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martedì 19 agosto 2014

Il grande poeta dimenticato del '900

19 agosto 1964 - muore Ardengo Soffici, pittore, scrittore, futurista, fascista, e tante altre persone. 

Soffici ci lasciava 50 anni fa, troppo presto sia per far dimenticare il suo fascismo seminale, sia per cogliere i frutti della rivalutazione del futurismo. Come pittore poi si è difeso bene, i suoi papier collés e le sue angurie sono passaggi obbligati in qualsiasi mostra futurista che si rispetti. Molto meno conosciuto resta il Soffici scrittore, ma se in generale abbiamo smesso di leggere non è proprio colpa sua. Lui in effetti ha precorso i tempi anche in questo, scrivendo testi leggerissimi che sembrano pensati per il lettore svagato e distratto del secolo XXI. Figlio di borghesi rovinati, scappato a Parigi a vent'anni, Soffici si ritrova quasi per caso al centro dell'esplosione artistica che inaugura il secolo. Tra i primi italiani a leggere Rimbaud, a scambiare due chiacchiere con Picasso o Apollinaire, Soffici torna nella casa materna di Poggio a Caiano (FI) nel 1907. L'intuizione è buona: in Francia era un illustratore tra tanti, in Italia è in anticipo di una generazione - al punto che nel 1911 si permette di stroncare la prima esposizione futurista: "sciocche e laide smargiassate di poco scrupolosi messeri".

Il seguito è noto: Marinetti, Carrà, Russolo e Boccioni prendono un treno per Firenze apposta per andare a picchiarlo. Lo trovano alle Giubbe Rosse (se lo fanno indicare dal subdolo Palazzeschi), e restano piacevolmente sorpresi dal fatto che Soffici risponda a pugni e schiaffi roteando il suo bastone da passeggio. Il giorno dopo addirittura si prende con sé Slataper e Prezzolini e li va ad aspettare in stazione. Nuova scazzottata, e poi tutti assieme in commissariato a firmare il verbale e discutere d'arte d'avanguardia. Sta per nascere il primo futurismo fiorentino, l'unico a non dipendere economicamente dalle ampie tasche del mecenate Marinetti. Il vero battesimo sarà Lacerba, la rivista che Soffici avvia all'inizio del 1913 in collaborazione con l'amico e provocatore Giovanni Papini - in sostanza è uno spin-off della Voce, l'amichevole scissione dei due vociani meno allineati al serioso verbo idealista. Mettendosi d'impegno a stroncare Croce, e con Croce tutti i filosofi, e gli scrittori, e i pittori - Papini e Soffici ottengono perfino un certo successo editoriale, conquistato a base di titoli roboanti (Contro la scuola! Amiamo la guerra!) e oltraggi al pudore e un insistito snobismo. Lacerba è la nonna di tutti i fogli di satira italiani. Gramsci nota che lo sfogliano persino gli operai torinesi, con un interesse non ricambiato.


Nel '13 Soffici non è uno scrittore esordiente: tra le altre cose ha già dato alle stampe un torvo romanzo incompleto (Lemmonio Boreo) che comincia col racconto autobiografico del ritorno a casa dalla Francia e passa poi a descrivere un'esperienza di Strapaese con vent'anni di anticipo, seminando nel lettore il sospetto che il fascismo nasca proprio così, un virus francese apparentemente innocuo che a contatto col sottosviluppo culturale della provincia italiana si trasforma in qualcosa di micidiale. Ma è sulle colonne di Lacerba che Soffici, liberandosi di ogni preoccupazione sovrastrutturale, si reinventa scrittore en plein air: pubblica i suoi taccuini così come sono, un blogger nel secolo sbagliato. Ci lascia pagine ingiallite e piene di una vita che ci sembra più contemporanea della nostra.




Ormai è diventato famoso - e già lo accusano di far parte di una di quelle cricche o camorre culturali che qualche mese prima combatteva. Cominciano a piovere manoscritti di poeti che si ritengono geniali e si aspettano pronte risposte. Uno di questi lo perde tra altre scartoffie, tanto meglio, anzi no: era il primo manoscritto dei Canti Orfici.

Passa una stagione, passa un anno, ed è il 1914. Quando sparano all'arciduca e Austria e Germania fanno la prima mossa, Soffici non ha la minima esitazione. Il pittore che tutto deve ai francesi non può che schierarsi con la seconda patria attaccata a tradimento. L'artista che disprezza sia i filosofi tedeschi che la vecchia retorica dei socialisti non può che chiedere l'intervento contro gli imperi centrali. Lacerba diventa l'organo dell'interventismo più snob - è anche un modo per prendere le distanze da Marinetti, che vorrebbe usarla per pubblicare tutte quelle tavole parolibere illeggibili che impensieriscono di molto il tipografo Vallecchi. Alla fine Soffici e Papini (e Palazzeschi) si prenderanno il lusso di attaccare il futurismo da sinistra, accusando Marinetti di non essere futurista abbastanza. Nel mentre Soffici si sta improvvisando Apollinaire italiano, con un certo successo. Si permette persino di scippare a Marinetti le parole in libertà, scrivendo alcune delle più belle in assoluto nel leggendario volumetto Bïf§zf+18, (il titolo è affidato al caso: il sorteggio dei caratteri mobili che lo compongono è affidato alla linotype di Vallecchi. In anticipo su Dada, sul surrealismo, sulle poesie scritte al computer, sui generatori automatici e qualsiasi altra cazzata). Soffici è il primo a inserire veri e propri inserti pubblicitari nelle sue poesie - Palazzeschi nella Passeggiata gli aveva mostrato la via, ma Soffici li ritaglia e li appiccica sul foglio. Nemmeno i futuristi sono ancora pronti a tanto. Andy Warhol nascerà 13 anni dopo.

Siamo al '15, la guerra comincia davvero. Altri ne approfitteranno per mettere in discussione le premesse dei loro entusiasmi giovanili. Soffici no. Per lui, come per il quasi coetaneo Marinetti, trovarsi in trincea a quasi 40 anni è un trucco per darla a bere all'anagrafe, una seconda giovinezza concessa agli audaci. I suoi taccuini al fronte (Kobilek, La ritirata del Friuli) sono pieni di voglia di vivere e vincere. "Se un giorno io dovessi ricevere un premio attestante il mio coraggio, vorrei che nella motivazione non si parlasse né di fatiche, né di pericoli affrontati, ma si scrivesse solo questo: «Fu allegro nella trincea del Kobilek».

A guerra finita - e non bene - Soffici non poteva che diventare fascista. In un certo senso lo era stato ben prima di conoscere Mussolini, col quale peraltro riuscì ad andare sempre d'accordo. In Friuli si era trovato una moglie; fece anche un po' di carriera nei quotidiani importanti. Verso gli anni Quaranta covava ormai una certa disillusione, non nei confronti dell'ideale fascista, ma di come si stava realizzando nella prosa quotidiana. All'arrivo degli Alleati fu internato, prima di essere riconosciuto come un anziano pittore inoffensivo. Senz'altro ci sono scrittori meno imbarazzanti da ricordare. Ma Soffici, ogni volta che lo riapri, ti dà l'impressione di un parente lontano che al telefono sembra conoscerti in ogni tua cellula. La stessa velleità di mandare al macero l'Italia e rifarla in un fine settimana, di liquidare Croce e sostituirlo con due pensierini scritti in treno tra una galleria e l'altra. L'allegria con cui si va a morire - poi muoiono gli altri e tu torni a casa ti sposi e racconti che dai, poteva andare molto peggio. Soffici ci ha lasciato 50 anni fa. Non si direbbe.

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