[Questo pezzo è uscito venerdì scorso su TheVision]. Due bambini nati nello stesso ospedale vivono nella stessa strada. I loro genitori lavorano nello stesso cantiere. Un bambino a settembre andrà nella scuola dell'infanzia del quartiere; l'altro no. Forse dovrà prendere un pulmino e andare in una scuola da qualche parte in provincia, oppure resterà a casa. Il primo bambino, ovviamente, ha la cittadinanza italiana: il secondo no. A chi si chiedeva a cosa sarebbe servita una legge sullo ius soli: a evitare aberrazioni come questa. Non è una proiezione, non è un episodio sporadico: è la situazione in cui potrebbero per esempio trovarsi a settembre più di sessanta bambini a Monfalcone, provincia di Gorizia. Il sindaco non li vuole nelle scuole dell'infanzia statali.
Ovviamente è più complicato di così. Due istituti comprensivi di Monfalcone hanno fissato un tetto del 45% di alunni "stranieri" per classe che taglierebbe fuori appunto una quarantina di bambini. Il sindaco, Anna Cisint (Lega) ha sostenuto la scelta dei due istituti, e a sua volta ha ricevuto il sostegno del suo leader e ministro degli interni, Matteo Salvini. I sindacati hanno fatto un esposto in procura; il ministro dell'istruzione (anche lui d'area leghista) ha cercato di placare gli animi ventilando la possibilità di aprire altre due sezioni. Ma insomma siamo ormai a fine luglio e più o meno quaranta famiglie non sanno ancora se i loro figli di tre anni frequenteranno una scuola dell'infanzia, e quale. È quel tipo di incertezza che può costare un posto di lavoro a un famigliare: se il bambino resta a casa, qualcuno dovrà rimanere con lui. Più facilmente una madre o una sorella. La Cisint teme che accogliendo più "stranieri" le scuole diventino un ghetto.
Metto la parola "stranieri" tra virgolette, perché in molti casi parliamo probabilmente di bambini nati in Italia che una legge un po' medievale considera non cittadini del Paese in cui hanno trascorso i primi tre anni di vita. La Cisint dà per scontato che non siano molto integrati, e se continueranno a restare in famiglia non c'è dubbio che non si integreranno; se poi in famiglia non hanno imparato a parlare in un buon italiano, non è restando in casa che lo impareranno. Tra tre anni in ogni caso dovranno iscriversi alla scuola dell'obbligo, probabilmente proprio negli stessi istituti comprensivi che ora vorrebbero tenerli fuori. Insomma il ghetto è solo rimandato. Non è che il sindaco non se ne renda conto. Lei insiste che i bambini dovrebbero essere assorbiti dalle scuole dei distretti limitrofi. Fin qui non ha ottenuto nulla, ma il braccio di ferro potrebbe andare avanti fino all'inizio delle lezioni.
Sarebbe abbastanza facile accusare la Cisint di xenofobia e razzismo. Di sicuro molti suoi elettori sono xenofobi; lei stessa non sembra impegnarsi molto per combattere questa impressione: qualche mese fa ostacolò la nascita di un centro islamico perché secondo lei "le moschee in Italia non sono previste". È riuscita perfino a espellere lo sport nazionale bengalese, il cricket, dalla Festa dello Sport di Monfalcone. Il caso delle scuole d'infanzia però è più delicato. Quello che propone, almeno in senso astratto, è ragionevole; è la stessa cosa che cercherebbe di fare un sindaco di qualsiasi altra area politica, anche progressista. Non vuole respingere i bambini "stranieri", o nasconderli sotto il tappeto. Vorrebbe semplicemente spalmarli su una superficie più vasta, in modo da favorire l'assimilazione culturale, che preferiamo chiamare "integrazione".
Com'è stato scritto fino alla noia (ma alcuni non hanno intenzione di leggere) l'emergenza stranieri in Italia è tutto fuorché un'emergenza. Non stanno arrivando molti stranieri, in percentuale: il flusso è costante ma stabile. Eppure chi soffia sul fuoco dell'intolleranza ha buon gioco a mostrare come in certe realtà gli immigrati sembra abbiano preso il sopravvento sulla popolazione locale. A una certa ora del pomeriggio sembra che in giro ci siano soltanto stranieri; e anche davanti alle scuole, altro che otto per cento. Gli immigrati tendono a insediarsi a macchia di leopardo, e questo favorisce lo sviluppo di un sentimento xenofobo sia nei quartieri dove gli italiani temono l'accerchiamento, sia in quelle larghe zone del Paese dove gli immigrati sono talmente pochi che vengono ancora percepiti come alieni dallo spazio profondo. Se davvero li si potesse distribuire più uniformemente nel territorio, sarebbe molto più facile integrarli. È in fondo il principio per cui i centri di permanenza sono stati disseminati in tutte le regioni; lo stesso principio per cui l'Italia chiede ai Paesi europei di ospitare quote più alti di richiedenti asilo. In piccolo, è la stessa logica che la Cisint cerca di applicare alla sua Monfalcone. È un distretto industriale che sopravvive alla crisi: gli immigrati sono arrivati perché cercano lavoro, e alla Fincantieri e in altre aziende della zona il lavoro c'è. Che iscrivano i propri figli già alle scuole d'infanzia è una buona notizia; significa che in molti casi lavorano anche le madri, e il lavoro è un fattore cruciale dell'emancipazione femminile. Sempre che ci siano scuole disponibili: a Monfalcone forse non ci sono. Ma sono davvero così tanti, e così prolifici, i lavoratori di cittadinanza non comunitaria in città? (Continua su TheVision)
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Il mio maestro all'Università era un gesuita e mi diceva sempre che è sempre bene essere un po' anticlericali, però questa polemica mi pare piuttosto debole. Con tutto il male che si può pensare, per la Chiesa quella di stare in un quartiere ghetto è parte integrante della sua "mission(e)" (triste gioco di parole), o no? O sarebbe preferibile che stessero solo nei quartieri nobili e conservatori della città?
RispondiEliminaIl vero problema è sempre il solito, invece, la Scuola statale dove, con le dovute eccezioni, non si riesce a fare il bene di nessuno, né dei peggiori, né dei mediocri, né dei migliori.
E non mi si chieda "cosa faresti tu?", perché non lo so.
Perfetto, se la sua missione è stare nei quartieri ghetto, si prenda la sua quota di stranieri e poveri: e se la prenda gratis, senza oneri per lo Stato, come è previsto dalla Costituzione.
EliminaA quel punto di solito ti fanno notare che non avrebbero soldi. Ma non è che possono chiedere a me contribuente soldi per la loro missione.
Invece di focalizzare l'attenzione sull'esistenza delle paritarie(che tra l'altro nn si discostano dal dettato costituzionale),mi porrei la domanda del perché la scuola statale si oppone anche a chi,tra i suoi docenti,vorrebbe vedere attuata l'autonomia scolastica.
RispondiEliminaCredo che equiparare le paritarie alle statali,aldilà del contesto ideologico(che esiste,sia chiaro)possa risolversi in un più prosaico binario economico.
Le paritarie sono già belle che pronte,banalmente.
È la proposta che fa la differenza.
Nn si capisce quel che scrive. Le paritarie sarebbero pronte a cosa? Il contesto ideologico quale sarebbe?
EliminaIo mi muovo soltanto nel "più prosaico binario economico": le scuole paritarie sono private e il dettato costituzionale prevede che si finanzino senza oneri dello Stato. Quindi: o riescono a svolgere la funzione sociale per la quale sono previste (che prevede anche l'integrazione), e riescono a svolgerla senza chiedere soldi ai contribuenti, oppure è un bene che chiudano e siano sostituite da scuole che accolgono tutti senza selezione all'ingresso.
Oltremodo qui si tratta di inserire dal primo stadio di apprendimento dei bambini per cui si avrebbero tutti i vantaggi dell'integrazione.
RispondiEliminaQuesto caso di Monfalcone rivela oltremodo la situazione in cui la scuola statale versa.
C'è voluto un esposto in procura da parte di un sindacato dove poteva essere sufficiente una presa di posizione da parte dei docenti per fermare tale deriva.
La sindaca ha giocato con la pelle dei deboli e chi dovrebbe essere dalla loro parte se n'è lavato le mani.
Date tutti per scontato che la scuola statale abbia dei problemi (senz'altro ne ha). Faccio notare che:
RispondiElimina– Si parla di scuole comunali, non statali.
– Se il "problema" sono le classi ghetto, è un problema causato anche dall'esistenza di scuole paritarie cattoliche: il pezzo parla di questo, non di Don Camillo e Peppone.
– Dove è possibile fare raffronti tra scuola pubblica e privata (diciamo dalle primarie in su), in Italia la pubblica ottiene risultati migliori.
Ciao Leonardo e grazie per le tue risposte.
RispondiEliminahttp://www.miur.gov.it/scuola-dell-infanzia
Come potrai leggere le scuole dell'infanzia vengono inquadrate in statali e private.
Oltremodo il dettame costituzionale indica che le scuole private debbano essere edificate senza oneri da parte dello Stato,ma che possano riceverne i finanziamenti per la didattica.
Con la parificazione si è voluto rendere esplicita la tal cosa,per fare un esempio è come nn voler rendere legge l'eutanasia e lasciare tutto in mano al "buon cuore",mi darai atto che la cosa puzza di manicheismo.
Il concetto di "binario economico" lo sostanzio in un banale approccio edilizio,dove la struttura atta all'apprendimento vede già il suo manufatto esistente.
Oltremodo,sempre con la parificazione,anche le linee guida ministeriali sono implementate in toto.
I costi delle parirarie sono molto esigui per lo Stato e vengono sopperiti da una alta retta,perciò coloro che mandano i loro virgulti nelle stesse nn sono dei bisognosi economici,ma dal mio punto di vista,dei deficienti sociali.
Il tutto nn inficia che si è dovuto ricorrere ad un sindacato per un esposto in procura dove sarebbe bastato un semplice rigurgito di orgoglio professionale(nn contemplato nel contratto e perciò nn retribuito)per sanare una caxxata che ha dovuto esprimere il ministro dell'istruzione in persona.
Mi pare che ci siano dei problemi Houston...
Ps
Lo scrivente è un fervido sostenitore della scuola pubblica.
http://www.miur.gov.it/scuola-dell-infanzia
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