test. Quelli standardizzati servono proprio ad evitare che i docenti scelgano di adottare criteri di valutazione favorevoli ai propri studenti, dunque a se stessi. E permettono di svolgere comparazioni del livello di apprendimento prima e dopo l'operato di un docente, oltre che fra classi e scuole diverse.
Non fa una piega. Il problema è che per permettere tutte queste comparazioni i test invalsi devono essere fatti bene. Ma sono fatti bene?
Ci sono poi i timori di alcuni docenti che la valutazione possa ritorcersi contro di loro. Nel caso dei bravi docenti sono paure del tutto infondate:
Beh, ma questa è buona. Siate bravi e nessuno vi farà male. Ma noi temiamo, appunto, di non essere bravi. Perché misuriamo ogni volta la distanza tra la nostra preparazione e il risultato di una prova che non dipende nemmeno dal programma che stiamo svolgendo. C'è un migliaio di modi diversi di essere bravi insegnanti di italiano, ma se la prova invalsi fa una domanda sulla subordinata consecutiva, l'unico insegnante che sarà ritenuto “bravo” è quello che ha perso due settimane di tempo a far entrare nella testa del singolo ragazzo il concetto di subordinata consecutiva. Gli altri magari sono bravi a fare altre cose, ma non è vero che non hanno nulla da temere. Hanno da temere la proposizione subordinata consecutiva, per esempio. Cominciano a sognarsela di notte.
i miglioramenti compiuti dagli studenti nelle loro materie vengono ben monitorati da questi test che, non a caso, sono in genere molto coerenti fra di loro.
Lo trovo discutibile (almeno per le prove che ho somministrato io), e magari un'altra volta lo discuterò. Prendo atto che per Boeri le prove Invalsi sono in generale fatte bene.
Non è neanche vero che le prove distolgano le scuole dal perseguimento dei programmi didattici inducendole a preparare gli studenti per i test, anziché perseguire i programmi didattici. Le conoscenze che i test intendono valutare sono parte integrante degli standard minimi educativi.
La proposizione consecutiva? In terza media? E non me la sono mica inventata io, c'era nel test di tre anni fa. Cioè, terza media di scuola dell'obbligo, un alunno su quattro non è di origine italiana, e secondo voi lo “standard minimo” è che sappiano cos'è una proposizione consecutiva? Ma voi lo sapete cos'è una proposizione consecutiva? La sapreste riconoscere a colpo sicuro in un testo scritto? E soprattutto, ditemi, vi serve così tanto nella vita di ogni giorno? Vi è indispensabile nel lavoro che fate, nell'andare a far la spesa o nel discutere coi vostri vicini? La proposizione consecutiva? Lo standard minimo? E se io invece di insegnarla mi concentro, per dire, sul complemento oggetto, è perché sono un cattivo insegnante, e la mia scuola una cattiva scuola?
E non è affatto detto che il cosiddetto "teaching to the test", insegnamento finalizzato a una migliore performance nel test, sia efficace.
Questo è interessante. Da quando le prove Invalsi sono arrivate a scuola, un sacco di insegnanti ha cominciato a usare le ore di lezione per allenare i ragazzi a riuscire nei test, e gli esperti storcono il naso: quella non è vera scuola. Sì, ma se l'obiettivo diventa riuscire nel test, meglio allenarsi, no? No, non è detto che sia meglio. Sì, ma chi è che non lo dice? Ci sono degli studi in materia, dei dati statistici? Perché professore, finché non mi fa vedere dei numeri, io continuo a far fare ai miei ragazzi dei test a nastro, nella speranza che becchino più o meno le stesse risposte della prova finale: ne va della mia reputazione e del mio salario, mica mi posso fidare dei suoi “Non è detto”.
Ma forse gli ostacoli più forti al miglioramento delle informazioni sulla qualità del nostro sistema scolastico vengono dalla politica. Senza questi dati non è possibile valutare le tante piccole modifiche, più di facciata che di sostanza, apportate da ministri che vogliono solo apporre una bandierina, mostrare di avere fatto una "riforma" che immancabilmente porta il loro nome.
Ecco, sarei anche d'accordo. Secondo me il primo ad aver boicottato l'Invalsi è stato il Ministero stesso.
La mancanza di valutazione rafforza la discrezionalità della politica. Può fare tutti i cambiamenti che vuole, magari definendoli sperimentali. Tanto poi non ci sarà nessuno in grado di valutarne gli effetti. I test standardizzati permettono di valutare queste pseudo-riforme. Ad esempio, uno studio condotto da Erich Battistin, Ilaria Covizzi e Antonio Schizzerotto dell'Irvapp di Trento e basato proprio sui test Invalsi ha dimostrato che il ripristino dei cosiddetti esami a settembre (al posto del recupero dei debiti formativi in corso d'anno) ha accentuato le differenze quanto a conoscenze linguistiche tra studenti liceali e studenti di scuole tecnico-professionali, peggiorando la qualità dell'istruzione soprattutto per chi viene da famiglie con redditi più bassi.
Ecco, finalmente una fonte, un rimando a una ricerca sul campo. Sono contento. Ma sono anche un po' perplesso. Non ho potuto ovviamente leggere la ricerca di Battistin Covizzi e Schizzerotto, ma non dubito che si tratti di un lavoro valido. Non capisco però come possa essere basata “proprio sui test Invalsi”, visto che i test delle superiori li abbiamo fatti per la prima volta quest'anno, per la precisione due giovedì fa, e, come diceva lo stesso Boeri, fino a settembre non conosceremo i risultati. Se Battistin e compagni hanno adoperato dei dati su studenti liceali e studenti di scuole tecnico-professionali, non erano quelli delle prove nazionali Invalsi. Oppure si sono basati sulle prove che gli stessi ragazzi avevano svolto alle medie due anni prima?
Sia come sia, il risultato non è questa straordinaria sorpresa. I crediti scolastici si recuperano a scuola aperta. L'esame di settembre si prepara a scuola chiusa. Chi è che riesce a studiare meglio con la scuola chiusa, Pierino Reddito-Medio-Alto o Gianni Reddito-medio-basso? E per scoprirlo bisognava sul serio impartire un test a tutti gli studenti italiani? Non dico che sia sbagliato, ma era necessario?
Chi oggi rifiuta le valutazioni in nome dell'egualitarismo dovrebbe riflettere su questo risultato. Senza le informazioni offerte dai test standardizzati la battaglia contro la scuola di classe rischia di avere le armi spuntate.
Io non sono in linea di massima contro la prova nazionale. Ma non ditemi che è l'unico modo per ottenere dati scientifici. Altrimenti l'Istat ci farebbe un censimento una volta all'anno. Si fanno ricerche di mercato a livello nazionale su campioni statistici di decine di migliaia di individui; possibile che a scuola non bastino?
È uno di cui vi fidate. Ogni volta che trovate il suo nome, leggete fino in fondo, non cambiate canale. È uno di quelli che ne capiscono. Soprattutto, è uno di quelli che sanno citare i dati, che non sparano sentenze a capocchia. L'esperto è affidabile.
Finché un giorno, per caso, l'esperto si mette a parlare di qualcosa che conoscete anche voi. Anche se voi della vita non conoscete molto, pure c'è sempre qualcosa di cui la vita finisce per rendervi esperti, a volte vostro malgrado. Ed ecco che questa persona, che stimate tantissimo, di cui non vi perdete un intervento, per la prima volta vi sembra un po' fuori tono. Distratto, quasi superficiale. Magari è una coincidenza. O è solo la prima volta che ve ne accorgete? Potete fidarvi ancora di lui?
Domenica sulla Repubblica Tito Boeri ha pubblicato un lungo intervento sulla prova Invalsi, che qui viene ricopiato pari pari, con tutte le obiezioni che mi sono venute in mente a una prima, una seconda, una terza lettura. Quello che segue è dunque un pezzo molto lungo, che parla di una cosa un po' specifica, smettete pure di leggere quando vi va.
Il costo della rivolta contro i test Invalsi
Solo a settembre sapremo quali sono le conseguenze della "rivolta" contro i test Invalsi nelle scuole superiori, quanti esami sono stati consegnati in bianco, quanti studenti hanno disertato le prove.
Sapremo anche quanti docenti hanno permesso che i loro studenti copiassero gli uni dagli altri, rendendo il test di apprendimento del tutto inutile. Ma è tempo già ora di organizzare la rivolta di coloro che pagheranno il costo di queste "agitazioni": i docenti, a partire da chi si è visto invalidare il test sulla propria materia da un collega che magari non li ha neanche informati della sua intenzione di boicottare l'esame, gli studenti e le loro famiglie.
Solo a settembre sapremo... sicuri? Questo è uno di quei problemi statistici che non ho mai capito. Se i dati sono stati raccolti male, come faremo a sapere che i dati sono stati raccolti male? Dai dati? Ma sono stati raccolti male. Oddio, laddove un'intera classe abbia messo le stesse crocette sugli stessi pallini, non sarà difficile immaginare un boicottaggio. Ma dove hanno messo i pallini a caso, con in media il 25% di possibilità di azzeccare comunque il quesito? E dove l'insegnante in sede di spoglio dopo aver compilato diligentemente una quindicina di tabulati, ha sbroccato e ha messo a caso l'altra quindicina? A settembre lo sapremo? Ce ne accorgeremo? Mah.
La rivolta contro l´invalidazione degli Invalsi dovrebbe andare ben al di là della difesa di queste prove. Come tutti i test, anche gli Invalsi sono perfettibili [...]
Ecco, i test sono perfettibili. Tre anni che sento dire questa cosa: tante grazie, siamo tutti perfettibili. La Venere di Milo è perfettibile. Don Seppia è perfettibile. La prova Invalsi è senz'altro nell'insieme delle cose perfettibili, ma dopo tre anni che viene svolta, e pubblicata, sarebbe anche ora di cominciare a porci il problema: come possiamo renderla un po' più perfetta di così? Quand'è che cominciamo a discutere nel merito dei quesiti che vengono posti, delle risposte che vengono imposte? Ne vogliamo parlare? O vogliamo continuare ad accettare in blocco la prova così com'è, con la scusa che è perfettibile?
[...] a partire dalle modalità con cui vengono svolte e valutate le prove. Ci devono essere ispettori che controllino che agli studenti non venga permesso di copiare e i risultati devono essere valutati da docenti diversi da quelli degli allievi che hanno sostenuto la prova, che hanno tutti gli incentivi a far fare bella figura ai propri studenti.
Gli ispettori. In tutte le classi. Professor Boeri, ha fatto il calcolo di quanti ispettori servirebbero? Quante classi elementari fanno il test (e lo devono fare tutte nello stesso orario)? Quante prime e terze medie? Quante classi superiori? Dove li troviamo tutti questi ispettori, e come li paghiamo? Ma soprattutto, una volta assoldate queste decine di migliaia di ispettori (probabilmente dai bassifondi delle graduatorie) chi è che si assicura della loro correttezza e professionalità? Bisognerà mandare ispettori degli ispettori a ispezionare gli ispettori... oppure si fa una prova a campione. Ecco, se si fa una prova a campione (ad es. una classe per istituto) ha senso mandare gli ispettori. Ma se davvero volete somministrare un test a livello nazionale, non avete scelta: l'unica rete di funzionari presente sul territorio è la classe docente. Siamo noi. Se volete fare la prova Invalsi, dovete convincerci. Pagandoci, per esempio. Oppure motivandoci in qualche altro modo. Finora avete provato con le minacce. A settembre vedrete se ha funzionato. Forse.
Bisognerebbe, al contempo, raccogliere informazioni sugli studenti assenti alle prove in modo tale da dissuadere gli istituti dall'incoraggiare assenze selettive degli studenti con le performance peggiori.
Sì. Ha un senso. Un po' poliziesco, ma posso capire. Non ci avevo ancora pensato, Boeri sì (a questo servono gli esperti): quando il sistema andrà a regime, le scuole cominceranno a competere furiosamente tra loro, ed evitare che gli studenti peggiori partecipino alla prova nazionale sarà per molte una questione di vita e di morte. Non resta che imporre un apparato poliziesco..
A questo punto i risultati dei test potrebbero essere resi pubblici, scuola per scuola senza timore di fornire segnali fuorvianti alle famiglie. Che devono comunque chiedere alle scuole informazioni aggiuntive rispetto ai test. Ad esempio, nell'era di Internet ogni docente dovrebbe affiggere sulla pagina web della scuola una nota in cui descrive a grandi linee come intende organizzare il programma di insegnamento e illustrare i propri metodi didattici e criteri di valutazione.
Ma per carità, sono d'accordo. Nell'era di Internet, invece di stampare il programma su una fotocopia e allungarlo al genitore (che lo smaltirà nel primo cestino di carta straccia sulla strada di casa), si può sbattere tutto questo materiale on line, con un bel risparmio di foreste. Però non è che prima dell'“era di internet” i programmi degli insegnanti fossero un segreto di Stato, eh. C'è da dire che un insegnante che sa “descrivere a grandi linee” il suo programma e i suoi metodi didattici su una pagina web (o su una fotocopia) non è necessariamente un bravo insegnante, e se ne rendono conto subito tutti: genitori, studenti, colleghi, il prof stesso. La differenza tra saper insegnare e saperla raccontare, a scuola, è enorme. All'università le cose vanno già diversamente. Così l'idea che un genitore possa scegliere una scuola sulla base della paginetta di presentazione dell'insegnante, ecco, è come dire... un po' accademica.
Il nostro sistema scolastico permette alle famiglie, soprattutto nelle grandi città, di scegliere la scuola a cui iscrivere i propri figli. Ci sono vincoli in questa scelta, ma molto meno che in altri paesi, dove l'iscrizione è dettata unicamente dalla residenza.
Altri Paesi. Quali? Perché? In questi non meglio precisati Paesi l'iscrizione è vincolata “unicamente dalla residenza”. In Italia da cosa altro è vincolata?
Questa maggiore possibilità di scelta dovrebbe fondarsi su informazioni adeguate sul valore aggiunto offerto dai diversi istituti alla formazione di chi si prepara per il mondo del lavoro. Invece paradossalmente in Italia ci sono meno informazioni che altrove sui contenuti formativi dei programmi didattici, sugli sbocchi professionali e sull'accesso all'università dei diplomati nei diversi istituti.
Anch'io sono convinto che “altrove” le cose vadano meglio, però non sarebbe male sapere dov'è questo “altrove”, e cosa fanno loro di meglio rispetto alle brochures informative e ai POF dei nostri istituti che, ne sono sicuro, sono perfettibili. Ma qual è il punto? I POF sono poco visibili? (Nell'“era di internet” di solito sono la prima cosa che una scuola mette on line). Stanno diventando tutti uguali? Per forza: sono il settore in cui vanno a incidere i tagli. Una scuola che metteva nel POF la madrelingua, se non ha più soldi per pagarla deve toglierla dal POF; la scuola che teneva aperti tutti i pomeriggi per corsi di potenziamento, ai primi tagli ha dovuto togliere i corsi dal POF. E così via.
A cosa si deve questo paradosso?
Ai tagli, per esempio.
Ci sono sicuramente barriere di natura ideologica ad ogni tipo di valutazione svolta dall'esterno. C'è poco da argomentare contro i pregiudizi.
No, l'ideologia no. Sul serio. Non c'è nulla di meno ideologico della resistenza alle prove invalsi. Gli insegnanti non vogliono essere precettati per svolgere un censimento sulle conoscenze dei loro alunni che avrà ripercussioni sul loro reddito e sulla reputazione dell'istituto dove lavorano, e l'ideologia in tutto questo c'entra poco o nulla. Il boicottaggio non l'ha promosso il sindacato trotzkista (ma neanche la Cgil), il boicottaggio lo ha fatto l'insegnante del quartiere svantaggiato che ha paura che lo giudichino inferiore a uno omologo del quartiere non svantaggiato perché è in ritardo col programma (chiamalo fesso).
Bene ricordare un vecchio adagio popolare: "se non ti poni il problema di misurare una cosa, significa che quella cosa per te non ha alcun valore". Chi non vuole misurare la qualità dell'istruzione, non assegna alcuna importanza alla scuola.
Io quell'adagio popolare, giuro, non l'ho mai sentito (in compenso potrei incartare chili di baci perugina con proverbi del tipo: il sapere non si pesa, la cultura non si misura, l'essenziale è invisibile agli occhi eccetera eccetera. Ma lasciam perdere).
C´è poi il rifiuto dei test standardizzati. Molti docenti ritengono che solo loro siano in grado di definire parametri di valutazione adeguati, che tengano conto della specificità del loro programma di insegnamento. La ragione ultima, talvolta inconsapevole, di queste obiezioni è che chi viene valutato vorrebbe sempre costruirsi il proprio test. Quelli standardizzati servono proprio ad evitare che i docenti scelgano di adottare criteri di valutazione favorevoli ai propri studenti, dunque a se stessi. E permettono di svolgere comparazioni del livello di apprendimento prima e dopo l'operato di un docente, oltre che fra classi e scuole diverse.
Non fa una piega. Il problema è che per permettere tutte queste comparazioni i test invalsi devono essere fatti bene. Ma sono fatti bene?
Ci sono poi i timori di alcuni docenti che la valutazione possa ritorcersi contro di loro. Nel caso dei bravi docenti sono paure del tutto infondate:
Beh, ma questa è buona. Siate bravi e nessuno vi farà male. Ma noi temiamo, appunto, di non essere bravi. Perché misuriamo ogni volta la distanza tra la nostra preparazione e il risultato di una prova che non dipende nemmeno dal programma che stiamo svolgendo. C'è un migliaio di modi diversi di essere bravi insegnanti di italiano, ma se la prova invalsi fa una domanda sulla subordinata consecutiva, l'unico insegnante che sarà ritenuto “bravo” è quello che ha perso due settimane di tempo a far entrare nella testa del singolo ragazzo il concetto di subordinata consecutiva. Gli altri magari sono bravi a fare altre cose, ma non è vero che non hanno nulla da temere. Hanno da temere la proposizione subordinata consecutiva, per esempio. Cominciano a sognarsela di notte.
i miglioramenti compiuti dagli studenti nelle loro materie vengono ben monitorati da questi test che, non a caso, sono in genere molto coerenti fra di loro.
Lo trovo discutibile (almeno per le prove che ho somministrato io), e magari un'altra volta lo discuterò. Prendo atto che per Boeri le prove Invalsi sono in generale fatte bene.
Non è neanche vero che le prove distolgano le scuole dal perseguimento dei programmi didattici inducendole a preparare gli studenti per i test, anziché perseguire i programmi didattici. Le conoscenze che i test intendono valutare sono parte integrante degli standard minimi educativi.
La proposizione consecutiva? In terza media? E non me la sono mica inventata io, c'era nel test di tre anni fa. Cioè, terza media di scuola dell'obbligo, un alunno su quattro non è di origine italiana, e secondo voi lo “standard minimo” è che sappiano cos'è una proposizione consecutiva? Ma voi lo sapete cos'è una proposizione consecutiva? La sapreste riconoscere a colpo sicuro in un testo scritto? E soprattutto, ditemi, vi serve così tanto nella vita di ogni giorno? Vi è indispensabile nel lavoro che fate, nell'andare a far la spesa o nel discutere coi vostri vicini? La proposizione consecutiva? Lo standard minimo? E se io invece di insegnarla mi concentro, per dire, sul complemento oggetto, è perché sono un cattivo insegnante, e la mia scuola una cattiva scuola?
E non è affatto detto che il cosiddetto "teaching to the test", insegnamento finalizzato a una migliore performance nel test, sia efficace.
Questo è interessante. Da quando le prove Invalsi sono arrivate a scuola, un sacco di insegnanti ha cominciato a usare le ore di lezione per allenare i ragazzi a riuscire nei test, e gli esperti storcono il naso: quella non è vera scuola. Sì, ma se l'obiettivo diventa riuscire nel test, meglio allenarsi, no? No, non è detto che sia meglio. Sì, ma chi è che non lo dice? Ci sono degli studi in materia, dei dati statistici? Perché professore, finché non mi fa vedere dei numeri, io continuo a far fare ai miei ragazzi dei test a nastro, nella speranza che becchino più o meno le stesse risposte della prova finale: ne va della mia reputazione e del mio salario, mica mi posso fidare dei suoi “Non è detto”.
Ma forse gli ostacoli più forti al miglioramento delle informazioni sulla qualità del nostro sistema scolastico vengono dalla politica. Senza questi dati non è possibile valutare le tante piccole modifiche, più di facciata che di sostanza, apportate da ministri che vogliono solo apporre una bandierina, mostrare di avere fatto una "riforma" che immancabilmente porta il loro nome.
Ecco, sarei anche d'accordo. Secondo me il primo ad aver boicottato l'Invalsi è stato il Ministero stesso.
La mancanza di valutazione rafforza la discrezionalità della politica. Può fare tutti i cambiamenti che vuole, magari definendoli sperimentali. Tanto poi non ci sarà nessuno in grado di valutarne gli effetti. I test standardizzati permettono di valutare queste pseudo-riforme. Ad esempio, uno studio condotto da Erich Battistin, Ilaria Covizzi e Antonio Schizzerotto dell'Irvapp di Trento e basato proprio sui test Invalsi ha dimostrato che il ripristino dei cosiddetti esami a settembre (al posto del recupero dei debiti formativi in corso d'anno) ha accentuato le differenze quanto a conoscenze linguistiche tra studenti liceali e studenti di scuole tecnico-professionali, peggiorando la qualità dell'istruzione soprattutto per chi viene da famiglie con redditi più bassi.
Ecco, finalmente una fonte, un rimando a una ricerca sul campo. Sono contento. Ma sono anche un po' perplesso. Non ho potuto ovviamente leggere la ricerca di Battistin Covizzi e Schizzerotto, ma non dubito che si tratti di un lavoro valido. Non capisco però come possa essere basata “proprio sui test Invalsi”, visto che i test delle superiori li abbiamo fatti per la prima volta quest'anno, per la precisione due giovedì fa, e, come diceva lo stesso Boeri, fino a settembre non conosceremo i risultati. Se Battistin e compagni hanno adoperato dei dati su studenti liceali e studenti di scuole tecnico-professionali, non erano quelli delle prove nazionali Invalsi. Oppure si sono basati sulle prove che gli stessi ragazzi avevano svolto alle medie due anni prima?
Sia come sia, il risultato non è questa straordinaria sorpresa. I crediti scolastici si recuperano a scuola aperta. L'esame di settembre si prepara a scuola chiusa. Chi è che riesce a studiare meglio con la scuola chiusa, Pierino Reddito-Medio-Alto o Gianni Reddito-medio-basso? E per scoprirlo bisognava sul serio impartire un test a tutti gli studenti italiani? Non dico che sia sbagliato, ma era necessario?
Chi oggi rifiuta le valutazioni in nome dell'egualitarismo dovrebbe riflettere su questo risultato. Senza le informazioni offerte dai test standardizzati la battaglia contro la scuola di classe rischia di avere le armi spuntate.
Io non sono in linea di massima contro la prova nazionale. Ma non ditemi che è l'unico modo per ottenere dati scientifici. Altrimenti l'Istat ci farebbe un censimento una volta all'anno. Si fanno ricerche di mercato a livello nazionale su campioni statistici di decine di migliaia di individui; possibile che a scuola non bastino?
domenica 22 maggio 2011
Gli effetti della ridondanza
A costo di risultare ripetitivo, vorrei ricordare che Silvio Berlusconi possiede tre emittenti nazionali. Il centrosinistra, che in vent'anni di berlusconismo è stato al governo per almeno sette, non ha voluto fare la cosa più ovvia per difendere la democrazia: portargliele via. Invece ha difeso la proprietà statale di altre tre emittenze nazionali, col bel risultato che appena è tornato a capo dell'esecutivo Silvio Berlusconi ha piazzato i suoi uomini in almeno due su tre. Perciò, quando gli va, Silvio Berlusconi può occupare decine di minuti coi suoi messaggi elettorali su tutti i canali più visti in Italia, anche se c'è gente che in questo caso si indigna. Che è un po' come indignarsi perché Napoleone usava i cannoni, o re Pirro gli elefanti, con quello che gli sarà costato addestrarli. Doveva lasciarli in Epiro? Per fair play?
Perché in fondo è quello che gli stiamo chiedendo: gli abbiamo lasciato i cannoni, gli abbiamo lasciato gli elefanti, ma lui dovrebbe essere tanto educato da non scatenarceli addosso. Invece lui, pensate un po', non è educato. Anzi, più è alle strette, peggio diventa. Chi se lo sarebbe mai aspettato? Tutti. Dovevamo aspettarcelo tutti.
Se di solito Silvio Berlusconi non è così presente in tv (ma se avete dato un'occhiata al tg di Minzolini, sapete che ha qualcosa come una rubrica fissa in cui le sue telefonate ai “Promotori della libertà” vengono rilanciate senza contraddittorio) è che lui stesso, in quanto Silvio Berlusconi, è consapevole che l'uso dei media non può essere troppo sfacciato, e che la ridondanza può rivelarsi controproducente. Per cui, di solito, Silvio Berlusconi occupa quel tanto di tv che gli basta a convincere i suoi che è ancora in forma. Ora, indubbiamente il fatto che l'altra sera abbia dovuto farsi in cinque per occupare i telegiornali ci lascia immaginare che il vecchietto sia alle corde. Ma appunto: è alle corde il vecchietto, non il sistema. Se anche perdesse a Milano – cosa che mi auguro con tutto il cuore, tutta l'anima, tutta la mente – il sistema resterebbe in piedi. Possiamo chiamarlo anche berlusconismo, ma siamo sicuri che per funzionare abbia bisogno di Silvio Berlusconi? E chi, tra festini e processi, è andato in fusione negli ultimi venti mesi, il berlusconismo o Silvio Berlusconi?
Lo abbiamo dato per finito tante volte: un giorno senz'altro finirà davvero. Il giorno dopo, tuttavia, Mediaset continuerà a essere una concentrazione mediatica che per funzionare e fatturare ha bisogno di un regime di duopolio. Il giorno dopo, la Rai sarà ancora piena di personaggi in cerca del miglior protettore politico sulla piazza. Il giorno che Berlusconi sarà finito, il berlusconismo sarà ancora tutto lì, una macchina sferragliante ma efficace a disposizione del prossimo conducente. E noi intanto faremo festa, perché siamo sciocchi. Faremo festa perché abbiamo sconfitto un vecchietto che non riusciva più a farsi inquadrare dalle telecamere, senza preoccuparci di chi continua a stare dietro le telecamere. La sua stessa sconfitta diventerà un argomento in mano a chi non ha interesse che il sistema cambi: vedete, aveva in mano cinque telegiornali, ma non è riuscito a convincere il Paese, quindi le tv non sono poi così importanti (quindi lasciamo pure le cose come stanno). E invece sì, signori, c'è riuscito per quasi vent'anni, finché la maschera ha tenuto; ed è impossibile che dietro le quinte voi non stiate già cercando una maschera migliore. Chiunque lo farebbe al posto vostro.
Un giorno Berlusconi sarà finito. In esilio ad Antigua, agli arresti a Palazzo Grazioli, frollato nel mausoleo di Arcore. Io non smetterò di temerlo quel giorno, e neanche i successivi. Crederò alla fine di Berlusconi quando il mercato radio-televisivo e pubblicitario italiano sarà diventato una cosa normale, con un regime di concorrenza tra almeno quattro, meglio cinque proprietà diverse. Magari nel frattempo gli italiani si saranno stancati dei telegiornali tv – meglio ancora.
E quindi... Cosa stavo dicendo?
“Si avvii a una conclusione, senatore”.
Ah, sì. In conclusione, io ritengo ancora e sempre che Cologno debba essere distrutta. Grazie per l'attenzione.
Perché in fondo è quello che gli stiamo chiedendo: gli abbiamo lasciato i cannoni, gli abbiamo lasciato gli elefanti, ma lui dovrebbe essere tanto educato da non scatenarceli addosso. Invece lui, pensate un po', non è educato. Anzi, più è alle strette, peggio diventa. Chi se lo sarebbe mai aspettato? Tutti. Dovevamo aspettarcelo tutti.
Se di solito Silvio Berlusconi non è così presente in tv (ma se avete dato un'occhiata al tg di Minzolini, sapete che ha qualcosa come una rubrica fissa in cui le sue telefonate ai “Promotori della libertà” vengono rilanciate senza contraddittorio) è che lui stesso, in quanto Silvio Berlusconi, è consapevole che l'uso dei media non può essere troppo sfacciato, e che la ridondanza può rivelarsi controproducente. Per cui, di solito, Silvio Berlusconi occupa quel tanto di tv che gli basta a convincere i suoi che è ancora in forma. Ora, indubbiamente il fatto che l'altra sera abbia dovuto farsi in cinque per occupare i telegiornali ci lascia immaginare che il vecchietto sia alle corde. Ma appunto: è alle corde il vecchietto, non il sistema. Se anche perdesse a Milano – cosa che mi auguro con tutto il cuore, tutta l'anima, tutta la mente – il sistema resterebbe in piedi. Possiamo chiamarlo anche berlusconismo, ma siamo sicuri che per funzionare abbia bisogno di Silvio Berlusconi? E chi, tra festini e processi, è andato in fusione negli ultimi venti mesi, il berlusconismo o Silvio Berlusconi?
Lo abbiamo dato per finito tante volte: un giorno senz'altro finirà davvero. Il giorno dopo, tuttavia, Mediaset continuerà a essere una concentrazione mediatica che per funzionare e fatturare ha bisogno di un regime di duopolio. Il giorno dopo, la Rai sarà ancora piena di personaggi in cerca del miglior protettore politico sulla piazza. Il giorno che Berlusconi sarà finito, il berlusconismo sarà ancora tutto lì, una macchina sferragliante ma efficace a disposizione del prossimo conducente. E noi intanto faremo festa, perché siamo sciocchi. Faremo festa perché abbiamo sconfitto un vecchietto che non riusciva più a farsi inquadrare dalle telecamere, senza preoccuparci di chi continua a stare dietro le telecamere. La sua stessa sconfitta diventerà un argomento in mano a chi non ha interesse che il sistema cambi: vedete, aveva in mano cinque telegiornali, ma non è riuscito a convincere il Paese, quindi le tv non sono poi così importanti (quindi lasciamo pure le cose come stanno). E invece sì, signori, c'è riuscito per quasi vent'anni, finché la maschera ha tenuto; ed è impossibile che dietro le quinte voi non stiate già cercando una maschera migliore. Chiunque lo farebbe al posto vostro.
Un giorno Berlusconi sarà finito. In esilio ad Antigua, agli arresti a Palazzo Grazioli, frollato nel mausoleo di Arcore. Io non smetterò di temerlo quel giorno, e neanche i successivi. Crederò alla fine di Berlusconi quando il mercato radio-televisivo e pubblicitario italiano sarà diventato una cosa normale, con un regime di concorrenza tra almeno quattro, meglio cinque proprietà diverse. Magari nel frattempo gli italiani si saranno stancati dei telegiornali tv – meglio ancora.
E quindi... Cosa stavo dicendo?
“Si avvii a una conclusione, senatore”.
Ah, sì. In conclusione, io ritengo ancora e sempre che Cologno debba essere distrutta. Grazie per l'attenzione.
venerdì 20 maggio 2011
Simpatia per Lars Von Trier
Your own personal Führer
Avrete sentito dire in questi giorni come il famoso e controverso regista Lars Von Trier abbia affermato pubblicamente di provare simpatia per Hitler, ebbene, non è così vero. Il verbo inglese “to sympathize” non significa esattamente “simpatizzare”. Il suo significato è più aderente all'originale etimo greco, “patire assieme”: compatire, comprendere il dolore. Per un'affermazione del genere, Lars Von Trier è stato bandito dal Festival di Cannes. Pare che sia vietato affermare di poter compatire la sofferenza dell'uomo malvagio, che in quanto malvagio è radicalmente diverso da noi al punto da sfuggire a ogni nostra capacità di comprensione. Altrimenti ti cacciano dalle feste. E dire che fino a ieri avevamo riempito migliaia di pagine, miliardi di fotogrammi, nel tentativo di capire, di spiegare come una persona come noi possa diventare, in certe situazioni, a certe condizioni, un assassino di massa. Ma questo era ieri, appunto, quando ci interessavano le cause, le conseguenze, le nostre psicosi individuali e di massa: oggi abbiamo deciso che gli assassini sono sempre gli altri, che non parlano la nostra lingua e probabilmente non sono della nostra razza. Abbiamo tracciato una linea, chi la oltrepassa è il Male Assoluto e non può essere spiegato né compreso: o condanni pubblicamente il Maligno come fonte e origine di ogni male o sei evidentemente un po' parte del Maligno anche tu. Questa è l'Europa di oggi, un posto dove abbiamo risolto le psicosi ritornando ai tabù.
Credo di poter simpatizzare con Von Trier, intendo, capire un po' come si sente. Ci sono vari tipi di gaffe, o meglio di gaffeur. C'è il gaffeur tattico, come Vittorio Sgarbi, che a un certo punto si rende conto che la sfida con Santoro o Saviano è persa in partenza e allora calca la mano, in pratica si auto-boicotta, affossa il suo programma e dopo due ore corre a intascare gli stessi soldi che avrebbe dovuto guadagnare lavorando qualche mese (chiamalo fesso). C'è il gaffeur trionfante, senza secondi fini, il personaggio così pieno di sé da essere convinto di avere sempre qualcosa di intelligente da dire, anche se non sa ancora cosa (ma intanto ha già aperto la bocca e sta parlando di nazismo davanti a un eurodeputato tedesco). E poi c'è il gaffeur suicida, che ha una pessima opinione di sé stesso e parla a vanvera per distruggersi, come il tuo partner esausto di te che decide di farti una scenata in società. Basta avere sfogliato la Newton Compton di Freud ((c) Enzo) per riconoscere nel balbettante Von Trier un esempio di gaffeur del terzo tipo. L'uomo ha cose orribili da rimproverarsi – di non essere un buon regista, diranno molti. Ma molto prima di castrare i suoi attori era l'etica stessa di Dogma a essere autocastrante: Non avrai altra Soundtrack al di fuori di me; Non ti gioverai di cavalletto; Non girerai esterni, ecc.
Poi, in modo non molto dissimile da quel che accade nella Bibbia, dove il popolo di Dio non fa che disobbedire alle leggi di Dio (sennò la Bibbia sarebbe assai più corta e perfino meno divertente); allo stesso modo di Isaac Asimov (autore di origine ebraica!), che prima inventa tre leggi della Robotica e poi scrive dozzine di racconti in cui, sostanzialmente, i suoi robot non fanno che rivoltarsi alle leggi della robotica... tutto quello che ci ha reso interessante Von Trier probabilmente sta nel modo in cui ha aggirato le sue stesse autolimitazioni e ha girato musical o commedie dell'assurdo. Per cui a un certo punto ci siamo convinti che tutto l'affare dogmatico era semplicemente un esercizio per stimolare la propria creatività. Potrebbe darsi.
Però potrebbe anche trattarsi di psicosi maniaco-depressiva. Il giovane Lars è cresciuto in una famiglia danese comunistoide e antirepressiva, vacanze nudiste e tutto il resto: il tipo di ambiente in cui a un certo punto un adolescente può trovarsi a rimpiangere la totale assenza di regole (o a riconoscere le regole non scritte dietro il permissivismo genitoriale). Crescendo ha scoperto che il padre, benché ateo, era di origine ebraica: quindi da qualche parte c'era una Legge, anche se negletta dal padre. A un certo punto però il padre muore e la madre spiega a Lars che comunque non era il suo vero padre: quest'ultimo non era ebreo, bensì... tedesco. Così a 33 anni Von Trier si ritrova sbalzato, da membro di una perduta tribù di Israele a figlio dei volonterosi carnefici di Hitler. Qui avviene una sorta di sdoppiamento: può darsi che Von Trier si odi seriamente, e non per posa, può darsi che ci sia un Von Trier interiore che cospira contro tutto quello che Von Trier cerca di fare di buono nella vita, un Von Trier che boicotta attivamente la sua stessa carriera, che assiste alla prima del suo film e lo trova inguardabile (“Maybe it’s crap,” von Trier joked. “Of course, I hope not. But there is quite a big possibility that this might be, you know, really not worth seeing”); poi si ritrova davanti ai giornalisti, circondato da due attrici brave e famose, e in un momento che potrebbe rappresentare uno dei due o tre possibili apici della sua carriera, e senza accorgersene – e senza che nessuno riesca a interromperlo – sente sé stesso parlare a vanvera di nazismo ed ebrei. Il modo più spiccio per rovinare una carriera, ormai lo sanno anche i fantasmi dell'inconscio. La trascrizione non rende il senso discorso: dalle pause, dalle esitazioni, emerge chiaramente che lo stesso Von Trier non chiedeva di meglio che essere interrotto, salvato dalle sue stesse chiacchiere. E invece i giornalisti lo lasciano parlare, fiutando la gaffe succulenta; la Dunst si mostra scioccata ma non lo interrompe, probabilmente spera che il regista riesca a spiegarsi meglio, a salvarsi in corner; la stessa cosa cerca di fare malamente Von Trier, ma il suo Doppelgänger autodistruttivo riesce a tenere la palla al piede, dribbla ogni tentativo di riportare la discussione alla ragionevolezza festivaliera, e continua ad ammucchiare gaffes sulla collega danese-ebraica che ha vinto un Oscar; su Hitler; su Israele che è “una rottura di coglioni” (“a pain in the ass”, mi pare che nessuno in Italia abbia osato tradurre), su Albert Speer che è un grande a cui piace fare le cose in grande, come i nazisti, come lui stesso. Nel frattempo il Von Trier ragionevole alza la bandiera bianca: “how can I get out of this sentence?"
Dopo che hai offeso gli ebrei, cosa puoi fare di peggio? Offendere le donne, probabilmente. Qualche minuto dopo riuscirà a disegnare per Kirsten Dust un futuro da aspirante pornostar. “Now she wants more. That’s how women are, and Charlotte is behind this. They want a really, really, really hardcore film this time, and I’m doing my best”.
Dunque: c'è un Von Trier che credeva di essere ebreo. Che voleva essere ebreo. L'aspirazione a voler far parte del popolo della Legge si lascia facilmente interpretare. A parte l'opportunità, per un regista, di trovarsi rampollo nella stessa schiatta di Kubrick, Polanski, Lubitsch, Allen, e ne ho senz'altro lasciato fuori qualcuno enorme, c'è anche la necessità dell'intellettuale di simpatizzare col perdente, con l'oppresso, con la minoranza. E allo stesso tempo c'è la necessità di una Legge scolpita sul marmo, di un Dio che ti fulmini se non lo rispetti. Però a un certo punto, magari guardando il film di una collega che ebrea lo è davvero, Von Trier capisce di essere qualcos'altro: non oppresso ma oppressore, non ebreo ma tedesco. Un nazista. Probabilmente la realtà è in mezzo, probabilmente Von Trier è l'ebreo e il nazi di sé stesso, ma è facile dirlo da fuori. Se Von Trier fosse riuscito a fare andare d'accordo le sue due identità, non si troverebbe davanti al disastro dell'altro ieri. Von Trier è il nazista di sé stesso per le regole inflessibili che continua a darsi, per le punizioni bizzarre e atroci che infligge a chi sgarra, cioè a Von Trier stesso. E allo stesso tempo non può che provare pietà per quel dittatore frustrato che non riesce ad autocontrollarsi, e che forse si ritrova già nel bunker interiore, pronto a spararsi un colpo. 'Però non sono un nazista vero', dice il Von Trier aspirante semita, facendo appello alla ragionevolezza dei giornalisti: guardatemi, mica dichiaro le seconde guerre mondiali, mica odio gli ebrei... Anche se Israele è un pain-in-the-ass”, replica il Von Trier sadico, e questo probabilmente è il vero tabù che un regista europeo non dovrebbe infrangere. Perché comprendere Hitler, via, non è questa gran novità: col mondo interiore del Führer si sono misurati registi anche meno scomodi di Von Trier; una delle sequenze di maggior successo del cinema degli ultimi vent'anni è quella in cui Bruno Ganz ci mostra un umanissimo Hitler impartire un umanissimo cazziatone ai suoi sottoposti. Non è un caso che lo spezzone della Caduta sia diventato un tormentone del web; non è un caso che migliaia di internauti abbiano voluto mettere in bocca al Führer le proprie esternazioni, in pratica abbiano voluto mettersi nei panni di Hitler “sitting in his bunker at the end”, senza che nessuno abbia perso tempo a misurare il potenziale antisemita del giochino. No, Hitler si può compatire – entro certi limiti. Ma offendere Israele, descriverlo come un fastidioso ospite conficcato nel retto della nostra sensibilità occidentale, ecco, questo era il tabù che il Von Trier sadico andava cercando, per inchiodarcisi sopra. Missione compiuta.
Avrete sentito dire in questi giorni come il famoso e controverso regista Lars Von Trier abbia affermato pubblicamente di provare simpatia per Hitler, ebbene, non è così vero. Il verbo inglese “to sympathize” non significa esattamente “simpatizzare”. Il suo significato è più aderente all'originale etimo greco, “patire assieme”: compatire, comprendere il dolore. Per un'affermazione del genere, Lars Von Trier è stato bandito dal Festival di Cannes. Pare che sia vietato affermare di poter compatire la sofferenza dell'uomo malvagio, che in quanto malvagio è radicalmente diverso da noi al punto da sfuggire a ogni nostra capacità di comprensione. Altrimenti ti cacciano dalle feste. E dire che fino a ieri avevamo riempito migliaia di pagine, miliardi di fotogrammi, nel tentativo di capire, di spiegare come una persona come noi possa diventare, in certe situazioni, a certe condizioni, un assassino di massa. Ma questo era ieri, appunto, quando ci interessavano le cause, le conseguenze, le nostre psicosi individuali e di massa: oggi abbiamo deciso che gli assassini sono sempre gli altri, che non parlano la nostra lingua e probabilmente non sono della nostra razza. Abbiamo tracciato una linea, chi la oltrepassa è il Male Assoluto e non può essere spiegato né compreso: o condanni pubblicamente il Maligno come fonte e origine di ogni male o sei evidentemente un po' parte del Maligno anche tu. Questa è l'Europa di oggi, un posto dove abbiamo risolto le psicosi ritornando ai tabù.
Credo di poter simpatizzare con Von Trier, intendo, capire un po' come si sente. Ci sono vari tipi di gaffe, o meglio di gaffeur. C'è il gaffeur tattico, come Vittorio Sgarbi, che a un certo punto si rende conto che la sfida con Santoro o Saviano è persa in partenza e allora calca la mano, in pratica si auto-boicotta, affossa il suo programma e dopo due ore corre a intascare gli stessi soldi che avrebbe dovuto guadagnare lavorando qualche mese (chiamalo fesso). C'è il gaffeur trionfante, senza secondi fini, il personaggio così pieno di sé da essere convinto di avere sempre qualcosa di intelligente da dire, anche se non sa ancora cosa (ma intanto ha già aperto la bocca e sta parlando di nazismo davanti a un eurodeputato tedesco). E poi c'è il gaffeur suicida, che ha una pessima opinione di sé stesso e parla a vanvera per distruggersi, come il tuo partner esausto di te che decide di farti una scenata in società. Basta avere sfogliato la Newton Compton di Freud ((c) Enzo) per riconoscere nel balbettante Von Trier un esempio di gaffeur del terzo tipo. L'uomo ha cose orribili da rimproverarsi – di non essere un buon regista, diranno molti. Ma molto prima di castrare i suoi attori era l'etica stessa di Dogma a essere autocastrante: Non avrai altra Soundtrack al di fuori di me; Non ti gioverai di cavalletto; Non girerai esterni, ecc.
Poi, in modo non molto dissimile da quel che accade nella Bibbia, dove il popolo di Dio non fa che disobbedire alle leggi di Dio (sennò la Bibbia sarebbe assai più corta e perfino meno divertente); allo stesso modo di Isaac Asimov (autore di origine ebraica!), che prima inventa tre leggi della Robotica e poi scrive dozzine di racconti in cui, sostanzialmente, i suoi robot non fanno che rivoltarsi alle leggi della robotica... tutto quello che ci ha reso interessante Von Trier probabilmente sta nel modo in cui ha aggirato le sue stesse autolimitazioni e ha girato musical o commedie dell'assurdo. Per cui a un certo punto ci siamo convinti che tutto l'affare dogmatico era semplicemente un esercizio per stimolare la propria creatività. Potrebbe darsi.
Però potrebbe anche trattarsi di psicosi maniaco-depressiva. Il giovane Lars è cresciuto in una famiglia danese comunistoide e antirepressiva, vacanze nudiste e tutto il resto: il tipo di ambiente in cui a un certo punto un adolescente può trovarsi a rimpiangere la totale assenza di regole (o a riconoscere le regole non scritte dietro il permissivismo genitoriale). Crescendo ha scoperto che il padre, benché ateo, era di origine ebraica: quindi da qualche parte c'era una Legge, anche se negletta dal padre. A un certo punto però il padre muore e la madre spiega a Lars che comunque non era il suo vero padre: quest'ultimo non era ebreo, bensì... tedesco. Così a 33 anni Von Trier si ritrova sbalzato, da membro di una perduta tribù di Israele a figlio dei volonterosi carnefici di Hitler. Qui avviene una sorta di sdoppiamento: può darsi che Von Trier si odi seriamente, e non per posa, può darsi che ci sia un Von Trier interiore che cospira contro tutto quello che Von Trier cerca di fare di buono nella vita, un Von Trier che boicotta attivamente la sua stessa carriera, che assiste alla prima del suo film e lo trova inguardabile (“Maybe it’s crap,” von Trier joked. “Of course, I hope not. But there is quite a big possibility that this might be, you know, really not worth seeing”); poi si ritrova davanti ai giornalisti, circondato da due attrici brave e famose, e in un momento che potrebbe rappresentare uno dei due o tre possibili apici della sua carriera, e senza accorgersene – e senza che nessuno riesca a interromperlo – sente sé stesso parlare a vanvera di nazismo ed ebrei. Il modo più spiccio per rovinare una carriera, ormai lo sanno anche i fantasmi dell'inconscio. La trascrizione non rende il senso discorso: dalle pause, dalle esitazioni, emerge chiaramente che lo stesso Von Trier non chiedeva di meglio che essere interrotto, salvato dalle sue stesse chiacchiere. E invece i giornalisti lo lasciano parlare, fiutando la gaffe succulenta; la Dunst si mostra scioccata ma non lo interrompe, probabilmente spera che il regista riesca a spiegarsi meglio, a salvarsi in corner; la stessa cosa cerca di fare malamente Von Trier, ma il suo Doppelgänger autodistruttivo riesce a tenere la palla al piede, dribbla ogni tentativo di riportare la discussione alla ragionevolezza festivaliera, e continua ad ammucchiare gaffes sulla collega danese-ebraica che ha vinto un Oscar; su Hitler; su Israele che è “una rottura di coglioni” (“a pain in the ass”, mi pare che nessuno in Italia abbia osato tradurre), su Albert Speer che è un grande a cui piace fare le cose in grande, come i nazisti, come lui stesso. Nel frattempo il Von Trier ragionevole alza la bandiera bianca: “how can I get out of this sentence?"
Israel Von Trier | Nazi Von Trier |
Ho pensato di essere ebreo a lungo, ed ero davvero contento di essere ebreo. | Ma poi è arrivata Susanne Bier e non ero più così contento... |
No, questa era una battuta, mi dispiace. | Ma è saltato fuori che non ero un ebreo, ma anche se fossi un ebreo sarei un ebreo di seconda classe, perché c'è una specie di gerarchia nella popolazione ebrea. |
Ma in ogni caso, volevo davvero essere un ebreo | E poi ho scoperto di essere davvero un nazista, sapete, perché la mia famiglia era tedesca, Hartmann, il che mi ha dato comunque qualche piacere, eh, eh, così sono una specie di... |
Io... io... cosa posso dire? | Io capisco Hitler. |
Ma... ma... penso che abbia fatto alcune cose sbagliate, sì, certamente | Ma posso vederlo seduto nel suo bunker alla fine. |
Ci sarà un senso alla fine di tutto questo. Ci sarà... | No... stavo solo dicendo che... capisco l'uomo. |
Non è quello che chiameresti un bravo ragazzo | Ma... capisco molto di lui, e provo compassione per lui, un po', sì... |
Ma insomma, non sono per la Seconda Guerra Mondiale! Non sono contro gli ebrei! | E Susanne Bier? |
No, neanche contro Susanne Bier... anche questa era una battuta, io naturalmente tengo molto agli ebrei | No, non così tanto, perché Israele è una rottura di coglioni. |
Come posso uscire da questo discorso? |
Dopo che hai offeso gli ebrei, cosa puoi fare di peggio? Offendere le donne, probabilmente. Qualche minuto dopo riuscirà a disegnare per Kirsten Dust un futuro da aspirante pornostar. “Now she wants more. That’s how women are, and Charlotte is behind this. They want a really, really, really hardcore film this time, and I’m doing my best”.
Dunque: c'è un Von Trier che credeva di essere ebreo. Che voleva essere ebreo. L'aspirazione a voler far parte del popolo della Legge si lascia facilmente interpretare. A parte l'opportunità, per un regista, di trovarsi rampollo nella stessa schiatta di Kubrick, Polanski, Lubitsch, Allen, e ne ho senz'altro lasciato fuori qualcuno enorme, c'è anche la necessità dell'intellettuale di simpatizzare col perdente, con l'oppresso, con la minoranza. E allo stesso tempo c'è la necessità di una Legge scolpita sul marmo, di un Dio che ti fulmini se non lo rispetti. Però a un certo punto, magari guardando il film di una collega che ebrea lo è davvero, Von Trier capisce di essere qualcos'altro: non oppresso ma oppressore, non ebreo ma tedesco. Un nazista. Probabilmente la realtà è in mezzo, probabilmente Von Trier è l'ebreo e il nazi di sé stesso, ma è facile dirlo da fuori. Se Von Trier fosse riuscito a fare andare d'accordo le sue due identità, non si troverebbe davanti al disastro dell'altro ieri. Von Trier è il nazista di sé stesso per le regole inflessibili che continua a darsi, per le punizioni bizzarre e atroci che infligge a chi sgarra, cioè a Von Trier stesso. E allo stesso tempo non può che provare pietà per quel dittatore frustrato che non riesce ad autocontrollarsi, e che forse si ritrova già nel bunker interiore, pronto a spararsi un colpo. 'Però non sono un nazista vero', dice il Von Trier aspirante semita, facendo appello alla ragionevolezza dei giornalisti: guardatemi, mica dichiaro le seconde guerre mondiali, mica odio gli ebrei... Anche se Israele è un pain-in-the-ass”, replica il Von Trier sadico, e questo probabilmente è il vero tabù che un regista europeo non dovrebbe infrangere. Perché comprendere Hitler, via, non è questa gran novità: col mondo interiore del Führer si sono misurati registi anche meno scomodi di Von Trier; una delle sequenze di maggior successo del cinema degli ultimi vent'anni è quella in cui Bruno Ganz ci mostra un umanissimo Hitler impartire un umanissimo cazziatone ai suoi sottoposti. Non è un caso che lo spezzone della Caduta sia diventato un tormentone del web; non è un caso che migliaia di internauti abbiano voluto mettere in bocca al Führer le proprie esternazioni, in pratica abbiano voluto mettersi nei panni di Hitler “sitting in his bunker at the end”, senza che nessuno abbia perso tempo a misurare il potenziale antisemita del giochino. No, Hitler si può compatire – entro certi limiti. Ma offendere Israele, descriverlo come un fastidioso ospite conficcato nel retto della nostra sensibilità occidentale, ecco, questo era il tabù che il Von Trier sadico andava cercando, per inchiodarcisi sopra. Missione compiuta.
giovedì 19 maggio 2011
Dov'è il mio registro elettronico?
E insomma, nel 1983 i monitor erano in bianco e nero. Una partita a Space Invaders costava cento lire. E nelle scuole di Seattle usavano i registri elettronici (in bianco e nero) (ma elettronici).
Siamo nel 2011, abbiamo monitor a colori, milioni di colori, anche in 3d, possiamo giocare a tutti i giochi che vogliamo, e il mio fottuto registro scolastico è ancora di carta! Di carta! Voglio un conflitto termonucleare globale qui ora adesso!
Ho una teoria (#76): la scuola italiana è come l'impero romano, non passerà mai all'automazione finché può contare sulla forza bruta degli schiavi (cioè la mia). (Si commenta di là, come sempre).
Il dibattito sulle prove Invalsi che è nato in questi giorni on line (anche su questo blog) contiene decine di spunti interessanti. Io qui mi limito a spiegare meglio una mia perplessità: perché il Ministero continua a usarmi per fare qualcosa che una macchina saprebbe fare molto meglio di me, ovvero "tabulare dei dati" (in pratica, mettere crocette sui pallini)? Di sicuro non mi sono laureato e abilitato per questo, ma lasciamo stare l'aspetto umiliante della questione (che comunque c'è). Siete davvero interessati ai dati delle prove Invalsi? E allora perché li fate inserire da insegnanti – non tutti sessantenni presbiti, certo, ma che non hanno mai fatto una cosa del genere nella loro vita? È chiaro che la percentuale di errori umani sarà altissima. Inutile poi lamentarsi dei boicotaggi...
In realtà l'unica vera utilità di un test a risposta chiusa (che come metodo di valutazione in assoluto lascia molto a desiderare) è che può essere corretta da un meccanismo automatico: i fogli del test dovrebbero essere progettati appositamente per essere inseriti in uno scanner che rileverebbe le risposte del ragazzo, conterebbe gli errori e le risposte giuste e di conseguenza valuterebbe (nel frattempo l'insegnante sarebbe a casa a preparare lezioni più coinvolgenti e creative).
Questi scanner esistono, non sono fantascienza. In molti Paesi vengono adottati senza molti patemi. Su internet è possibile trovare diversi modelli, per l'Iran, per l'Argentina o per Hong Kong. Per l'Italia no, in Italia continuiamo a usare manodopera. Facile capire il perché: non la paghiamo. Però pretendiamo dalla nostra manodopera delle mansioni da robot: vediamo che negli altri paesi usano delle procedure automatizzate e decidiamo di averle anche noi, così è come se costruissimo meccanismi finti e ci nascondessimo dentro dei nanetti che li fanno funzionare (i nanetti saremmo noi, gli insegnanti).
Mi hanno rimproverato la scarsa delicatezza. Non sta bene ricordare che la maggior parte degli insegnanti ha oltrepassato la cinquantina e si trova a disagio a passare le ore a crocettare pallini. Chiedo scusa, ma avete capito cosa sta succedendo? Il ministero, dopo averci terrorizzato minacciando di vincolare il nostro stipendio alle crocette dei nostri ragazzi, dopo averci allontanato per un mattino dall'aula dove i nostri ragazzi fanno le crocette, al pomeriggio ci fa aprire i pacchi delle verifiche e ci dice: a ricopiare sui tabulati le crocette dei vostri ragazzi pensateci voi. Siete proprio sicurissimi che non ci sia qualcosa che non va?
Cambiamo argomento (quasi). Vi ricordate War Games? È quel classico film di cui tutti ricordano la trama ma che nessuno si è più preso la briga di rivedere dal 1984. In particolare ci ricordiamo un po' tutti le stesse cose: la Guerra Termonucleare Globale, i Defcon, il megacomputer che gioca a tris, il soldato che rifiuta di girare la chiavetta, eccetera. Io, forse per devianza professionale, conservo un ricordo abbastanza fulgido di un altro episodio. Dunque all'inizio del film c'è Matthew Broderick a scuola. Il prof gli consegna una verifica che gli è andata male. Lui non fa una piega: con una scusa si fa mandare in presidenza, dove in un cassetto trova la password per il registro scolastico digitale. Con quella password è in grado di cambiarsi i voti da casa (bullandosi anche con la compagna di banco).
Siamo nel 1983, a Seattle. War Games non è un film ambientato nel futuro: a parte il cervellone termonucleare, tutta la tecnologia del film sembra perfettamente inserita nel mondo reale. Voglio dire che non so se nelle scuole americane avessero già i registri su computer nel 1983, ma la cosa sembra abbastanza verosimile. Io stesso ricordo di averlo trovato abbastanza logico quando lo vidi da bambino: sono americani, hanno il Commodore e la Texas Instruments, di sicuro saranno in grado di mettere i voti sul computer invece che su un registro cartaceo. Non ero certo un esperto di informatica, ma i vantaggi di un sistema informatizzato mi sembravano evidenti. Erano gli anni Ottanta. Avevo un Vic20. Otto Kilobyte di memoria fissa. Oggi in casa ho cinquanta o sessanta giga, e una connessione adsl ad alta velocità. Il 70% degli italiani ha un accesso domestico a Internet. Mandare un'e-mail di lavoro, o aggiornare il proprio profilo facebook, è diventata per la maggior parte di noi una prassi quotidiana, che non ci fa sentire abitanti di nessun fanta-futuro: è la nostra vita, è come usare il microonde o il cellulare. Siamo perfettamente integrati in questa nuova società digitale.
Finché non torniamo a scuola, per lavorarci o per incontrare gli insegnanti dei nostri figli. E scopriamo che i prof italiani, nel 2011, a quasi trent'anni da War Games, i voti li mettono ancora a mano su un registro cartaceo. Vi sembra una cosa normale? A me non sembra normale. A me sembra uno degli indizi più impressionanti della crisi della scuola. Fuori è tutto informatizzato da almeno dieci anni, dentro non ci si pone ancora il problema. Eppure i computer a scuola di solito ci sono. A volte sono perfino cablati o connessi via wi-fi. Li usiamo per scaricare la posta. Abbiamo tutti un account di posta elettronica, almeno quello che ci ha dato il ministero. Ci mancherebbe, avere la posta elettronica oggi è il minimo. Avere un registro elettronico no, è ancora fantascienza.
Attenzione, sto parlando di una cosa che si potrebbe fare a costo zero: vai su Google documenti, apri un foglio elettronico, fine. Oltre a non essere così difficile da imparare a maneggiare (noi insegnanti facciamo abitualmente corsi di aggiornamento su argomenti più complessi) un registro elettronico diventa quasi subito più semplice da usare del cartaceo. Però alla fine dell'anno devi consegnare il cartaceo, quindi, chi te lo fa fare?
Cambio argomento di nuovo. Sapete chi è stato a collaudare la prima macchina a vapore? No, non si chiamava Watt. Erone di Alessandria, più o meno contemporaneo di Cristo, progettò un affare che sfruttava sia la forza del vapore, sia il concetto di motore a reazione. Certo, bruciava una quantità spaventosa di legna. Però le idee erano quelle giuste. Eppure non trovarono vere applicazioni per milleseicento anni. Perché? Perché tutto quello che poteva fare la macchina di Erone, gli schiavi riuscivano a farlo con meno spesa. La teoria è che finché una società si basa sulla schiavitù, le macchine rimangano delle curiosità per eruditi o nerd. Così era per l'Egitto in epoca romana e così è oggi per la scuola pubblica in epoca gelminiana. Perché darsi la pena di introdurre registri elettronici o test correggibili a macchina, quando puoi usare migliaia di insegnanti senza pagarli un soldo in più? http://leonardo.blogspot.com
Siamo nel 2011, abbiamo monitor a colori, milioni di colori, anche in 3d, possiamo giocare a tutti i giochi che vogliamo, e il mio fottuto registro scolastico è ancora di carta! Di carta! Voglio un conflitto termonucleare globale qui ora adesso!
Ho una teoria (#76): la scuola italiana è come l'impero romano, non passerà mai all'automazione finché può contare sulla forza bruta degli schiavi (cioè la mia). (Si commenta di là, come sempre).
Il dibattito sulle prove Invalsi che è nato in questi giorni on line (anche su questo blog) contiene decine di spunti interessanti. Io qui mi limito a spiegare meglio una mia perplessità: perché il Ministero continua a usarmi per fare qualcosa che una macchina saprebbe fare molto meglio di me, ovvero "tabulare dei dati" (in pratica, mettere crocette sui pallini)? Di sicuro non mi sono laureato e abilitato per questo, ma lasciamo stare l'aspetto umiliante della questione (che comunque c'è). Siete davvero interessati ai dati delle prove Invalsi? E allora perché li fate inserire da insegnanti – non tutti sessantenni presbiti, certo, ma che non hanno mai fatto una cosa del genere nella loro vita? È chiaro che la percentuale di errori umani sarà altissima. Inutile poi lamentarsi dei boicotaggi...
In realtà l'unica vera utilità di un test a risposta chiusa (che come metodo di valutazione in assoluto lascia molto a desiderare) è che può essere corretta da un meccanismo automatico: i fogli del test dovrebbero essere progettati appositamente per essere inseriti in uno scanner che rileverebbe le risposte del ragazzo, conterebbe gli errori e le risposte giuste e di conseguenza valuterebbe (nel frattempo l'insegnante sarebbe a casa a preparare lezioni più coinvolgenti e creative).
Questi scanner esistono, non sono fantascienza. In molti Paesi vengono adottati senza molti patemi. Su internet è possibile trovare diversi modelli, per l'Iran, per l'Argentina o per Hong Kong. Per l'Italia no, in Italia continuiamo a usare manodopera. Facile capire il perché: non la paghiamo. Però pretendiamo dalla nostra manodopera delle mansioni da robot: vediamo che negli altri paesi usano delle procedure automatizzate e decidiamo di averle anche noi, così è come se costruissimo meccanismi finti e ci nascondessimo dentro dei nanetti che li fanno funzionare (i nanetti saremmo noi, gli insegnanti).
Mi hanno rimproverato la scarsa delicatezza. Non sta bene ricordare che la maggior parte degli insegnanti ha oltrepassato la cinquantina e si trova a disagio a passare le ore a crocettare pallini. Chiedo scusa, ma avete capito cosa sta succedendo? Il ministero, dopo averci terrorizzato minacciando di vincolare il nostro stipendio alle crocette dei nostri ragazzi, dopo averci allontanato per un mattino dall'aula dove i nostri ragazzi fanno le crocette, al pomeriggio ci fa aprire i pacchi delle verifiche e ci dice: a ricopiare sui tabulati le crocette dei vostri ragazzi pensateci voi. Siete proprio sicurissimi che non ci sia qualcosa che non va?
Cambiamo argomento (quasi). Vi ricordate War Games? È quel classico film di cui tutti ricordano la trama ma che nessuno si è più preso la briga di rivedere dal 1984. In particolare ci ricordiamo un po' tutti le stesse cose: la Guerra Termonucleare Globale, i Defcon, il megacomputer che gioca a tris, il soldato che rifiuta di girare la chiavetta, eccetera. Io, forse per devianza professionale, conservo un ricordo abbastanza fulgido di un altro episodio. Dunque all'inizio del film c'è Matthew Broderick a scuola. Il prof gli consegna una verifica che gli è andata male. Lui non fa una piega: con una scusa si fa mandare in presidenza, dove in un cassetto trova la password per il registro scolastico digitale. Con quella password è in grado di cambiarsi i voti da casa (bullandosi anche con la compagna di banco).
Siamo nel 1983, a Seattle. War Games non è un film ambientato nel futuro: a parte il cervellone termonucleare, tutta la tecnologia del film sembra perfettamente inserita nel mondo reale. Voglio dire che non so se nelle scuole americane avessero già i registri su computer nel 1983, ma la cosa sembra abbastanza verosimile. Io stesso ricordo di averlo trovato abbastanza logico quando lo vidi da bambino: sono americani, hanno il Commodore e la Texas Instruments, di sicuro saranno in grado di mettere i voti sul computer invece che su un registro cartaceo. Non ero certo un esperto di informatica, ma i vantaggi di un sistema informatizzato mi sembravano evidenti. Erano gli anni Ottanta. Avevo un Vic20. Otto Kilobyte di memoria fissa. Oggi in casa ho cinquanta o sessanta giga, e una connessione adsl ad alta velocità. Il 70% degli italiani ha un accesso domestico a Internet. Mandare un'e-mail di lavoro, o aggiornare il proprio profilo facebook, è diventata per la maggior parte di noi una prassi quotidiana, che non ci fa sentire abitanti di nessun fanta-futuro: è la nostra vita, è come usare il microonde o il cellulare. Siamo perfettamente integrati in questa nuova società digitale.
Finché non torniamo a scuola, per lavorarci o per incontrare gli insegnanti dei nostri figli. E scopriamo che i prof italiani, nel 2011, a quasi trent'anni da War Games, i voti li mettono ancora a mano su un registro cartaceo. Vi sembra una cosa normale? A me non sembra normale. A me sembra uno degli indizi più impressionanti della crisi della scuola. Fuori è tutto informatizzato da almeno dieci anni, dentro non ci si pone ancora il problema. Eppure i computer a scuola di solito ci sono. A volte sono perfino cablati o connessi via wi-fi. Li usiamo per scaricare la posta. Abbiamo tutti un account di posta elettronica, almeno quello che ci ha dato il ministero. Ci mancherebbe, avere la posta elettronica oggi è il minimo. Avere un registro elettronico no, è ancora fantascienza.
Attenzione, sto parlando di una cosa che si potrebbe fare a costo zero: vai su Google documenti, apri un foglio elettronico, fine. Oltre a non essere così difficile da imparare a maneggiare (noi insegnanti facciamo abitualmente corsi di aggiornamento su argomenti più complessi) un registro elettronico diventa quasi subito più semplice da usare del cartaceo. Però alla fine dell'anno devi consegnare il cartaceo, quindi, chi te lo fa fare?
Cambio argomento di nuovo. Sapete chi è stato a collaudare la prima macchina a vapore? No, non si chiamava Watt. Erone di Alessandria, più o meno contemporaneo di Cristo, progettò un affare che sfruttava sia la forza del vapore, sia il concetto di motore a reazione. Certo, bruciava una quantità spaventosa di legna. Però le idee erano quelle giuste. Eppure non trovarono vere applicazioni per milleseicento anni. Perché? Perché tutto quello che poteva fare la macchina di Erone, gli schiavi riuscivano a farlo con meno spesa. La teoria è che finché una società si basa sulla schiavitù, le macchine rimangano delle curiosità per eruditi o nerd. Così era per l'Egitto in epoca romana e così è oggi per la scuola pubblica in epoca gelminiana. Perché darsi la pena di introdurre registri elettronici o test correggibili a macchina, quando puoi usare migliaia di insegnanti senza pagarli un soldo in più? http://leonardo.blogspot.com
lunedì 16 maggio 2011
Non siamo malati
Chi è tuo fratello
“Allora, come l'hai trovato tuo fratello?”
“Peloso”.
...
“Uh, sì, comincia a mettere qualche pelo sotto il naso, è l'età...”
“Verranno anche a me dei peli così?”
“Può darsi, ma non ti devi preoccupare”.
“Quando mi vengono me li posso togliere?”
“Certo”.
...
“E lui perché non se li toglie?”
“Credo che abbia scelto di tenerseli”.
“Ma è brutto”.
“Non è brutto. È tuo fratello. Sta crescendo e ci tiene molto a mostrarlo. Magari tra qualche mese non si piacerà più e se li taglierà”.
“Allora può fare quello che vuole?”
“Con i peli che ha sotto il naso? Certo. Sono suoi”.
“Ma se può fare quello che vuole, perché non torna a casa con noi?”
“Tesoro, ne abbiamo parlato già. Tuo fratello non può vivere con noi. Non avrebbe abbastanza posto”.
“Poteva stare nella mia camera, come quando io ero piccolo”.
“Ma adesso tu non sei più piccolo, hai bisogno di più spazio, e anche tuo fratello ne ha bisogno. Ne abbiamo già parlato. Le persone come tuo fratello non possono dormire nelle stanze con gli altri bambini”.
“Perché diventano cattivi?”
“Ma no... non diventano cattivi. Chi ti dice queste cose”.
“Salima97 dice che mio fratello quando vede la luna diventa un lupo e morde la gente, ma io non ci credo tanto”.
“Fai bene, perché non è vero. Tuo fratello non diventa un lupo”.
“E allora perché non può venire a casa con noi? È malato?”
“Non è ammalato. Tuo fratello sta benissimo. Ma è un maschio. Non c'è niente di male. Però non può stare con noi”.
“Ma cos'è un maschio, mamma?”
“Ti ricordi quando abbiamo preso l'aeromobile e siamo andati in campagna, a vedere la stalla?”
“Sì”.
“Ti ricordi gli animali?”
“C'erano le oche, le anatre, i maiali, le galline, un cane e poi tutti gli animali con le corna”.
“Ecco. Ti ricordi come si chiamano gli animali con le corna?”
“Quando sono piccoli sono tutti vitelli, e poi mettono le corna e diventano: mucche, buoi e tori”.
“E che differenza c'è?”
“Le mucche sono le femmine, fanno i vitelli e gli danno il latte”.
“E i buoi?”
“I buoi sono neutri, sono buoni da mangiare e abbastanza forti per trainare i carretti. Però adesso invece dei buoi si usano i trattori a idrogeno”.
“Invece i tori...”
“I tori sono i maschi, sono forti ma non trainano i carretti perché sono cattivi, e mettono incinte le femmine”.
“Ti ricordi quante mucche hai visto nella stalla?”
“Quindici”
“E quanti buoi?”
“Dieci”.
“E i tori?”
“C'era un solo toro ma ce l'hanno fatto vedere da lontano”.
“Ecco”.
“Perché il signore ci ha detto che il toro era cattivo, crede che le mucche siano solo sue e aveva paura che noi gliele portavano via”.
“Ed è la sua natura, capisci? Il toro non ci può far niente. È fatto così”.
“E anche mio fratello è fatto così?”
“Lo conosci tuo fratello. È sempre lui, anche se sta mettendo i baffi. È simpatico, ti vuole bene, ti fa fare le capriole, però è un maschio. Se lo metti in mezzo alle altre persone, diventa nervoso, capisci? Pensa al toro. Cosa succede se vede una femmina?”
“Se un toro vede una femmina, pensa che è sua”.
“E se vede un maschio?”
“Pensa che è venuto a rubargli le femmine”.
“Ecco”.
“Ma mio fratello non è mica stupido così”.
“Tesoro, non è una questione di intelligenza. È una questione di istinto, capisci”.
“Cos'è l'istinto?”
“L'istinto è... quello che tutte le creature sanno fare senza che nessuno glielo spieghi. Per esempio, io sono la tua mamma. Nessuno mi ha insegnato come si fa, anche se tanti mi hanno dato dei consigli. Io ti vorrò sempre bene e cercherò sempre di difenderti, perché me lo dice l'istinto. Tuo fratello, invece, sta cominciando a guardare le ragazze”.
“Le ragazze sono stupide”.
“È l'istinto che lo guida. Non sarà contento finché non avrà trovato una ragazza con cui stare, e quando ne avrà trovata una si stancherà e ne cercherà un'altra, e così via. A te può sembrare strano, ma per lui è normalissimo”.
“Ma allora è vero che è cattivo?”
“Sei stato con lui tutta la giornata: ti è sembrato cattivo?”
“No, a me sembra sempre mio fratello”.
“Ecco. E sarà sempre tuo fratello. E ti vorrà sempre bene. L'importante è tenerlo lontano dagli altri maschi”.
“Perché gli altri maschi gli fanno paura?”
“Non è paura. È un istinto di competizione. Quando stanno assieme, i maschi sempre la lotta per decidere chi è il più forte”.
“Ma che senso ha?”
“Non ha nessun senso per te, ma per i maschi serve a decidere chi va con le ragazze”.
“Ma non possono andare tutti con ragazze diverse?”
“Adesso sì, perché di maschi ce ne sono pochi”.
“Una volta non era così?”
“No, una volta c'erano tanti maschi quanti femmine, e i neutri come te non esistevano”.
“E come facevate con così tanti maschi?”
“Eh, come facevamo... evidentemente le cose non andavano tanto bene. I maschi iniziavano a farsi la lotta da ragazzini e poi continuavano per tutta la vita. E siccome erano tanti, comandavano loro e facevano fare la lotta anche a noi femmine”.
“Comandavano loro?”
“Facevano i presidenti, i giudici, i poliziotti, i soldati... tutti i lavori più pericolosi”.
“Ma dai mamma, scusa, come faceva un maschio a fare il presidente?”
“Te l'ho detto, era un grosso problema. Infatti scoppiavano continuamente delle guerre”.
“Cos'è una guerra?”
“Una guerra è quando tutti i maschi di una nazione attaccavano i maschi di un'altra nazione, con le armi”.
“E perché dovevano fare una cosa del genere?”
“Tesoro, per milioni di motivi... però col tempo ci siamo resi conto che il motivo principale era l'istinto, appunto. I maschi si fanno la lotta fra loro: sono fatti così. L'unico sistema era... farne molti di meno, e tenerli separati dal resto della società”.
“Ma anche le donne si fanno la lotta”.
“Sì, tesoro, non siamo mica delle sante. Ma noi di solito lottiamo per difendere la nostra tana, la casa, la famiglia. I maschi invece, quando comandavano, erano molto più violenti e distruttivi. Ed erano sempre insoddisfatti, capisci? Perfino quelli più importanti... i presidenti, i colonnelli, i direttori delle banche mondiali... persino all'apice del loro potere, continuavano a dare la caccia alle donne, come dei selvaggi. Noi donne per molto tempo abbiamo pensato che fossero malati. Poi abbiamo capito che non era una malattia: erano semplicemente troppi. E così abbiamo deciso di farne meno”.
“Cos'è una banca mondiale?”
“Adesso un maschio come tuo fratello vive in un collegio. L'anno prossimo sarà considerato maturo e gli sarà assegnata una circoscrizione che contiene più o meno un centinaio di femmine di ogni razza ed età. Tutto quello che gli serve per essere felice senza diventare cattivo e senza fare la guerra a nessuno”.
“Ma come avete fatto a fare meno maschi?”
“Ti ricordi due anni fa, quando sei stato all'ospedale?”
“Sì, che sono stato in vacanza per una settimana e siamo stati anche a disneyland”.
“Ecco. Ti ricordi cosa ti hanno tolto all'ospedale?”
“Le palline”.
“Ecco. Se te le avessimo lasciate saresti diventato un maschio, come tuo fratello, e tra qualche anno avresti messo i peli come lui”.
“Che schifo!”
“Ma no, non sta così male”.
“Però non mi sarebbero piaciute le femmine!”
“Probabilmente sì”.
“Ma solo per via di due palline? Se uno ce le ha corre dietro alle femmine e se non ce le ha non gli interessano? Non ha senso”.
“Non deve avere senso, tesoro. È la natura”.
“Ma perché invece a mio fratello gliele hai lasciate? Non lo volevi tenere?”
“Tesoro no, come puoi dire una cosa del genere! Non sono stata io a scegliere. Quando siete piccoli, in ospedale vi fanno tutta una serie di esami. In base a questi esami tuo fratello è risultato più adatto a fare il maschio. Io nei primi anni non ero tanto convinta, sai. Ma poi sono rimasta incinta di te e ho pensato che forse era un segno”.
“Mamma, scusa, ma chi ti ha messo incinta?”
“Non lo conosci. Era il maschio della nostra circoscrizione, è andato in pensione cinque anni fa. Hai il suo naso”.
“E questo signore quindi... è mio padre?”
“Dove hai sentito questa parola?”
“Allora, come l'hai trovato tuo fratello?”
“Peloso”.
...
“Uh, sì, comincia a mettere qualche pelo sotto il naso, è l'età...”
“Verranno anche a me dei peli così?”
“Può darsi, ma non ti devi preoccupare”.
“Quando mi vengono me li posso togliere?”
“Certo”.
...
“E lui perché non se li toglie?”
“Credo che abbia scelto di tenerseli”.
“Ma è brutto”.
“Non è brutto. È tuo fratello. Sta crescendo e ci tiene molto a mostrarlo. Magari tra qualche mese non si piacerà più e se li taglierà”.
“Allora può fare quello che vuole?”
“Con i peli che ha sotto il naso? Certo. Sono suoi”.
“Ma se può fare quello che vuole, perché non torna a casa con noi?”
“Tesoro, ne abbiamo parlato già. Tuo fratello non può vivere con noi. Non avrebbe abbastanza posto”.
“Poteva stare nella mia camera, come quando io ero piccolo”.
“Ma adesso tu non sei più piccolo, hai bisogno di più spazio, e anche tuo fratello ne ha bisogno. Ne abbiamo già parlato. Le persone come tuo fratello non possono dormire nelle stanze con gli altri bambini”.
“Perché diventano cattivi?”
“Ma no... non diventano cattivi. Chi ti dice queste cose”.
“Salima97 dice che mio fratello quando vede la luna diventa un lupo e morde la gente, ma io non ci credo tanto”.
“Fai bene, perché non è vero. Tuo fratello non diventa un lupo”.
“E allora perché non può venire a casa con noi? È malato?”
“Non è ammalato. Tuo fratello sta benissimo. Ma è un maschio. Non c'è niente di male. Però non può stare con noi”.
“Ma cos'è un maschio, mamma?”
“Ti ricordi quando abbiamo preso l'aeromobile e siamo andati in campagna, a vedere la stalla?”
“Sì”.
“Ti ricordi gli animali?”
“C'erano le oche, le anatre, i maiali, le galline, un cane e poi tutti gli animali con le corna”.
“Ecco. Ti ricordi come si chiamano gli animali con le corna?”
“Quando sono piccoli sono tutti vitelli, e poi mettono le corna e diventano: mucche, buoi e tori”.
“E che differenza c'è?”
“Le mucche sono le femmine, fanno i vitelli e gli danno il latte”.
“E i buoi?”
“I buoi sono neutri, sono buoni da mangiare e abbastanza forti per trainare i carretti. Però adesso invece dei buoi si usano i trattori a idrogeno”.
“Invece i tori...”
“I tori sono i maschi, sono forti ma non trainano i carretti perché sono cattivi, e mettono incinte le femmine”.
“Ti ricordi quante mucche hai visto nella stalla?”
“Quindici”
“E quanti buoi?”
“Dieci”.
“E i tori?”
“C'era un solo toro ma ce l'hanno fatto vedere da lontano”.
“Ecco”.
“Perché il signore ci ha detto che il toro era cattivo, crede che le mucche siano solo sue e aveva paura che noi gliele portavano via”.
“Ed è la sua natura, capisci? Il toro non ci può far niente. È fatto così”.
“E anche mio fratello è fatto così?”
“Lo conosci tuo fratello. È sempre lui, anche se sta mettendo i baffi. È simpatico, ti vuole bene, ti fa fare le capriole, però è un maschio. Se lo metti in mezzo alle altre persone, diventa nervoso, capisci? Pensa al toro. Cosa succede se vede una femmina?”
“Se un toro vede una femmina, pensa che è sua”.
“E se vede un maschio?”
“Pensa che è venuto a rubargli le femmine”.
“Ecco”.
“Ma mio fratello non è mica stupido così”.
“Tesoro, non è una questione di intelligenza. È una questione di istinto, capisci”.
“Cos'è l'istinto?”
“L'istinto è... quello che tutte le creature sanno fare senza che nessuno glielo spieghi. Per esempio, io sono la tua mamma. Nessuno mi ha insegnato come si fa, anche se tanti mi hanno dato dei consigli. Io ti vorrò sempre bene e cercherò sempre di difenderti, perché me lo dice l'istinto. Tuo fratello, invece, sta cominciando a guardare le ragazze”.
“Le ragazze sono stupide”.
“È l'istinto che lo guida. Non sarà contento finché non avrà trovato una ragazza con cui stare, e quando ne avrà trovata una si stancherà e ne cercherà un'altra, e così via. A te può sembrare strano, ma per lui è normalissimo”.
“Ma allora è vero che è cattivo?”
“Sei stato con lui tutta la giornata: ti è sembrato cattivo?”
“No, a me sembra sempre mio fratello”.
“Ecco. E sarà sempre tuo fratello. E ti vorrà sempre bene. L'importante è tenerlo lontano dagli altri maschi”.
“Perché gli altri maschi gli fanno paura?”
“Non è paura. È un istinto di competizione. Quando stanno assieme, i maschi sempre la lotta per decidere chi è il più forte”.
“Ma che senso ha?”
“Non ha nessun senso per te, ma per i maschi serve a decidere chi va con le ragazze”.
“Ma non possono andare tutti con ragazze diverse?”
“Adesso sì, perché di maschi ce ne sono pochi”.
“Una volta non era così?”
“No, una volta c'erano tanti maschi quanti femmine, e i neutri come te non esistevano”.
“E come facevate con così tanti maschi?”
“Eh, come facevamo... evidentemente le cose non andavano tanto bene. I maschi iniziavano a farsi la lotta da ragazzini e poi continuavano per tutta la vita. E siccome erano tanti, comandavano loro e facevano fare la lotta anche a noi femmine”.
“Comandavano loro?”
“Facevano i presidenti, i giudici, i poliziotti, i soldati... tutti i lavori più pericolosi”.
“Ma dai mamma, scusa, come faceva un maschio a fare il presidente?”
“Te l'ho detto, era un grosso problema. Infatti scoppiavano continuamente delle guerre”.
“Cos'è una guerra?”
“Una guerra è quando tutti i maschi di una nazione attaccavano i maschi di un'altra nazione, con le armi”.
“E perché dovevano fare una cosa del genere?”
“Tesoro, per milioni di motivi... però col tempo ci siamo resi conto che il motivo principale era l'istinto, appunto. I maschi si fanno la lotta fra loro: sono fatti così. L'unico sistema era... farne molti di meno, e tenerli separati dal resto della società”.
“Ma anche le donne si fanno la lotta”.
“Sì, tesoro, non siamo mica delle sante. Ma noi di solito lottiamo per difendere la nostra tana, la casa, la famiglia. I maschi invece, quando comandavano, erano molto più violenti e distruttivi. Ed erano sempre insoddisfatti, capisci? Perfino quelli più importanti... i presidenti, i colonnelli, i direttori delle banche mondiali... persino all'apice del loro potere, continuavano a dare la caccia alle donne, come dei selvaggi. Noi donne per molto tempo abbiamo pensato che fossero malati. Poi abbiamo capito che non era una malattia: erano semplicemente troppi. E così abbiamo deciso di farne meno”.
“Cos'è una banca mondiale?”
“Adesso un maschio come tuo fratello vive in un collegio. L'anno prossimo sarà considerato maturo e gli sarà assegnata una circoscrizione che contiene più o meno un centinaio di femmine di ogni razza ed età. Tutto quello che gli serve per essere felice senza diventare cattivo e senza fare la guerra a nessuno”.
“Ma come avete fatto a fare meno maschi?”
“Ti ricordi due anni fa, quando sei stato all'ospedale?”
“Sì, che sono stato in vacanza per una settimana e siamo stati anche a disneyland”.
“Ecco. Ti ricordi cosa ti hanno tolto all'ospedale?”
“Le palline”.
“Ecco. Se te le avessimo lasciate saresti diventato un maschio, come tuo fratello, e tra qualche anno avresti messo i peli come lui”.
“Che schifo!”
“Ma no, non sta così male”.
“Però non mi sarebbero piaciute le femmine!”
“Probabilmente sì”.
“Ma solo per via di due palline? Se uno ce le ha corre dietro alle femmine e se non ce le ha non gli interessano? Non ha senso”.
“Non deve avere senso, tesoro. È la natura”.
“Ma perché invece a mio fratello gliele hai lasciate? Non lo volevi tenere?”
“Tesoro no, come puoi dire una cosa del genere! Non sono stata io a scegliere. Quando siete piccoli, in ospedale vi fanno tutta una serie di esami. In base a questi esami tuo fratello è risultato più adatto a fare il maschio. Io nei primi anni non ero tanto convinta, sai. Ma poi sono rimasta incinta di te e ho pensato che forse era un segno”.
“Mamma, scusa, ma chi ti ha messo incinta?”
“Non lo conosci. Era il maschio della nostra circoscrizione, è andato in pensione cinque anni fa. Hai il suo naso”.
“E questo signore quindi... è mio padre?”
“Dove hai sentito questa parola?”
sabato 14 maggio 2011
Non amo che i test che non Invalsi
Si riparla di test Invalsi (rassegnatevi, ne riparleremo tante altre volte). Avete mai pensato a quanto siano umilianti? Non per gli insegnanti, quelli ormai sono soltanto automi che crocettano pallini. Ma gli studenti? Mettetevi nei panni di un quindicenne, provate a rispondere a questo quesito:
Non vi sentite umiliati? Boh, a quanto pare dovreste. Cosa mi piace e cosa mi dispiace dei test Invalsi (H1t#75) è sull'Unità, e si litiga, pardon, si commenta laggiù.
A me (come insegnante) le prove Invalsi piacciono e dispiacciono, per diversi motivi, che non sono quelli che leggo un po' dappertutto.
I test mi dispiacciono perché mi umiliano; non è tanto il fatto che non mi paghino due pomeriggi della mia vita (in cui probabilmente sarei a casa a correggere altre cose); è il fatto che quei due pomeriggi io li passi mettendo crocette nei cerchietti con la bic nera. Non dico che sarebbe capace qualsiasi scimmia, però uno scanner di sicuro sì, uno scanner lo farebbe più rapidamente e meglio di me – in effetti la scheda meccanografica serve esattamente per questo, è organizzata in cerchietti proprio per essere più facilmente riempita e digerita da un meccanismo. Ma la riempio io. Mi sento come il bue da traino a cui attaccano un'automobile, e il padrone dice che è tutto ok, è il progresso. E mi va bene che sono ancora nel fiore degli anni; ma vogliamo parlare delle mie care colleghe che vanno per la sessantina e devono passare due pomeriggi a crocettare dei pallini? Date le premesse, mi fa quasi tenerezza chi in questi giorni parla di boicottaggio dei prof o degli studenti. Il vero boicottaggio dell'Invalsi lo sta praticando il Ministero della Pubblica Istruzione, che invece di dare ai suoi dipendenti uno straccio di motivazione, ci precetta e pretende di usarci come scimmie ammaestrate – senza nemmeno offrirci le noccioline. Il ragazzo più preparato del mondo può riempire di crocette giuste il test Invalsi meglio preparato del mondo: poi entra in campo la prof iper-presbite, sbaglia una crocetta su due, ed ecco che i risultati della prova Invalsi non ci dicono più nulla di interessante. Ma perché non usiamo gli scanner?
Perché costano. Neanche tanto, probabilmente. Ma precettare gli insegnanti invece costa, al Ministero, un totale di euro zero. Un bel risparmio, che consentirà al Ministro di pagare ancor più profumatamente un sacco di studiosi della valutazione per distillare informazioni da tutti i cerchietti che abbiamo crocettato male.
Eppure malgrado tutto i test mi piacciono, perché sono prove di comprensione, e secondo me ne abbiamo un grande bisogno. In Italia diamo ancora molta importanza alla produzione scritta: sin dalle elementari pretendiamo di valutare i ragazzi da quel che scrivono, più che da quello che riescono a comprendere. Per una singolare coincidenza, siamo anche uno dei Paesi occidentali dove gli adulti leggono meno (ma scrivono di più). Abbiamo più romanzi inediti nei cassetti che aperti sul comodino. Ora io non voglio dire che la produzione scritta non sia importante. Ma più passo tempo in classe più mi rafforzo nell'idea che il primo problema dei ragazzi non sia scrivere, ma capire. Quando cominciano a capire, cominciano a leggere sul serio. Quando cominciano a leggere sul serio, di colpo scrivono molto meglio. Ah, e migliorano anche in grammatica.
Perciò secondo me i test di comprensione non vanno sottovalutati: anche quelli a crocette, sì. Non sono sempre telequiz; se sono ben fatti, ci permettono di scoprire se il ragazzo capisce davvero quello che sta leggendo. Una cosa che cominciamo a dare per scontata in seconda elementare – e invece no, non è affatto scontata. Il test può essere una doccia fredda per il docente. Non è purtroppo il caso di questi test Invalsi, che si limitano a usare il docente come scimmia ammaestrata male – per tutto un pomeriggio passato a crocettare cerchietti non ho mai avuto modo di scoprire se le risposte dei miei ragazzi fossero giuste o sbagliate.
Dunque: ben vengano i test di comprensione. Che non sono poi nulla di particolarmente nuovo: si usano da sempre per la valutazione delle lingue straniere (ebbene sì: dobbiamo accettare l'idea che per gli studenti di oggi, irradiati sin dalla più tenera età da media più visivi che scritti, imparare a leggere nella propria lingua non sia molto diverso dall'apprendimento di una lingua straniera). E in ogni caso test di comprensione se ne sono sempre fatti: le antologie scolastiche della vostra adolescenza erano piene di domande, e c'era persino qualche casella da barrare.
Molti che in questi giorni scelgono di parlare di scuola se ne sono semplicemente dimenticati: il professor Ricolfi sfoglia un manualetto per la risoluzione dei test e tra gli esercizi scopre orripilato che si tratta di interpretare “un testo di previsioni atmosferiche” e “usare una pianta di Roma per andare a un concerto allo stadio Flaminio, e simili amenità forse umilianti per un ragazzo di quindici anni”. “C’è da restare raccapricciati”, lamenta dal canto suo il professor Giorgio Israel: "Un insegnante della secondaria superiore dovrebbe smettere di insegnare la letteratura italiana, per insegnare a leggere le istruzioni di un piano di evacuazione della scuola in caso di calamità naturale, a individuare le informazioni nel dépliant di una mostra, o a saper leggere una tabella di previsioni del tempo”.
Non so che quindicenni frequentino Israel e Ricolfi: magari sono abituati a discettare di letteratura italiana delle origini con somma competenza: in ogni caso siamo sicuri che siano in grado di leggere davvero una previsione meteo? Che sappiano usare una cartina di Roma? Sono competenze che, certo, non sostituiranno mai “la ricchezza lessicale, la finezza argomentativa” (sempre Ricolfi) eccetera eccetera: però sono pur sempre competenze che il mercato del lavoro richiede, che tutti danno per scontate e che no, oggi non sono affatto scontate. Soprattutto, ha senso intestardirsi a insegnare la fondamentale letteratura italiana a chi forse non ha ancora capito come si legge una previsione meteo? Perché io ho il tremendo sospetto che a molti quindicenni di oggi a cui chiediamo pareri personali e articolati su Pirandello o Manzoni (tutta roba facilmente raccattabile tra wikipedia e yahoo answers, comunque) non sappiano davvero usare le cartine e non capiscano un manuale di evacuazione in formato testuale: spero ovviamente di sbagliarmi; non vedo l'ora che un test su base nazionale mi dia torto. http://leonardo.blogspot.com
Non vi sentite umiliati? Boh, a quanto pare dovreste. Cosa mi piace e cosa mi dispiace dei test Invalsi (H1t#75) è sull'Unità, e si litiga, pardon, si commenta laggiù.
A me (come insegnante) le prove Invalsi piacciono e dispiacciono, per diversi motivi, che non sono quelli che leggo un po' dappertutto.
I test mi dispiacciono perché mi umiliano; non è tanto il fatto che non mi paghino due pomeriggi della mia vita (in cui probabilmente sarei a casa a correggere altre cose); è il fatto che quei due pomeriggi io li passi mettendo crocette nei cerchietti con la bic nera. Non dico che sarebbe capace qualsiasi scimmia, però uno scanner di sicuro sì, uno scanner lo farebbe più rapidamente e meglio di me – in effetti la scheda meccanografica serve esattamente per questo, è organizzata in cerchietti proprio per essere più facilmente riempita e digerita da un meccanismo. Ma la riempio io. Mi sento come il bue da traino a cui attaccano un'automobile, e il padrone dice che è tutto ok, è il progresso. E mi va bene che sono ancora nel fiore degli anni; ma vogliamo parlare delle mie care colleghe che vanno per la sessantina e devono passare due pomeriggi a crocettare dei pallini? Date le premesse, mi fa quasi tenerezza chi in questi giorni parla di boicottaggio dei prof o degli studenti. Il vero boicottaggio dell'Invalsi lo sta praticando il Ministero della Pubblica Istruzione, che invece di dare ai suoi dipendenti uno straccio di motivazione, ci precetta e pretende di usarci come scimmie ammaestrate – senza nemmeno offrirci le noccioline. Il ragazzo più preparato del mondo può riempire di crocette giuste il test Invalsi meglio preparato del mondo: poi entra in campo la prof iper-presbite, sbaglia una crocetta su due, ed ecco che i risultati della prova Invalsi non ci dicono più nulla di interessante. Ma perché non usiamo gli scanner?
Perché costano. Neanche tanto, probabilmente. Ma precettare gli insegnanti invece costa, al Ministero, un totale di euro zero. Un bel risparmio, che consentirà al Ministro di pagare ancor più profumatamente un sacco di studiosi della valutazione per distillare informazioni da tutti i cerchietti che abbiamo crocettato male.
Eppure malgrado tutto i test mi piacciono, perché sono prove di comprensione, e secondo me ne abbiamo un grande bisogno. In Italia diamo ancora molta importanza alla produzione scritta: sin dalle elementari pretendiamo di valutare i ragazzi da quel che scrivono, più che da quello che riescono a comprendere. Per una singolare coincidenza, siamo anche uno dei Paesi occidentali dove gli adulti leggono meno (ma scrivono di più). Abbiamo più romanzi inediti nei cassetti che aperti sul comodino. Ora io non voglio dire che la produzione scritta non sia importante. Ma più passo tempo in classe più mi rafforzo nell'idea che il primo problema dei ragazzi non sia scrivere, ma capire. Quando cominciano a capire, cominciano a leggere sul serio. Quando cominciano a leggere sul serio, di colpo scrivono molto meglio. Ah, e migliorano anche in grammatica.
Perciò secondo me i test di comprensione non vanno sottovalutati: anche quelli a crocette, sì. Non sono sempre telequiz; se sono ben fatti, ci permettono di scoprire se il ragazzo capisce davvero quello che sta leggendo. Una cosa che cominciamo a dare per scontata in seconda elementare – e invece no, non è affatto scontata. Il test può essere una doccia fredda per il docente. Non è purtroppo il caso di questi test Invalsi, che si limitano a usare il docente come scimmia ammaestrata male – per tutto un pomeriggio passato a crocettare cerchietti non ho mai avuto modo di scoprire se le risposte dei miei ragazzi fossero giuste o sbagliate.
Dunque: ben vengano i test di comprensione. Che non sono poi nulla di particolarmente nuovo: si usano da sempre per la valutazione delle lingue straniere (ebbene sì: dobbiamo accettare l'idea che per gli studenti di oggi, irradiati sin dalla più tenera età da media più visivi che scritti, imparare a leggere nella propria lingua non sia molto diverso dall'apprendimento di una lingua straniera). E in ogni caso test di comprensione se ne sono sempre fatti: le antologie scolastiche della vostra adolescenza erano piene di domande, e c'era persino qualche casella da barrare.
Molti che in questi giorni scelgono di parlare di scuola se ne sono semplicemente dimenticati: il professor Ricolfi sfoglia un manualetto per la risoluzione dei test e tra gli esercizi scopre orripilato che si tratta di interpretare “un testo di previsioni atmosferiche” e “usare una pianta di Roma per andare a un concerto allo stadio Flaminio, e simili amenità forse umilianti per un ragazzo di quindici anni”. “C’è da restare raccapricciati”, lamenta dal canto suo il professor Giorgio Israel: "Un insegnante della secondaria superiore dovrebbe smettere di insegnare la letteratura italiana, per insegnare a leggere le istruzioni di un piano di evacuazione della scuola in caso di calamità naturale, a individuare le informazioni nel dépliant di una mostra, o a saper leggere una tabella di previsioni del tempo”.
Non so che quindicenni frequentino Israel e Ricolfi: magari sono abituati a discettare di letteratura italiana delle origini con somma competenza: in ogni caso siamo sicuri che siano in grado di leggere davvero una previsione meteo? Che sappiano usare una cartina di Roma? Sono competenze che, certo, non sostituiranno mai “la ricchezza lessicale, la finezza argomentativa” (sempre Ricolfi) eccetera eccetera: però sono pur sempre competenze che il mercato del lavoro richiede, che tutti danno per scontate e che no, oggi non sono affatto scontate. Soprattutto, ha senso intestardirsi a insegnare la fondamentale letteratura italiana a chi forse non ha ancora capito come si legge una previsione meteo? Perché io ho il tremendo sospetto che a molti quindicenni di oggi a cui chiediamo pareri personali e articolati su Pirandello o Manzoni (tutta roba facilmente raccattabile tra wikipedia e yahoo answers, comunque) non sappiano davvero usare le cartine e non capiscano un manuale di evacuazione in formato testuale: spero ovviamente di sbagliarmi; non vedo l'ora che un test su base nazionale mi dia torto. http://leonardo.blogspot.com
Meno male che Lui c'è
Mandiamo giù anche questa
- La redazione di Leonardo, che non ha più niente da perdere, è entrata in possesso di un documento sconvolgente: il verbale di una riunione della direzione di un partito di centrosinistra a caso, svoltasi a porte chiuse nel dicembre scorso.
“Dunque, Piergigi c'è, Max c'è, Enrico, Valter, Rosi, Dario... voialtri ci siete tutti quanti... Cominciamo?”
“Allora, signori e signore, anzi, posso dirlo? Siamo a porte chiuse, dopotutto”
“E diccelo, dai, se ti fa stare meglio:”
“Compagni e compagne”.
“Uuuuuh”.
“Fa un certo effetto, eh?”
“Ho i brividi”.
“Guarda, guarda la Rosi com'è tutta rossa”.
“Ehi Rosi, questa al padre confessore è meglio se non la racconti, eh”.
“Fatela finita. Compagni, compagne, ho voluto convocarvi a porte chiuse perché la situazione è, per certi versi, incredibile. Come sapete negli ultimi mesi abbiamo commissionato dei sondaggi segreti, per capire quale sarebbe stato l'esito di eventuali elezioni politiche anticipate in primavera. Ebbene, sign... compagni, è chiaro che i sondaggi vadano presi con le molle, eppure...”
“Il porco a quanto lo danno?”
“Tra il venti e il trenta per cento”.
“E i leghisti?”
“Coi leghisti”.
“Impossibile”.
“Pure è così. C'è un enorme astensionismo, un travaso sensibile su Fini, ma noi comunque stiamo tra il cinquantacinque e il sessanta. Signori, in primavera vinciamo facile”.
“Un attimo. Forse vale la pena ricontroll...”
“Max insomma datti pace, abbiamo già commissionato quattro sondaggi in tre settimane, e ogni volta quello là perde punti e noi ne guadagniamo. Sembra proprio che il bunga bunga non gli stia giovando”.
“Ma chi l'avrebbe detto”.
“Quindi noi lo batteremo. Proprio noi. Finiremo sui libri come quelli che hanno sconfitto Berlusconi”.
“Ma è vera gloria? In realtà si è sconfitto da solo. Voglio dire, ce lo meritiamo?”
“E chi se ne frega – scusa Rosi – ne discuteranno gli storici, adesso è ora di bere, direbbe Orazio, mi sono infatti permesso di mettere in fresco un lambrusco millesimato che...”
“Il lambrusco non si millesima, Gesù”.
“Massimo ma lo so, diobono, era per scherzare, e ridi un po' anche tu, no? È andata. Vinceremo”.
“Va bene, dai, stappiamo!”
“Rosi non far finta, perdio, non dire che sei anche astemia”.
“Cin-cin”.
“A chi brindiamo?”
“Ma è ovvio, alla più bella classe dirigente di questo Paese!”
“A noi!”
“Quello non si può dire”.
“Va bene, allora all'Italia!”
“All'Italia!”
“Signori, sentite, dopo che avremo finito coi festeggiamenti, ci sarebbe un altro punto all'ordine del giorno”.
“Sì, mi sono scordato, cos'era?”
“Gheddafi”.
“Gheddafi, già, ma è davvero così importante?”
“Beh, se Berlusconi cade – e dovrebbe cadere quando, il tredici, no?”
“No, la fiducia è il quattordici”.
“Bene, diciamo che il 14 dicembre Berlusconi cade...
“A proposito, il governo di transizione chi lo forma?”
“Già, a Palazzo Chigi chi ci mandiamo, ci avete pensato? Max, tu no, eh?”
“No no, io ho già dato”.
“Forse sarebbe meglio mandare avanti Casini, o un finiano, o un rutelliano...”
“Col cazzo - scusa Rosi - chi ha tradito una volta tradisce sempre”.
“L'ho già sentita questa”.
“Io pensavo a Enrico, che ne dici Enrico? Secondo me sei rassicurante il giusto”.
“È per il cognome, vero?”
“Un po' sì, e poi hai quell'aria da giovane”.
“Ma se va per i cinquanta!”
“Ha parlato il Piccolo Lord”.
“Sì, va bene, signori, vi dicevo di Gheddafi”.
“Ma qual è il problema con Gheddafi?”
“Mah, niente, solo che verso gennaio dovrebbe scoppiare una guerra, diciamo”.
“Che cosa?”
“Ma sei sicuro?”
“Dunque, è chiaro che i nostri diplomatici non ne sanno niente. I francesi fanno finta di niente, i tedeschi non si fidano, però qualche dritta dal PSE ci arriva ancora”.
“Ma la guerra con chi, scusa?”
“All'inizio dovrebbe trattarsi di una tribù autonomista in Cirenaica, poi, tempo al tempo...”
“La Cirenaica? Che roba è?”
“Ma chi c'è sotto, gli americani?”
“Per una volta no. Dunque, mentre qua brindiamo a lambrusco, a Parigi c'è un tale Sarkozy che probabilmente sta ripassando anche lui i suoi sondaggi elettorali, e non gli piacciono. In più ha avuto la bella idea di appoggiare Ben Ali durante la rivoluzione”.
“Praticamente gli hanno fottuto (scusa, Rosi) la Tunisia sotto il naso”.
“Così adesso ci sta provando con le tribù autonomiste della Cirenaica: hai visto mai”.
“Ma Gheddafi non è mica un novellino, voglio dire, quello le rade al suolo, le tribù autonomiste”.
“Probabilmente andrà così, dopodiché ovviamente scatterà la crisi umanitaria, una bella risoluzione ONU, e poi via che si bombarda”.
“Chi bombarda, i francesi?”
“Stanno già scaldando i motori”.
“E noi?”
“E noi saremo nella merda, se non si è capito. Abbiamo appena firmato una pace eterna con Gheddafi – peraltro, l'abbiamo votata anche noi, complimenti”.
“Non è che avessimo molta scelta”.
“Ma scusate, io non ho mica capito, è così importante Gheddafi? Se abbiamo gioito per la caduta di Ben Alì, non dovremmo festeggiare anche se casca Gheddafi”.
“Signore... sentite, spiegaglielo voi che se casca Gheddafi ci trascina in Africa tutti quanti”.
“Adesso poi”.
“Sentite, la Libia è quella pentola bollente su cui siamo tutti seduti. Gheddafi fa più schifo a me che a voi, ma è l'unico coperchio che c'è. Quando se l'è vista brutta si è rilanciato come nostro carceriere di fiducia: tutti gli africani che intercettiamo li rimandiamo da lui, lui ne fa quel che vuole e siamo tutti contenti”.
“Se cade lui esplode tutto”.
“E non è un Ben Alì qualsiasi, lui. È sopravvissuto a Reagan”.
“Ci ha l'arsenale batteriologico, o sbaglio?”
“Ma lascia perdere l'arsenale, lui ha le bombe umane. Ci mette una settimana a riempire il canale di Sicilia di carrette del mare. Perciò io ve lo dico subito, se state pensando a me per la Farnesina...”
“In effetti...”
“Col cazzo – scusa Rosi – che vado alla Farnesina, senza nemmeno aver vinto le elezioni, tanto vale che mi strozziate subito con questo lambrusco che, tra parentesi Piergigi, è un abominio”.
“E non è tutta. Dovremo anche bombardare”.
“Ma non ci penseranno i francesi?”
“Eh, ma aspetta bene. Quando gli americani si renderanno conto, vorranno metterci mano anche loro, cioè non esiste una guerra nel Mediterraneo senza l'intervento Nato. E lo sai qual è la più importante portaerei Nato del Mediterraneo, vero?”
“Ma figurati se so i nomi delle portaeree”.
“Gesù”.
“Walter, siamo noi. La più importante portarei Nato del Mediterraneo è l'Italia”.
“E quindi bombarderemo?”
“Non ci sarà verso di sottrarsi”.
“Anche perché alla fine della guerra almeno un piedino in Tripolitania dovremo tenerlo, eh”.
“Tipo che ci toccherà mandare i carabinieri a gestire direttamente i campi di prigionia?”
“Una cosa del genere”.
“E tutto questo quando dovrebbe succedere?”
“Dunque, dicono più o meno che comincia tutto appena casca Mubarak”.
“Perché salta pure Mubarak?”
“In gennaio, dicono. Massimo febbraio”.
“E quindi...”
“Sì, ci facciamo una bella campagna elettorale coi bombardieri”.
“O mio dio”.
“Urg!”
“Mi vien da vomitare”.
“E ti credo, col vino che porti”.
“Ma non è possibile, cazzo! Scusa Rosi, ah, no, aspetta, sono io Rosi. Non è possibile! Avevamo venti punti di vantaggio”.
“Calcola di perderne uno per ogni barcone di immigrati sul Tg5. A Lampedusa potrebbe arrivarne un centinaio”.
“Se non è sfiga questa”.
“Non è sfiga, è la Storia che arriva in gommone, senza guardare in faccia nessuno”.
“Ma non potremmo rifiutarci? Dopotutto l'Italia ripudia...”
“O Signore...”
“Sentite, io non ce la faccio. Spiegateglielo voi che dalla Nato non possiamo uscire, né in campagna elettorale né dopo”.
“Va bene, quindi abbiamo perso anche stavolta”.
“Ma non è detto. Pensiamoci bene. Abbiamo lo scenario di cosa succederebbe se scoppiasse una guerra libica mentre siamo al governo e ci prepariamo a una campagna. Proviamo a elaborare altri scenari”.
“Ho la nausea”.
“Ovviamente le tv berlusconiane ci accuserebbero di voler islamizzare l'Italia perché assistiamo i profughi sui barconi, mentre i nostri elettori ci accuserebbero di essere guerrafondai, schiavi della Nato”.
“E non avrebbero tutti i torti”.
“No, no. Ma se non fossimo al governo? Se restassimo all'opposizione?”
“Cioè, in pratica tu proponi...”
“Lasciamo Berlusconi dov'è”.
“Ma stai scherzando?”
“Mai stato così serio. Si tratta di prolungargli un po' l'agonia, un po' di accanimento terapeutico, niente di così grave”.
“Ma neanche Bossi vuole più andare avanti! Nessuno vuole! Persino lui dice che preferirebbe andare alle elezioni”.
“È un bluff. I sondaggi riservati li fa anche lui. Probabilmente se gli facciamo una buona offerta, lui oggi l'accetta”.
“Cioè, gli dovremmo offrire di...”
“Di salvargli il governo”.
“Dopo tutto quello che è successo con Fini?”
“Fini era ieri. Pensiamo al domani. Ci vuole qualcuno che gli dia una mano a salvargli il culo il quattordici. Vedrai che qualche deputato trasformista lo troviamo”.
“Lui se vuole si compra mezza IdV”.
“Se la mangia intera l'IdV, e sputa Di Pietro come un semino”.
“Ma non è il caso, un po' di IdV ci serve, piuttosto vendiamogli un po' dei nostri, e dei rutelliani, magari di quelli che hai reclutato tu all'ultimo momento, Walter, quelli che non sanno più nemmeno loro che ci stanno a fare in parlamento... faccio per dire, uno come Calearo...”
“Magari è la volta che si rende utile”.
“Non sono sicuro di aver capito. Vuoi regalare dei parlamentari a Berlusconi? E cosa dovrebbero fare, entrare nel PdL?”
“Ma vediamo, potrebbero formare una specie di partito cuscinetto con un po' dei loro, prendersi qualche poltrona di quelle che sono saltate con Fini... e magari anche qualche soldino, che Berlusconi ne ha per tutti. Secondo me li troviamo, dei personaggi così”.
“Se poi è a fin di bene”.
“In che senso è a fin di bene?”
“Non so se hai compreso l'alternativa. L'alternativa è prendersi la responsabilità di governo nel momento in cui esplode la pentola libica. Invece noi ce ne stiamo belli belli all'opposizione, ce la prendiamo con Maroni che non soccorre le carrette del mare, con La Russa che bombarda, con Frattini che non capisce niente... e magari rosicchiamo anche qualche altro punto percentuale”.
“Ma cosa li rosicchiamo a fare, scusa, se poi alle elezioni non ci andiamo mai”.
“Ci andremo. Al momento giusto ci andremo”.
“E quando sarà, il momento giusto?”
“Chissà. Alla fine della guerra”.
“Ma sarà estate, ormai... non avevamo detto che in estate crolla la Grecia? E che i prossimi siamo noi?”
“Ecco, allora magari l'autunno”.
“Te lo raccomando l'autunno. La nuova manovra. Le solite alluvioni... frane... scandali della protezione civile... Vogliamo davvero finire invischiati in tutto questo?”
“Va bene, allora se ne riparla per la primavera 2012”.
“Magari finisce il mondo”.
“Un problema in meno – no, scherzavo. Ma... se invece muore?”
“Chi muore?”
“Come chi, Lui. Non è mica più un ragazzino, a furia di tenerlo lì, dopo un po'...”
“Cosa vuoi che ti dica, speriamo che tenga”.
“Dio ce lo conservi in salute”.
“Al massimo ci sono i figli”.
“Meno male”.
- La redazione di Leonardo, che non ha più niente da perdere, è entrata in possesso di un documento sconvolgente: il verbale di una riunione della direzione di un partito di centrosinistra a caso, svoltasi a porte chiuse nel dicembre scorso.
“Dunque, Piergigi c'è, Max c'è, Enrico, Valter, Rosi, Dario... voialtri ci siete tutti quanti... Cominciamo?”
“Allora, signori e signore, anzi, posso dirlo? Siamo a porte chiuse, dopotutto”
“E diccelo, dai, se ti fa stare meglio:”
“Compagni e compagne”.
“Uuuuuh”.
“Fa un certo effetto, eh?”
“Ho i brividi”.
“Guarda, guarda la Rosi com'è tutta rossa”.
“Ehi Rosi, questa al padre confessore è meglio se non la racconti, eh”.
“Fatela finita. Compagni, compagne, ho voluto convocarvi a porte chiuse perché la situazione è, per certi versi, incredibile. Come sapete negli ultimi mesi abbiamo commissionato dei sondaggi segreti, per capire quale sarebbe stato l'esito di eventuali elezioni politiche anticipate in primavera. Ebbene, sign... compagni, è chiaro che i sondaggi vadano presi con le molle, eppure...”
“Il porco a quanto lo danno?”
“Tra il venti e il trenta per cento”.
“E i leghisti?”
“Coi leghisti”.
“Impossibile”.
“Pure è così. C'è un enorme astensionismo, un travaso sensibile su Fini, ma noi comunque stiamo tra il cinquantacinque e il sessanta. Signori, in primavera vinciamo facile”.
“Un attimo. Forse vale la pena ricontroll...”
“Max insomma datti pace, abbiamo già commissionato quattro sondaggi in tre settimane, e ogni volta quello là perde punti e noi ne guadagniamo. Sembra proprio che il bunga bunga non gli stia giovando”.
“Ma chi l'avrebbe detto”.
“Quindi noi lo batteremo. Proprio noi. Finiremo sui libri come quelli che hanno sconfitto Berlusconi”.
“Ma è vera gloria? In realtà si è sconfitto da solo. Voglio dire, ce lo meritiamo?”
“E chi se ne frega – scusa Rosi – ne discuteranno gli storici, adesso è ora di bere, direbbe Orazio, mi sono infatti permesso di mettere in fresco un lambrusco millesimato che...”
“Il lambrusco non si millesima, Gesù”.
“Massimo ma lo so, diobono, era per scherzare, e ridi un po' anche tu, no? È andata. Vinceremo”.
“Va bene, dai, stappiamo!”
“Rosi non far finta, perdio, non dire che sei anche astemia”.
“Cin-cin”.
“A chi brindiamo?”
“Ma è ovvio, alla più bella classe dirigente di questo Paese!”
“A noi!”
“Quello non si può dire”.
“Va bene, allora all'Italia!”
“All'Italia!”
“Signori, sentite, dopo che avremo finito coi festeggiamenti, ci sarebbe un altro punto all'ordine del giorno”.
“Sì, mi sono scordato, cos'era?”
“Gheddafi”.
“Gheddafi, già, ma è davvero così importante?”
“Beh, se Berlusconi cade – e dovrebbe cadere quando, il tredici, no?”
“No, la fiducia è il quattordici”.
“Bene, diciamo che il 14 dicembre Berlusconi cade...
“A proposito, il governo di transizione chi lo forma?”
“Già, a Palazzo Chigi chi ci mandiamo, ci avete pensato? Max, tu no, eh?”
“No no, io ho già dato”.
“Forse sarebbe meglio mandare avanti Casini, o un finiano, o un rutelliano...”
“Col cazzo - scusa Rosi - chi ha tradito una volta tradisce sempre”.
“L'ho già sentita questa”.
“Io pensavo a Enrico, che ne dici Enrico? Secondo me sei rassicurante il giusto”.
“È per il cognome, vero?”
“Un po' sì, e poi hai quell'aria da giovane”.
“Ma se va per i cinquanta!”
“Ha parlato il Piccolo Lord”.
“Sì, va bene, signori, vi dicevo di Gheddafi”.
“Ma qual è il problema con Gheddafi?”
“Mah, niente, solo che verso gennaio dovrebbe scoppiare una guerra, diciamo”.
“Che cosa?”
“Ma sei sicuro?”
“Dunque, è chiaro che i nostri diplomatici non ne sanno niente. I francesi fanno finta di niente, i tedeschi non si fidano, però qualche dritta dal PSE ci arriva ancora”.
“Ma la guerra con chi, scusa?”
“All'inizio dovrebbe trattarsi di una tribù autonomista in Cirenaica, poi, tempo al tempo...”
“La Cirenaica? Che roba è?”
“Ma chi c'è sotto, gli americani?”
“Per una volta no. Dunque, mentre qua brindiamo a lambrusco, a Parigi c'è un tale Sarkozy che probabilmente sta ripassando anche lui i suoi sondaggi elettorali, e non gli piacciono. In più ha avuto la bella idea di appoggiare Ben Ali durante la rivoluzione”.
“Praticamente gli hanno fottuto (scusa, Rosi) la Tunisia sotto il naso”.
“Così adesso ci sta provando con le tribù autonomiste della Cirenaica: hai visto mai”.
“Ma Gheddafi non è mica un novellino, voglio dire, quello le rade al suolo, le tribù autonomiste”.
“Probabilmente andrà così, dopodiché ovviamente scatterà la crisi umanitaria, una bella risoluzione ONU, e poi via che si bombarda”.
“Chi bombarda, i francesi?”
“Stanno già scaldando i motori”.
“E noi?”
“E noi saremo nella merda, se non si è capito. Abbiamo appena firmato una pace eterna con Gheddafi – peraltro, l'abbiamo votata anche noi, complimenti”.
“Non è che avessimo molta scelta”.
“Ma scusate, io non ho mica capito, è così importante Gheddafi? Se abbiamo gioito per la caduta di Ben Alì, non dovremmo festeggiare anche se casca Gheddafi”.
“Signore... sentite, spiegaglielo voi che se casca Gheddafi ci trascina in Africa tutti quanti”.
“Adesso poi”.
“Sentite, la Libia è quella pentola bollente su cui siamo tutti seduti. Gheddafi fa più schifo a me che a voi, ma è l'unico coperchio che c'è. Quando se l'è vista brutta si è rilanciato come nostro carceriere di fiducia: tutti gli africani che intercettiamo li rimandiamo da lui, lui ne fa quel che vuole e siamo tutti contenti”.
“Se cade lui esplode tutto”.
“E non è un Ben Alì qualsiasi, lui. È sopravvissuto a Reagan”.
“Ci ha l'arsenale batteriologico, o sbaglio?”
“Ma lascia perdere l'arsenale, lui ha le bombe umane. Ci mette una settimana a riempire il canale di Sicilia di carrette del mare. Perciò io ve lo dico subito, se state pensando a me per la Farnesina...”
“In effetti...”
“Col cazzo – scusa Rosi – che vado alla Farnesina, senza nemmeno aver vinto le elezioni, tanto vale che mi strozziate subito con questo lambrusco che, tra parentesi Piergigi, è un abominio”.
“E non è tutta. Dovremo anche bombardare”.
“Ma non ci penseranno i francesi?”
“Eh, ma aspetta bene. Quando gli americani si renderanno conto, vorranno metterci mano anche loro, cioè non esiste una guerra nel Mediterraneo senza l'intervento Nato. E lo sai qual è la più importante portaerei Nato del Mediterraneo, vero?”
“Ma figurati se so i nomi delle portaeree”.
“Gesù”.
“Walter, siamo noi. La più importante portarei Nato del Mediterraneo è l'Italia”.
“E quindi bombarderemo?”
“Non ci sarà verso di sottrarsi”.
“Anche perché alla fine della guerra almeno un piedino in Tripolitania dovremo tenerlo, eh”.
“Tipo che ci toccherà mandare i carabinieri a gestire direttamente i campi di prigionia?”
“Una cosa del genere”.
“E tutto questo quando dovrebbe succedere?”
“Dunque, dicono più o meno che comincia tutto appena casca Mubarak”.
“Perché salta pure Mubarak?”
“In gennaio, dicono. Massimo febbraio”.
“E quindi...”
“Sì, ci facciamo una bella campagna elettorale coi bombardieri”.
“O mio dio”.
“Urg!”
“Mi vien da vomitare”.
“E ti credo, col vino che porti”.
“Ma non è possibile, cazzo! Scusa Rosi, ah, no, aspetta, sono io Rosi. Non è possibile! Avevamo venti punti di vantaggio”.
“Calcola di perderne uno per ogni barcone di immigrati sul Tg5. A Lampedusa potrebbe arrivarne un centinaio”.
“Se non è sfiga questa”.
“Non è sfiga, è la Storia che arriva in gommone, senza guardare in faccia nessuno”.
“Ma non potremmo rifiutarci? Dopotutto l'Italia ripudia...”
“O Signore...”
“Sentite, io non ce la faccio. Spiegateglielo voi che dalla Nato non possiamo uscire, né in campagna elettorale né dopo”.
“Va bene, quindi abbiamo perso anche stavolta”.
“Ma non è detto. Pensiamoci bene. Abbiamo lo scenario di cosa succederebbe se scoppiasse una guerra libica mentre siamo al governo e ci prepariamo a una campagna. Proviamo a elaborare altri scenari”.
“Ho la nausea”.
“Ovviamente le tv berlusconiane ci accuserebbero di voler islamizzare l'Italia perché assistiamo i profughi sui barconi, mentre i nostri elettori ci accuserebbero di essere guerrafondai, schiavi della Nato”.
“E non avrebbero tutti i torti”.
“No, no. Ma se non fossimo al governo? Se restassimo all'opposizione?”
“Cioè, in pratica tu proponi...”
“Lasciamo Berlusconi dov'è”.
“Ma stai scherzando?”
“Mai stato così serio. Si tratta di prolungargli un po' l'agonia, un po' di accanimento terapeutico, niente di così grave”.
“Ma neanche Bossi vuole più andare avanti! Nessuno vuole! Persino lui dice che preferirebbe andare alle elezioni”.
“È un bluff. I sondaggi riservati li fa anche lui. Probabilmente se gli facciamo una buona offerta, lui oggi l'accetta”.
“Cioè, gli dovremmo offrire di...”
“Di salvargli il governo”.
“Dopo tutto quello che è successo con Fini?”
“Fini era ieri. Pensiamo al domani. Ci vuole qualcuno che gli dia una mano a salvargli il culo il quattordici. Vedrai che qualche deputato trasformista lo troviamo”.
“Lui se vuole si compra mezza IdV”.
“Se la mangia intera l'IdV, e sputa Di Pietro come un semino”.
“Ma non è il caso, un po' di IdV ci serve, piuttosto vendiamogli un po' dei nostri, e dei rutelliani, magari di quelli che hai reclutato tu all'ultimo momento, Walter, quelli che non sanno più nemmeno loro che ci stanno a fare in parlamento... faccio per dire, uno come Calearo...”
“Magari è la volta che si rende utile”.
“Non sono sicuro di aver capito. Vuoi regalare dei parlamentari a Berlusconi? E cosa dovrebbero fare, entrare nel PdL?”
“Ma vediamo, potrebbero formare una specie di partito cuscinetto con un po' dei loro, prendersi qualche poltrona di quelle che sono saltate con Fini... e magari anche qualche soldino, che Berlusconi ne ha per tutti. Secondo me li troviamo, dei personaggi così”.
“Se poi è a fin di bene”.
“In che senso è a fin di bene?”
“Non so se hai compreso l'alternativa. L'alternativa è prendersi la responsabilità di governo nel momento in cui esplode la pentola libica. Invece noi ce ne stiamo belli belli all'opposizione, ce la prendiamo con Maroni che non soccorre le carrette del mare, con La Russa che bombarda, con Frattini che non capisce niente... e magari rosicchiamo anche qualche altro punto percentuale”.
“Ma cosa li rosicchiamo a fare, scusa, se poi alle elezioni non ci andiamo mai”.
“Ci andremo. Al momento giusto ci andremo”.
“E quando sarà, il momento giusto?”
“Chissà. Alla fine della guerra”.
“Ma sarà estate, ormai... non avevamo detto che in estate crolla la Grecia? E che i prossimi siamo noi?”
“Ecco, allora magari l'autunno”.
“Te lo raccomando l'autunno. La nuova manovra. Le solite alluvioni... frane... scandali della protezione civile... Vogliamo davvero finire invischiati in tutto questo?”
“Va bene, allora se ne riparla per la primavera 2012”.
“Magari finisce il mondo”.
“Un problema in meno – no, scherzavo. Ma... se invece muore?”
“Chi muore?”
“Come chi, Lui. Non è mica più un ragazzino, a furia di tenerlo lì, dopo un po'...”
“Cosa vuoi che ti dica, speriamo che tenga”.
“Dio ce lo conservi in salute”.
“Al massimo ci sono i figli”.
“Meno male”.
Iscriviti a:
Post (Atom)