Desire (1975, ma pubblicato nel 1976)
- Ho ancora la CASSETTA! (in realtà ho solo la custodia, ma in fondo è meglio così - dove l'ascolterei, una cassetta?)
She was there in the meadow where the creek used to rise
Blinded by sleep and in need of a bed,
I came in from the east with the sun in my eyes
I cursed her one time then I rode on ahead...
Ciao, che piacere rivederti, ti aspettavo.
Accomodati pure in veranda, c'è la tua poltrona preferita. Ti preparo qualcosa?
Non c'è bisogno di presentarsi, no? Sono il disco di Dylan di questa settimana. Lo so, non sono ufficialmente il tuo disco preferito. Non sono il disco preferito di nessuno. Ma mi va bene così.
Quando ogni tanto una rivista specializzata decide di fare una classifica ragionata dei dischi di Dylan, e chiama un sacco di giornalisti a dare i voti, alla fine io non sono mai nei primi tre. Di solito neanche nei primi cinque. Lo capisco. Lo rispetto. Ci sono quelli un po' quadrati che preferiscono
Highway 61 o
Blonde on Blonde, perché insomma, il Dylan importante è quello di metà Sessanta, quello appena approdato al rock d'avanguardia. Io invece sono un disco di metà anni Settanta, un po' reazionario, coi violini e le fisarmoniche - i mandolini, addirittura! Se devi scegliere un disco che ha fatto la Storia, mica puoi scegliere me. Io sono un episodio, vivo in una bolla tutta mia che scoppiò quasi subito.
She said, where ya been?, I said, no place special
She said, you look different! I said, well, I guess
She said, you've been gone... I said, that's only natural
She said, you gonna stay? I said, if you want you me, yes!
- (Dirò una cosa cattiva): sembra un ladro appena uscito da un appartamento, con due o tre giacche addosso, sei camicie e due maglioni.
Ci sono i dylaniti che ci tengono sentirsi più maturi, più sofferti, e allora non c'è storia: devono votare per
Blood on the Tracks. Io invece sono un disco allegro, ingenuo, e pieno di un'insana voglia di avventura, un desiderio di tutto e di niente. Dylan mi concepì durante un festival di zingari in Camargue, in un momento in cui aveva provvisoriamente fatto pace con Sara e per festeggiare era andato a far baldoria a un oceano di distanza. Non mi puoi mettere sul piatto per darti un tono, sono un disco un po' sbracato. Certo, sono il disco di Isis e di Sara, due valzer così personali che non le fece cantare a Emmylou Harris, la corista onnipresente nel resto del disco. La prima è la ballata in cui Dylan racconta il suo matrimonio come se fosse un western in technicolor - quelli un po' fiabeschi come Mackenna's Gold, o certi filmoni esotici come Timbuctù. Racconta di avere sposato Iside il quinto giorno di maggio (dunque Dylan è Osiride, inventore dell'agricoltura?) e di averla lasciata immediatamente, sviato da un avventuriero (Seth?) in cerca di una tesoro; attirato da miraggi di diamanti e di gloria che si riveleranno vacui come la tomba in cui alla fine seppellirà il compagno (mentre nel mito egiziano è Seth che convince Osiride a entrarci dentro). Ok, è stata una pessima idea, ma va tutto bene, perché il calendario gira e presto arriverà un altro cinque maggio, e Iside è lì che lo attende, pronto a risposarlo come in fondo è naturale che sia - ecco, se ti interessa il Dylan sentimentalmente tormentato non puoi assolutamente ammettere di cedere davanti a quel "If you want me to, yes!", che è il verso più felice che Dylan abbia mai cantato, sollevato come un condannato davanti alla grazia:
mi ha detto di sì! tutto è perdonato!
- Sophia Loren e Rossano Brazzi sul set di Timbuctù (dove l'avete messo John Wayne?)
I laid on a dune I looked at the sky
When the children were babies and played on the beach
You came up behind me, I saw you go by
You were always so close and still within reach.
E poi c'è Sara: ma come fai ad ammettere che Sara sia la sua migliore canzone d'amore? È così nuda, senza più schermi che non siano quello di vetro dietro cui Sara Dylan lo stava guardando e ascoltando registrare. Niente più pseudonimi - anzi, una delle molle che lo spinsero a scriverla fu proprio l'aver scoperto che la gente credeva che
Sad-Eyed Lady of the Lowlands fosse dedicata a Joan Baez, ma come? Non ci arrivano? Prima che la sposasse si chiamava
Sara Lownds! Niente da fare, i gossippari sono così ottusi. Sara è la verità senza più abbellimenti, l'ultima risorsa di un uomo che deve farsi perdonare Idiot Wind e chissà quante altre cose assai più gravi per una persona che oltre ad ascoltare le sue canzoni dovrebbe anche dividerci un letto. Come ha notato Alessandro Carrera, ha delle rime disperate
(kelp/help), sembrano fiori raccattati all'ultimo momento da un'aiuola. Ha dei versi un po' andanti, dei puntelli provvisori che non ha fatto in tempo a togliere: ("
How did I meet you? .... I don't know"!) E come nei momenti migliori di Dylan, è un miracolo: sin dalle prime battute, mentre l'armonica si intona prodigiosamente col violino, la batteria comincia a picchiare e su qualche parete è come se girasse il super8 di una vecchia vacanza al mare. Sara, siamo stati felici. Questo non potrà togliercelo nessuno. Dylan ha avuto centinaia di parole più ispirate - Dylan ha avuto migliaia di parole. Ma quando ascolti Sara, per un attimo, ti convinci che finalmente abbia trovato quelle giuste. Non le più poetiche, non le più sottili, anzi: quelle giuste. Non lasciarmi, non te ne andare mai. Toccante, ma anche un po' imbarazzante. Non puoi mica preferirla a
Sad-Eyed Lady, o a
If You See Her; non puoi ammettere che per un po' su quella spiaggia ti è sembrato di esserci anche tu: e che ci facevi? Il terzo incomodo? Badavi ai bambini? Manco Emmylou ha fatto entrare. Non puoi preferire Sara alla sua nemesi,
Idiot Wind, molto più immaginosa e spietata e sicura di sé: lo capisco. Questo è Dylan. L'odio vince spesso sull'amore. Mi va bene anche così.
Now the beach is deserted except for some kelp
And a piece of an old ship that lies on the shore
You always responded when I needed your help
You gimme a map and a key to your door.
- Emmylou Harris, molti anni dopo. Ha inciso decine di dischi; quello più venduto l'ha registrato in due giorni e non ne era affatto convinta.
Poi ci sono i dylaniti salomonici, che vorrebbero tenere insieme il Dylan folk e quello rock, e allora pescano
Bringing It All Back Home: è come andare a un ristorante dove sai che fanno bene i ravioli e la costata, e chiedere una costata coi ravioli. Oppure gli snob di tutti i tipi, quelli che devono per forza elaborare una risposta originale, e allora li vedi ingegnarsi a scambiare per capolavori cose come
John Wesley Harding, o i dischi più recenti. Ci sono gli acustici duri-e-puri, c'è persino il partito dei
Basement Tapes; ce n'è di gente strana al mondo. Io per loro sarei una scelta troppo banale, perché... ho venduto troppo, primo in classifica sia in USA che in UK (mai successo prima), in cima a Billboard per un mese, sono un doppio platino. Non possono mica scegliere me, ma li capisco. In fondo la musica serve anche a farci sentire diversi da tutti gli altri, speciali. Ma non c'è niente di speciale nell'avermi in casa, io sono il disco di Dylan che a un certo punto avevano in casa tutti. Chi ne aveva soltanto uno aveva me. Sono come Assassinio sull'Orient-Express, Il piccolo principe, L'isola del tesoro. Nessuno si può vantare con la mia copertina, nessuno mi sfoggia sulla mensola più in vista. Alcuni mi nascondono.
Oh, sister, when I come to lie in your arms
You should not treat me like a stranger
Our Father would not like the way that you act
And you must realize the danger
- "This Record Could Have Been Produced by Don Devito".
Anche quelli che mi apprezzano, devono sempre trovarmi qualche pecca. Sono il fratello minore di
Blood on the Tracks, come posso sperare di competere? Si capisce che Dylan mi incise di slancio, sulla cresta dell'onda che finalmente dopo anni di attesa era riuscito a trovare e cavalcare, mentre metteva insieme musicisti per il suo tour più folle. Prima ci fu una serie di session assurde, a cui vennero invitati praticamente tutti i musicisti che erano a NY in quel momento, tra cui Eric Clapton - ma forse più che incidere qualcosa Dylan voleva fare una festa, un grande scherzo, era in una di quelle fasi tardo-matrimoniali in cui anche i solitari cercano compagnia. Magari a quel punto aveva notato che i suoi dischi migliori erano il risultato di un percorso in due tappe: una prima fase caotica e complicata in cui non riusciva a trovare il bandolo della matassa, e una seconda tappa in cui ripescava le cose migliori e le ri-registrava in fretta. Forse pensava che senza un'altra fase di baccano non gli sarebbe più occorso un altro di quei momenti miracolosi, limpidi, in cui tutto si incastra alla perfezione: e forse aveva ragione.
- Scarlet Rivera, qualche anno dopo.
Così, dopo aver spazzato via tutto il materiale delle prime sessioni, trattenne una squadra di quattro-cinque elementi e in una lunga notte di luglio mi registrò, quasi al primo colpo. Poi mi tenne in fresco per mesi, perché la Columbia aveva deciso di pubblicare prima i Basement Tapes, e nel frattempo cominciò a suonare i miei pezzi in giro per i teatri. A metà del tour mi stappò come una bottiglia di champagne: ero perfetta. Vendetti un sacco, piacqui a tutti, anche nessuno lo confessava volentieri. Greil Marcus non mi volle recensire; Christgau sul Village Voice mi diede un B- (aveva dato un A- a
Planet Waves...) Alla fine dell'anno ero 26mo nella classifica del Voice. L'anno prima i Basement Tapes erano in testa. Insomma: buono, ma non ottimo. Ma non m'importa, sul serio, sono a posto così.
Forse il mio problema è che ai dylaniti piace soprattutto Dylan: è lapalissiano, ma si dà il caso che io sia il meno dylaniano dei suoi dischi storici: mentre Blood è un disco così personale che chi suonava con lui non riusciva nemmeno a capire che accordi usasse, io sono un lavoro di gruppo, forse il suo disco più corale. Quello che mi rende unico è la combinazione degli strumenti, dei musicisti. Scarlet Rivera, soprattutto. È una violinista di origini siculo-irlandesi che un giorno Dylan recuperò al Village: la vide passeggiare con una custodia di violino e la fece salire sulla limo con una frase da rimorchio piuttosto cruda: "ma lo sai suonare?" Desire è la risposta alla domanda. Il violino della Rivera è onnipresente come l'organo di Kooper in Blonde on Blonde (e alla lunga può dare lo stesso fastidio); riempie gli spazi lasciati dal canto, ed è altrettanto sguaiato, sfrenato e inimitabile: sempre sul filo della stonatura, proprio come la voce di Dylan. Ma anche quest'ultima è meno dylaniana del solito, perché il nostro eroe, che qualche anno prima aveva registrato un intero disco con la Band senza concedere ai suoi tre ottimi cantanti nemmeno un coro, stavolta ha deciso di farsi doppiare in molti passi da una voce femminile (Emmylou Harris, appunto), che in teoria dovrebbe armonizzare con lui. Ovviamente il risultato è spesso dissonante - come fai a intonarti con un tizio che non canta mai la stessa nota? (la Harris credeva che fosse solo una prova; sperava che buttassero via tutto). Ma è anche qualcosa di unico: non c'è un altro disco in cui Dylan e una donna cantino così. Col senno del poi, è la spia di un disagio: Dylan sta iniziando a soffrire dei limiti della propria estensione. Presto comincerà ad andare in giro con un coro femminile che gli sottolinei i ritornelli. Ma in questo specifico caso, Dylan ha semplicemente scritto canzoni talmente dolci, duttili, agili, che sarebbe un peccato sentirle cantare su un'ottava sola. Desidera suonarle tutte, come un bambino che gioca con la tastiera di un pianoforte. Va bene, ma ai dylaniti piace sentir cantare Dylan, e qui è come se a volte si nascondesse.
- Qualche mese dopo - il disco non era ancora uscito - Dylan dovette rientrare per reincidere alcune strofe di Hurricane le cui allusioni preoccupavano un po' gli avvocati. A quel punto ormai era in tour con Ronee Blakey - la protagonista di Nashville - e quindi la voce femminile di Hurricane a volte è quella di Emmylou e a volte è la sua (io non le distinguo).
Altrettanto dissonante è la bizzarra armonia tra violino e armonica: una cosa mai provata né prima né dopo. Tutto questo renderebbe già il mio sound inconfondibile (se mi metti sul piatto mi riconosci al primo colpo), anche senza il dettaglio finale: sono stato mixato con la batteria altissima. Perché? Non si sa. Forse piaceva al produttore Don DeVito, forse a Dylan: fatto sta che ogni volta che mi ascolti hai la sensazione di vedere tutti gli altri musicisti parzialmente nascosti dai piatti e dal charleston, dal punto di vista meno usuale per l'ascoltatore: quello del batterista, Howie Wyeth. Ci sono dischi di Dylan che ti fanno cantare, dischi che ti fanno fischiettare; io ti faccio tamburellare, ti faccio pestare i piedi, è più forte di te. Ma se ti chiedono qual è il disco migliore di Dylan, mica puoi dire: mi piace lui, perché mi fa pestare i piedi - ehi, stiamo parlando di un premio Nobel! Dylan va apprezzato per i testi!
Ecco, appunto, i testi. I dylaniti ci tengono molto. E io per molto tiempo fui l'unico vero disco che Dylan non si era scritto da solo (
Self Portrait non conta). Era tornato dalla Camargue con un sacco di storie in testa, e quel metodo simultaneista che aveva messo a frutto in Blood non gli tornava più utile. Voleva rimettersi a scrivere storie in un modo più tradizionale, con un inizio e una fine - e a dargli più problemi erano proprio gli inizi. Desiderava rimettersi a parlare di fatti di cronaca, come ai tempi
The Times They Are A-changin'; desiderava persino aiutare un ex pugile che gli aveva scritto dal carcere, dove l'avevano rinchiuso ormai da otto anni per un triplo omicidio che non aveva commesso. Desiderava ricominciare a dar battaglia con le parole, ma non tutte le parole gli venivano. Aveva bisogno di quei versi che ti prendono di peso e ti buttano dentro alla canzone. Così - scandalo! - si fece aiutare.
- dyaniano al 100%
L'aiutante si chiama Jacques Lévy, e faceva il regista teatrale - aveva diretto la prima versione off Broadway di
Oh, Calcutta! - insomma, uno di quei personaggi con cui potevi fermarti una sera a discutere in un locale del Village. Lévy aveva già scritto qualche canzone, ad esempio per Roger McGuinn: ma l'opportunità di collaborare con Dylan fu un enorme regalo che gli fece il caso. Mettetevi però nel dylanita. Come può ammettere che alcuni dei migliori racconti in versi che Dylan ha mai scritto sono il risultato della collaborazione con un tizio che nemmeno scriveva canzoni di mestiere? Come si fa ad accettare che prima di incontrare questo regista di balletti discinti, Dylan non avesse mai messo su carta un inizio folgorante come quello di Hurricane?
(Continua sul Post...)
Desire è il disco preferito di mia moglie, Dylaniata (non dylanita) DOC.
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