Guardando un po' più da vicino la traiettoria di Cossiga, si ha l'impressione che il secondo dopoguerra italiano sia un frattale. Cossiga lo contiene tutto in piccolo: la DC di sinistra, la strategia della tensione, il pentapartito, la crisi degli anni '90 e la nascita di un nuovo linguaggio politico che è poi lo stesso che oggi trovi in bocca a qualsiasi coglione si ritrovi a scrivere su beppegrillo.it. Cossiga è passato per tutte le svolte della storia d'Italia: in alcune occasioni le ha anticipate, di modo che ai suoi contemporanei sembrava che facesse strani slalom a vuoto come un mezzo scemo.
La storia di come ha preso a picconate non soltanto la politica, ma soprattutto il linguaggio politico, è affascinante ma oggi è domenica 17 agosto e non ho voglia di scriverla: incollo un vecchissimo pezzo di Alberto Sobrero e buonanotte.
Da
quasi due anni il 'fenomeno Cossiga' è osservato sotto diverse
angolazioni: politica, partitica, etnologica, dietrologica,
psichiatrica... Poco si è detto del suo modo di parlare, o meglio di
comunicare. Strano, visto che si tratta di un Grande Comunicatore. E
tuttavia, un'occhiata al suo comportamento linguistico offre chiavi
di lettura interessanti.
Tanto
per cominciare, consente una sistemazione "storica" del
personaggio. Com'erano i primi messaggi del Presidente Cossiga? Una
noia mortale. Scorro qualche appunto preso al messaggio del Capodanno
1987 e trovo: massima austerità formale, immobilità solenne,
dizione ben scandita e controllata, attenuazione delle
caratteristiche sarde del parlato. Il discorso è costituito da una
lunga esortazione seguita da un frammento di lezione universitaria,
con i suoi bravi distinguo, i termini tecnici al posto giusto, e un
gioco fine di argomentazioni e contro-argomentazioni. Argomento: la
responsabilità. Taglio: tipico dell'uomo di potere. Il discorso non
tratta della responsabilità di amministratori e politici (già
allora la carne al fuoco non sarebbe mancata), ma del cittadino
qualunque, perché "alla gestione della cosa pubblica nessun
cittadino è estraneo". Il tono generale è predicatorio: i
verbi dovere, occorrere, impegnarsi ricorrono ben 29 volte in 15
minuti, senza contare i verbi al futuro con valore imperativo. La
lingua, infine, offre tutti i suoi strumenti per innalzare una
cortina di fumo davanti al messaggio. Cossiga si rivela abilissimo
nell'esprimere i concetti semplici in modo difficile: ad esempio, per
dire che bisogna dare fiducia allo Stato come garante della sicurezza
dei cittadini dice che bisogna avere "consapevolezza che
soltanto lo Stato, nelle sue articolazioni democratiche, e non
l'assenza dello Stato, la carenza dello Stato, può garantire il
quadro di riferimento, di sicurezza nel quale la società e i singoli
soggetti possono esprimere ogni giorno la loro peculiare vitalità e
la loro personale responsabilità".
Il
messaggio del Capodanno 1987 è un po' il simbolo di quello che
possiamo chiamare il Cossiga I, il cui regno dura circa 5 anni. Anni
iniziati con Capodanni tutti uguali: prosa paludata e surreale,
discrezione e ufficialità. Noia. Quei discorsi allusivi destinati al
Palazzo e dintorni Poi svolta. Il I gennaio 1991 il Presidente, nel
bel mezzo del solito discorso auspicante e rassicurante, lascia il
discorso ufficiale e apre una parentesi di veemente, appassionata,
quasi rabbiosa difesa di Gladio, un'invettiva un po' cifrata
destinata al Palazzo ma esibita davanti a milioni di telespettatori.
È nato il Cossiga II, quello dei messaggi mandati a nuora perché
suocera intenda, delle minacce a uomini e partiti, quello che
sostituisce l'imparzialità con lo schieramento aperto, che esalta
gli amici e offende i nemici.
Infine,
l'ultimo - per ora - Capodanno con Cossiga: 1992. Uno show da grande
maestro della comunicazione: tutti aspettano il messaggio, c'è chi
spera in grandi picconate e c'è chi spera nell'annuncio delle
dimissioni. Il nostro spiazza tutti, mette da parte i molti fogli
scritti e rinuncia, in pratica, al messaggio. Tanti auguri, e via. È
ormai il Cossiga III, la star della Tv. Questa messa in onda del
Grande Silenzio è il trionfo del nuovo stile Advertising:
nell'immaginario italiano si allinea tranquillamente - e
trionfalmente - fra uno spot della pasta Agnesi e i Nuovi Aeroplani.
Ecco, questi tre flash televisivi ci danno i caratteri essenziali
delle "tre fasi".
I
segnali linguistici del cambiamento sono vistosissimi. Fra il '90 e
il '91 Cossiga abbandona i rotondi giri di frase dell'oratoria
solenne, prudente, aristocratica, un po' demodée usata negli anni
precedenti, per adottare un linguaggio aggressivo, fortemente
"popolare", con punte plebee di grande espressività:
alterna l'ironia al sarcasmo e all'insulto. Per l'insulto, in
particolare, dispone di una tastiera ricchissima: c'è quello colto,
che capiscono solo i cinquantenni acculturati (piccolo Wisinskij),
quello semi-colto (velinaro e libellista, riferiti a Pasquale Nonno),
e quello popolare: pataccaro (Onorato), ma ci sono soprattutto quelli
triviali: cretino (il sindaco di Bari), imbecille, pagliaccio, sino a
figlio di... La conversione è totale, e mostra un'incredibile
capacità del linguaggio cossighiano di cambiare registro e di
adeguarsi a pubblici, stili, gusti diversi.
Ci
sono le espressioni e i modi di dire "forti" che per
consolidata tradizione ci si immagina di sentire sulla bocca della
"gente" (parola assai cara al Presidente): carabinieri e
guardie di finanza "s'incazzano", "Moro si rese conto
che non erano dei ladri di polli", "mi fischiano. E chi se
ne frega, se non controfirma, ciccia!". Ma c'è anche
l'imitazione perfetta di ben altri modelli. Il passo che segue
ricalca in modo stupefacente - nella scelta delle parole e dei
gergalismi, nei giri di frase, nella struttura argomentativa - la
prosa degli "storici" documenti delle Br: "più che di
terrorismo si dovrebbe parlare di sovversivismo di sinistra, di un
movimento cioè che assumeva quale scenario obiettivo della propria
azione e fine mediato della propria iniziativa, quella rivoluzione
per la conquista del potere e il rovesciamento delle istituzioni
borghesi che erano stati rappresentati come 'oggetti politici
definiti', di cui la pratica terrorista doveva costituire l'innesco
della rivoluzione di massa a livello di 'movimento'". Una mimesi
perfetta.
Con
Cossiga II e III non cambiano solo le parole, cambia anche la
gestualità. Il Presidente lascia in soffitta la divisa in pompa
magna, indossa la maglietta Lacoste e improvvisa dichiarazioni a
braccio, urla col volto congestionato, gesticola ricorrendo a tutta
la mimica dei popoli mediterranei. L'autocontrollo, in queste
condizioni, si attenua, e oltre a piccoli lapsus (un pares inter
pares in luogo di par inter pares può essere, oggi, peccato
veniale), tornano ad affiorare antiche caratteristiche sarde: le
consonanti doppie, le vocali chiuse, persino gesti tipici come la
cosiddetta "borsa". La borsa è un gesto che consiste nel
riuniore le dita di una mano a cono, con la punta rivolta verso
l'alto, avvicinando e allontanando rapidamente la mano dal petto.
Tutti lo usiamo, ma con sfumature diverse nelle diverse regioni: in
sardo il significato, dispregiativo, è "Beh, che vuoi?", e
non è propriamente un gesto elegante.
La
gesticolazione e la mobilità facciale che accompagnano l'ira
presidenziale sono perfettamente aderenti al messaggio: persino un
fremito ricorrente al labbro superiore sembra più un optional
stilistico che un tic nervoso. È questo il periodo della gloria
televisiva, il trionfo del "personaggio", che fa audience:
pur di violare il sistema delle attese il già correttissimo Cossiga
non disdegna neppure la scorrettezza, come quando non mantiene
l'impegno dell'intervista con Enzo Biagi. Stella televisiva, non si
sottrae né al pettegolezzo da Novella 2000 né al battibecco in
diretta. E come accade ai grandi personaggi dell'effimero televisivo,
anche lui lascia la sua impronta linguistica: la metafora del piccone
- di cui rivendica con civetteria la paternità - diventa prima il
tormentone di mille comici-imitatori poi, addirittura, lo slogan
elettorale del Msi. Per non parlare dell'esternazione, parola che nel
Lessico di Frequenza della lingua italiana contemporanea di
Bortolini, Tagliavini e Zampolli, basato su uno spoglio di 500.000
parole (appartenenti a testi diversi) non compare nemmeno: dal
tassista al ragazzino delle scuole medie oggi tutti esternano. Anche
in documenti ufficiali: a Milano "il Consiglio di quartiere ha
voluto esternare la sua insoddisfazione per la mancata soluzione del
problema dei cani randagi" [...]
Non si capisce dove inizia Sorbero e dove finisci tu, metti almeno delle virgolette.
RispondiEliminaNon bastasse la logica a suggerirti di considerare scritta da Leonardo la parte fino a "e buonanotte" e da Sobrero tutta la successiva, ulteriore aiuto a questa tua difficoltà d'orientamento può offrirtelo il link all'articolo originale, aperto il quale puoi verificare che l'attacco dello stesso e la frase successiva a quel "e buonanotte" curiosamente coincidono.
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