(1996)
Esso è la prima delle opere di Dio;
il suo creatore lo ha fornito di difesa.
Giobbe 40,19
– I primi ad accorgersene sono gli avvoltoi.
Visto da una buona distanza in verticale, sembra trattarsi di un salsicciotto intriso in una densa salsa di fango. È Ognibene, che si prende cura del suo stagno. Poche settimane fa si trattava di una vasta laguna: oggi non è che una polla di melma che lo contiene a malapena. Domani, se il caldo non cesserà - e perché dovrebbe? la stagione arida è al suo culmine - sarà forse una tomba d'argilla screpolata. Ognibene ne è consapevole: diciamo pure che ne è sicuro, ora che ha sentito l'ombra nervosa degli avvoltoi danzargli sul capo. Eppure non è vecchio: il pensiero della morte dovrebbe investirlo di indignazione. Se solo non facesse così caldo, troppo caldo per pensare a qualsiasi cosa... E poi il giorno è fatto per dormire, pensa Ognibene. Se mi riuscisse di prender sonno, tutto sarebbe più semplice.
Di tanti piccoli lacchè che lo servivano e lo adoravano, non ne è rimasto che uno. È un uccelletto dal piumaggio nero, che si ostina ancora a cercar parassiti sulla crosta fangosa che copre la poderosa schiena del gigante. "Bel Dio mi sono scelto - penserà, a modo suo - un Dio che si lascia morire di siccità! A pochi voli di distanza da qui c'è il fiume: un grande fiume in giorni lontani, oggi non più che un rigagnolo, è vero: ma pur sempre un corso d'acqua limpida... laggiù gli Dei meno testardi si stringono ormai muso contro muso per conservare un posto al fresco: ma non il mio, il mio preferisce difendere il suo regno: e domani sarà cibo da avvoltoi - guardali, lassù - e da iene".
Dal canto suo Ognibene sbuffa, defeca. Un tempo questa era una gioia - nel tempo, intendi, della stagione dolce e dell'acqua limpida, quando sulla scia di feci che il gigante sparge qua e là, scodinzolando, accorrono nugoli di pesciolini festosi e variopinti. Anche per loro Ognibene è senz'altro un Dio, terribile nella sua maestosa apparizione (Signore delle correnti, Portatore di cibo, Essere immenso che trascende, con la sua mole, i limiti liquidi dell'universo). E invece, oggi: splunf, ploch, tutto questo ben di Dio buttato via. Ognibene sprofonda nei suoi stessi rifiuti.
Certo, non la si direbbe una fine dignitosa. Eppure se Ognibene resta qui è per pura coerenza. Se tu hai dei principi, se tu hai dei valori - e quale valore più grande del territorio, per un ippopotamo? - non puoi decidere di averli soltanto nove mesi all'anno, quando ti fa più comodo. D'accordo, se egli sapesse essere più elastico nel praticare i suoi valori, avrebbe più possibilità di resistere. D'accordo, probabilmente sono gli ippopotami più elastici a salvarsi, non quelli più fedeli e coerenti alle proprie convinzioni. Ma francamente - pensa Ognibene - non vedo proprio che senso avrebbe vivere, senza qualcosa di sacro. Lascio volentieri sopravvivere chi ne sente l'esigenza. Io preferisco rimanere fedele a me stesso, ai miei valori.
(Approvano dall'alto gli avvoltoi. Finalmente qualcuno che ha valori).
Si scuote da una fantasticheria il gigante, per reimmergersi immediatamente nei suoi pensieri - e nel fango, senza riuscire per altro a coprirsi interamente. L'uccelletto scatta in volo per evitare d'infangarsi. Se solo si decidesse, questo pigro Dio. Forse ce la fa ancora ad alzarsi. Ma non gli do un altro sole. E sono già troppo buono. Ah, non so nemmeno perché sto qui a perdere il mio tempo. Questo qui morirà annegato nella sua merda. Non mi merita.
Ognibene, lo ascolti, il tuo ultimo devoto fedele? Ognibene è in dormiveglia; cerca forse di andarsene senza disturbare nessuno. Se gli riuscisse, tra un pigro pensiero e l'altro, di smettere di respirare senza volere, se per distrazione le narici aperte a fior d'acqua non scendessero un po', otturandosi di fango una volta per tutte... Forse, pensa lui, se mi perdo tra i ricordi...
– Ma se poi finalmente prende sonno, il suo primo sogno è il Grande. Un'ombra soltanto, in realtà, un'idea vaga di una perdita, la sensazione di una promessa fatta: e non aspettatevi qualcosa di più preciso, dai sogni di un ippopotamo.
Il Grande, dunque - ma forse soltanto quattro denti grigi, enormi, spaventosi, tra i quali il destro superiore è quello orribilmente scheggiato, chissà in quale battaglia con chissà quale malcapitato rivale. Più d'ogni cosa il Grande è terribile per quel dente anomalo, che Madre Natura non gli provvide affatto: se lo procurò lui, da solo, come trofeo d'odio e di potenza. (C'è mai stato un animale più perfido dell'ippopotamo? L'unico che attenti alla vita del suo simile...). Quel dente spaccato, acuminato, può aprire squarci fatali nella più robusta delle corazze: ma quel giorno memorabile Ognibene a dire il vero aveva ancora la scorza rosea e delicata di un ragazzino che ha appena abbandonato le madri per andare a cercarsi un territorio. E che, per un misto d'ignoranza e sbadataggine, non ha fatto caso a certi chiari confini segnati sulla spiaggetta sabbiosa della laguna (due monumentali escrementi neri): insomma, immaginate il giovane ippopotamo più sprovveduto al mondo ritagliarsi il suo spazio nel bel mezzo della giurisdizione del maschio dominante più grande e feroce. Su chi scommettereste?
Ognibene beatamente ignaro oziava, naso ed occhi a fior d'acqua, godendosi la sua prima giornata di maturità, quando vide emergere d'un tratto la bocca già spalancata pronta al combattimento: quella bocca enorme, vecchia, rugosa, la porta franata di una galleria infernale: quella bocca e quei denti che il nostro eroe sogna da allora ad ogni sonno inquieto.
Il tempo di un barrito, ed il piccolo è già in fuga sott'acqua, veloce come nemmeno lui si sarebbe sognato di nuotare. Il Grande, che non vuole averla subito vinta, lo insegue: ma perde distanza. Ognibene ha muscoli scattanti e adrenalina. Ma lo spavento lo ha fatto immergere senza quasi il tempo di prender fiato, e il Grande, vecchia volpe, questo lo sa. A Ognibene basterebbe alzare un poco il muso per succhiare a fior d'acqua tutta l'aria di cui ha bisogno: questo è quello che farebbe qualsiasi ippopotamo ragionevole. Ma Ognibene, inesperto e in preda al panico, non farà così, ed il Grande lo sa benissimo. Piuttosto, non appena la sua fuga disordinata non lo porterà vicino a riva, vorrà fermarsi e alzare il muso intero, per assicurarsi di essere salvo. Orbene, è lì che il Grande corre ad attendere il piccino per spaventarlo di nuovo a morte, emergendo dall'acqua all'improvviso con le fauci spalancate.
Ognibene ora è in trappola: il Grande lo ha chiuso contro la riva del fiume. Certo, la fuga e l'inseguimento potrebbero continuare in campo asciutto: ma lì la mole del Grande è persino più temibile. Del resto per un ippopotamo la fuga equivale alla resa: ma che può fare ancora chi si è già arreso incondizionatamente? Ognibene non lo sa, non ha nemmeno tutto questo tempo per riflettere: dopo tutto, è solo un ippopotamo. L'istinto, in questi casi, può tirare strani scherzi. Di nuovo di fronte ai quattro denti orribili, Ognibene di scatto abbassa il capo nell'acqua, in apparente segno di riverenza: ma poi immediatamente lo risolleva in alto, le mascelle spalancate a sprizzare ettolitri d'acqua sul muso del Grande. Che affronto!
Il nostro eroe forse non lo sa (egli del resto non ha fatto che ripetere d'istinto la mossa di tante allegre battaglie vinte coi cugini all'asilo), ma ha commesso un atto di straordinaria impudenza. Spruzzare acqua sul muso dell'avversario, equivale, nella retorica marziale degli ippopotami, a una dimostrazione di potenza, al più teatrale dei segni di sfida. (Esiste forse in natura un animale più civile dell'ippopotamo, che combatte le sue guerre con la retorica, e non con la violenza? Ma d'altro canto, vi è al mondo una creatura più ipocrita di questa, che nasconde dietro gesti rituali il proprio istintivo odio verso il prossimo?) Il Grande, che forse in gioventù ha sfigurato dei rivali per molto meno, rimane interdetto. Sono anni che nessuno osa più spruzzarlo. Di solito tutto quello che deve fare è mostrare un po' i denti, e tutti scappano. Certo, ogni tanto si trova l'imbecille che è convinto di essere il più forte, insomma il classico attaccabrighe a caccia di cicatrici: e il Grande li incontra sempre volentieri questi qui, è sempre felice di poterli accontentare. Sì, perché la crosta dell'ippopotamo si rimargina in fretta, ma il segno dello sfregio resta: e un paio di segni è quello che ci vuole per crescere un po', sanguini per un paio di giorni ed intanto impari alcune cose, metti giudizio, insomma. È questo ciò che vuole il giovane Ognibene? Il Grande esita, strano per lui. Ognibene ha ricacciato il muso giù, nell'acqua, imbarazzato. Mamma mia l'ho fatta grossa, penserà. Il Grande lo guarda a bocca chiusa.
Perché ti risparmiò, Ognibene? Perché ti lasciò andare, senza neppure lasciarti un segno? Certo suona assurdo interrogarsi sui pensieri di un ippopotamo. Blasfemo, anche. Eppure: cosa gli passò per la testa in quel momento? Forse valutò che, per farti pagare l'affronto occorreva dissanguarti, magari ucciderti, e quel pomeriggio non aveva voglia? Forse non ti considerò nemmeno, pensò che trionfare su uno sfidante così inetto era un'infamia. O magari ti prese in simpatia per quel gesto folle, riconoscendo nella tua sfacciataggine quella delle sue prime batoste... Più probabilmente ti riconobbe per un bambino allontanatosi per sbaglio dall'asilo, le cui spruzzate non vanno prese sul serio perché si sa come sono i bambini. Fatto sta che rinunciò. Diede un grugnito, a bocca chiusa, e ti voltò le spalle. Bastò il grugnito a farti scappar via, a terra.
Questo, Ognibene, il tuo primo, fallimentare debutto in società. Oltre la laguna, sul greto del fiume, le mamme del tuo asilo ti riaccolsero come se nulla fosse successo. (Vi è in natura creatura più amorevole dell'ippopotamo, vi è una madre più generosa di quella che assiste a turno a tutti i cuccioli, e li riaccoglie tra sé quando essi, delusi dalla vita adulta, vogliono tornare?) Soltanto il Grande era stato testimone del tuo fallimento. Il Grande? Se tutti gli adulti erano come lui, tu potevi ben dire addio alla speranza di crescere mai...
– Invece crebbe, Ognibene: non ci mise un giorno e nemmeno una stagione; ci vollero altre prove, ed altri fallimenti, ma alla fine crebbe. Chi l'avrebbe immaginato, eppure succede a molti. Venne il giorno della vittoria, il giorno in cui altri chinarono il capo davanti a lui, e - ci credereste? Ognibene, che tanto aveva sognato quel giorno, disperando che arrivasse mai, ora non ci trovò nulla di particolare: lo considerò una cosa ovvia, una cosa dovuta. Ora era un maschio dominante, e i maschi dominanti hanno sempre la meglio, non c'è nemmeno da gloriarsene. Così, di lì a pochi anni, Ognibene divenne un protagonista. Le femmine lo cercavano volentieri, perché lui era socievole e generoso quanto bastava, e gli altri maschi si tenevano ad una rispettosa distanza. Prima che tornasse per la ventesima volta la stagione arida, Ognibene era già uno dei padri più richiesti e prolifici, e portava sulla pelle i segni del suo coraggio: proprio in quel periodo trovò anche modo, in una rissa, di scheggiarsi un dente. Sempre in quell'estate gli capitò, per la seconda ed ultima volta, d'incontrare il Grande.
Non saprei dirvi se lo riconobbe - del resto ora il più grande era lui. Inoltre era notte - luna piena - ora di pascolo, e l'istinto portava il nostro eroe affamato su sentieri nuovi, eppure in un qualche modo familiari. C'era odore di rivale in giro, ma Ognibene era tranquillo: la zona era piena di germogli. Dove passa un ippopotamo, non può esserci tanta abbondanza: allora, o il rivale è ammalato, o è morto addirittura. In ogni caso che si facesse vivo lui, se ci teneva: Ognibene non aveva paura di nessuno.
Non aveva tutti i torti. La stagione arida è sempre il momento critico, per gli ippopotami: gli specchi d'acqua si contraggono in polle di fango, e la maggior parte degli inquilini delle lagune scendono al fiume: là in pochi metri si addensano decine di ippopotami, e sono naturalmente risse a non finire. Poco cibo, poca acqua, nervi tesi: se passi l'estate hai passato il peggio. Ma accade a volte che alcuni tra i maschi dominanti rifiutino la promiscuità del fiume. Si sa, quando non fai che pensare al territorio, questo comincia a diventare un'ossessione. Così, talvolta, il territorio finisce per farti da tomba, quando al culmine della stagione il fango si asciuga fino a chiuderti in una morsa di creta secca.
Ognibene probabilmente non rammentò che il sentiero, sul quale un curioso istinto lo guidava, era quello percorso con trepidazione anni prima, nella prima libera uscita della giovinezza. E che la laguna, niente più di una polla di fango ora, era stato il teatro della sua prima battaglia. Fu lì, alla luce della luna che Ognibene lo vide: un vecchio conservatore prigioniero della sua testardaggine. Le crepe della sua corazza si confondevano con le screpolature dell'argilla. Cercò in un qualche modo di comunicare con lui? Provò ad aiutarlo, a dissuaderlo dall'assurdità del suo gesto? Anche se ne fosse stato in un qualche modo capace, Ognibene era arrivato troppo tardi. Non trovò di meglio che rimanere lì, perplesso, a vedere come se ne va un Grande. (Vi è al modo creatura più pietosa dell'ippopotamo, che veglia sulla sofferenza e sulla morte dei suoi simili?) Forse fu là in tempo per vederlo chiudere gli occhi: in ogni caso arrivò prima dei coccodrilli.
Ne passò un paio, mezz'ora dopo: gente coriacea, messasi in viaggio apposta dal fiume per quel salsicciotto cotto alla creta. Del resto bisogna capirli, l'Estate è dura per tutti.
Ognibene ha sempre odiato i coccodrilli: il suo più grande spavento di bambino fu il giorno che un finto tronco galleggiante, rasente la riva, non sollevò all'improvviso due spaventose tenaglie a pochi metri dal cucciolo: non fosse stato per sua madre, sempre all'erta, le avventure di Ognibene Ippopotamo sarebbero terminate lì. Ecco cosa le aveva insegnato d'importante sua madre buonanima: tutti temono i coccodrilli, ma i coccodrilli temono gli ippopotami. Quando vide che ringhiare a bocca aperta non li teneva lontani, Ognibene partì alla carica. Senza darci troppo dentro, o li avrebbe raggiunti: mentre invece il suo scopo era semplicemente allontanarli. Andò avanti per quasi duecento metri, poi li perse di vista e tornò indietro: c'era il rischio che quei rettili lo avessero aggirato. E poi...
(Si era appena voltato verso la tomba del Grande, quando udì il primo latrato). Ecco, arrivavano le iene.
I coccodrilli, le iene, e prima dell'alba sarebbero arrivati anche alcuni avvoltoi: ma a quell'ora Ognibene aveva già abbandonato la sua veglia funebre, distrutto. I coccodrilli li avrebbe sempre tenuti lontani, ma le iene sono terribili, col loro maledetto gioco di squadra. Prima o poi Ognibene era dovuto cascare in un loro tranello, depistato da una iena mentre l'altra affondava i canini nella schiena del Grande. Poi, non c'era stato più nulla da fare: gli spazzini, confortati dal successo e allettati dall'odore del sangue, erano tornati all'attacco ancora e ancora. Alla fine il branco era talmente numeroso che Ognibene fu praticamente ridotto alla fuga. Tornando nello stesso luogo, la sera successiva, vide le costole del Grande emergere dall'argilla; le iene se ne erano andate, mentre alcuni coccodrilli stazionavano: li mise in rotta. La notte seguente andò allo stesso modo. La quarta notte Ognibene non trovò nessuno: brucò erba e germogli tutt'intorno, e si chiese cosa ci faceva lì: non era suo territorio, e non era nemmeno un posto particolarmente felice.
Tre notti dopo scese la prima pioggia, improvvisa e tanto attesa. Dalle parti del Grande si rifecero vivi gli spazzini: cercavano altri resti della carcassa sotto l'argilla. Ognibene non li degnò d'uno sguardo. Passava di lì spesso, tutto sommato il posto gli piaceva; forse gli ricordava qualcosa (Cosa?) Col tempo, finì per eleggere la laguna (ora una vasta e dolce laguna, feconda di piante acquatiche e pesci) a capitale del suo territorio. Vi è forse creatura più felice dell'ippopotamo nella stagione delle piogge? La Natura lo ha provvisto di tutto, e nessun altro animale osa averlo per nemico. Soddisfatto della sua nuova e, il giovane ippopotamo dimenticò il Grande (solo i suoi denti orribili tornavano a visitarlo ad ogni sogno inquieto): o meglio, dimenticò che il Grande fosse mai stato qualcun altro se non lui.
– Perciò, nell'ultima tua stagione arida, Ognibene, quando da tempo la tua mole e i tuoi canini dominano incontrastati (ma le femmine negli ultimi anni, non gradendo il tuo pessimo umore, ti hanno decisamente emarginato), non ti resta che recitare la tua fine ingloriosa e coerente, nella morsa fangosa delle tue convinzioni. È un copione che già sai, anche se non ricordi il padre da cui l'hai appreso: ma in questa vita è il tuo copione. È già notte, notte di luna piena sull'altipiano: l'ultimo uccello nero ti ha lasciato da un pezzo. Difficile per un ippopotamo dormire di notte: e gli strilli di questi avvoltoi poi, sono una tale noia... forse con una buona spinta ce la faresti ancora a sollevarti; sei molto più forte di quanto non si creda; e fuori di lì c'è ancora qualcosa da brucare: nessuno può darti noia, tu sei il Grande. Ma il fatto è che non vuoi.
Ora, che male c'è in fondo se un ippopotamo preferisce morire, per coerenza, o pigrizia, o qualsiasi altro motivo? Esso è sempre un dono: da vivo mantiene pesci e uccelli, da morto satolla coccodrilli e iene. Se non lo molesti non ti darà fastidio: e nessuno lo molesta, gli stessi leoni e le pantere se ne guardano bene. La natura gli ha dato tutto. Chi non ha avversari degni, deve saper decidere la sua fine da solo. E così Ognibene: il più potente, il più grande, la prima delle opere di Dio.
******* FINE DELLE 21 NOTTI *******
Grazie per la pazienza