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mercoledì 11 gennaio 2023

Invadiamo la Finlandia?

L'ennesimo articolo su quanto sia figace la scuola finlandese in cui invece di scaldare la stessa sedia il bambino finlandese ne scalda tre diverse al giorno e in mezzo è libero di esprimersi, correre, arrampicarsi sugli spigoli degli schedari, suicidarsi, l'ennesimo articolo, dicevo, è stata la goccia che ha travasato la mia pazienza e ora mi dichiaro vinto: è chiaro che la scuola finlandese è talmente superiore che non ha neanche senso pensare di ricopiarla. E allora?


Una modesta proposta: invadiamo la Finlandia, subito. Ovviamente in modo pacifico: tutti in gita scolastica immediatamente (tanto è spazio Schengen, ci metteranno un po' ad accorgersene). Entriamo con un primo contingente diciamo di cinque milioni di studenti italiani (nel senso che provengono dall'Italia, ma ovviamente anche arabofoni, pakistanofoni, sinofoni, xilofoni): ci iscriviamo tutti alle loro scuole immerse nel verde e pretendiamo di essere subito trattati come studenti finlandesi, nel puro spirito di Maastricht. Nel giro di un paio di settimane avremmo raddoppiato la popolazione di quel fortunato Paese, e forse saremo diventati tutti studenti e professori migliori. Oppure la Meravigliosa Scuola Finlandese sarà tornata quell'edificio banale in cui se parli senza alzare la mano può alzarsi un frustino. Oppure... potremmo trovare una media ragionevole tra i due sistemi, perché no?

(Qualche anno fa un giornale intervistò il sindaco di Helsinki, credo che fosse a Roma in vacanza. Gli chiesero un consiglio su come rendere Roma una città più vivibile, almeno per quanto riguarda il traffico. Lui magari dovette improvvisare, insomma scrissero che aveva proposto di allargare i marciapiedi. Helsinki fa seicentomila abitanti. Roma un po' di più. Questo non significa che non possa avere senso, in generale, allargare qualche marciapiede. Ma è ridicolo farselo dire dal sindaco di Helsinki). 

La scuola italiana ha tanti problemi, e non c'è niente di male a volerne parlare. In questa grande discussione, il genitore finlandese deluso dalla proposta educativa siracusana non dovrebbe avere più voce in capitolo di te, di me, di chiunque altro. Se la sua storia fa notizia, se diventa la discussione del giorno, è per il modo in cui riesce a intercettare pubblici diversi. Alla stampa neoliberale – ma a loro non piace essere chiamati così, e allora in attesa di trovare una definizione che a loro piaccia possiamo chiamarli servi dei padroni, che ne dite? Non fosse che come padroni lasciano un po' a desiderare, diciamo padroncini, ecco: ai giornalisti che servono i padroncini, qualsiasi notizia che screditi la scuola pubblica italiana è una buona notizia. Se poi si riesce a evocare le scuole in mezzo alla taiga, tanto meglio: non perché si intenda finanziare la scuola pubblica italiana allo stesso modo in cui i contribuenti finlandesi finanziano la loro, capiamoci bene: quel che importa è far passare l'idea che esista uno standard europeo a cui la scuola pubblica italiana non potrà mai uniformarsi: e ben venga qualsiasi rilevazione internazionale o nazionale che sembri dire una cosa del genere (anche quando l'Invalsi non lo dice davvero, non importa: i padroncini vogliono leggerlo, i maggiordomi l'hanno già pronto nel cassetto). Più si insiste sul concetto che la scuola pubblica è roba da poveri, più si crea mercato per qualche scuola in qualche bosco privato: un business promettente che per qualche disgraziato motivo in Italia non è ancora decollato. Ma la direzione è quella, e tutti i modelli alternativi che vengono proposti (scuole steineriane, montessoriane, magari tra un po' anche scuole finlandesi) alla fine puntano in quella direzione: l'importante è che siano private. E se i genitori non le vogliono pagare tanto? Beh, chiederemo allo Stato i buoni scuola. Questo è il motivo per cui il genitore finlandese che si lamenta piace a Stampa, Repubblica, eccetera. Certo, se fossero soltanto loro a parlarne, non ce ne saremmo nemmeno più accorti.

Il lamento del genitore finlandese invece piace anche a una specie di sinistra – ho un po' di pudore a usare la parola – insomma un'area sedicente progressista che nell'ideale iperboreo di una scuola in mezzo al bosco vede un Altro Mondo Possibile. In fondo che male c'è a pensare a una scuola dove invece di ruotare gli insegnanti, ruotino gli studenti da una classe all'altra? Nessun male, è un'idea interessante, ma significa aumentare sensibilmente il numero di insegnanti per studente, insomma servono soldi e in certe scuole, non chiedetemi come lo so, non ce n'è più per pagare la carta. Non dico i supplenti brevi (abbiamo avuto molte assenze per malattia quest'anno, chissà perché): la carta. Chi continua a fantasticare di modelli finlandesi e scandinavi come di qualcosa di replicabile in Italia sobbolle in quel brodo culturale che rifiuta ogni attrito con gli aspetti quantitativi della realtà, per cui poi quando c'è un'epidemia ci si domanda cosa aspetta lo Stato o il Comune a raddoppiare gli autobus – ma perché non triplicarli, o fornire un taxi a ogni cittadino? Quando poi si va al governo, questo approccio si smorza completamente di fronte alla rude evidenza della ragioneria di Stato (quella davanti alla quale aa Meloni ha calato le penne e rialzato le accise): oppure, se sopravvive, produce mostruosità come i banchi a rotelle. Esatto: il massimo di Finlandia che poteva darvi un governo italiano è stato un acquisto massiccio di banchi a rotelle, che un loro senso innovativo ce l'avrebbero (peccato che calarono nelle scuole italiane proprio nel momento in cui ogni innovazione era resa impossibile dalla pandemia). Certo, bisognava anche cambiare la mentalità degli insegnanti: come? Corsi d'aggiornamento intensivi? Prepensionarli tutti e assumerne di giovani, magari direttamente dalla Fennoscandia? Chiedo, non so. Nel frattempo il governo der merito ci ha informato che siccome ci sarà un calo demografico, ci taglieranno un po' di risorse. Siamo sempre la stessa scuola pubblica che non si è mai rimessa dai tagli drastici della gestione Tremonti-Moratti, ormai vent'anni fa. Sinceramente non riesco a capire cosa si possa tagliare ancora senza che interi settori smettano di funzionare. Probabilmente, mentre lo dico, qualche settore sta smettendo di funzionare: una segreteria qua e là impazzisce, una scuola dell'infanzia perde l'unica professionalità rimasta, una classe non riesce più a permettersi l'intervento di un esperto o di uno psicologo, e così via. Stiamo morendo dissanguati e dobbiamo pure ascoltare le favole sulle scuole modello finlandesi.

Le scuole finlandesi non sono necessariamente un modello. Diversi anni fa si trovarono in cima a una graduatoria statistica, ma nel frattempo avevano deciso di sperimentare modelli diversi e da allora la loro posizione nelle stesse graduatorie è sempre scesa. Questo non significa che non si possa imparare qualcosa anche da loro, del resto appena possibile ci proviamo. Ma si tratta di un piccolo popolo (meno di cinque milioni di abitanti), in un grande territorio fuori dalle grandi rotte migratorie. Paragonare la loro scuola alla nostra implica paragonare la loro società alla nostra: paragonare la loro società alla nostra non ha molto senso, è un'operazione che denuncia da sola la propria artificiosità, come quando Pietro Ichino voleva portare in Italia la flexsecurity danese, e nessuno riusciva a chiedergli: ma perché di tanti posti proprio la Danimarca? È davvero un modello di successo? Nessuno lo sa davvero; ma il bello dell'Europa è che ci sono tanti Paesi, piccoli, grandi, è una specie di campionario di dati statistici dove puoi selezionare quelli che ti piacciono di più e ignorare tutti gli altri. Ad esempio, se vuoi convincere i lavoratori italiani che essere più licenziabili è un vantaggio, tu scarichi il foglio elettronico più grosso che c'è e incroci i dati finché non trovi l'economia più sviluppata con la licenziabilità più alta: vicino all'incrocio sta la Danimarca, ed ecco che la Danimarca diventa improvvisamente un modello di welfare state, perlomeno nei tre mesi che servono ad abolire l'articolo 18: poi improvvisamente a nessuno frega più nulla della Danimarca, dei suoi ammortizzatori sociali e della sua rigidità fiscale; credo nemmeno a Ichino. Il sistema educativo finlandese è rimasto coinvolto in un equivoco del genere. Chi c'è stato ne parla come di una cosa interessante, con luci e ombre. 

Non si tratta comunque di qualcosa che si possa replicare nel settore pubblico italiano. Neanche se lo finanziassimo a dovere – e al contrario, lo stiamo dismettendo – neanche se la piantassimo di buttar via soldi per salvare squadre di calcio che continuano a perderne, piattaforme digitali per la promozione di contenuti artistici che basterebbe mettere su Raiplay o Youtube, presidi di militari che fingono di fare la guardia alle piazze imbracciando armi che non potrebbero usare – anche se usassimo quelle risorse per costruire scuole nuove e metterci dentro insegnanti migliori, non otterremmo la scuola finlandese. Neanche quella francese. Questo perché banalmente siamo una nazione meno ricca della Francia. I neolib – scusate, i maggiordomi dei padroni lo sanno benissimo: se insistono sulla Finlandia è solo per reclamizzare un modello privato che stenta a prendere piede. Tutti gli altri, per favore, dovrebbero smettere di credere alle favole e cominciare a dare un'occhiata ai numeri. 

Alla fine è la solita storia del Ponte sullo Stretto – questa cosa banale per cui lo stretto di Messina è lungo tre km, e una tecnologia per fare una campata lunga 3 km ancora non esiste. Se lo dici, non sei un nemico dei siciliani o del progresso: sei semplicemente uno che conosce questa informazione. Non è che il ponte non lo costruiscono a causa del tuo scetticismo, il ponte non hanno la minima intenzione di farlo. Ne parlano un po', aspettano le reazioni degli scettici e poi si nascondono dicendo ecco, lo vedete? In Italia è impossibile cambiare le cose, per via di questa mentalità. No bimbi, in Italia è possibilissimo cambiare le cose. Serve però il contributo di tutti – a partire dai padroncini. Bisogna scegliere di investire risorse serie nel settore educativo, ovvero il contrario di quello che avete scelto di fare, perché avete scelto di farlo, negli ultimi trent'anni. Non servono discorsi – cioè alla fine possono servire anche i discorsi, e anche i modelli, e anche un po' di banale senso di inferiorità nei confronti dei popoli nordici. Tutto può servire, però la cosa che serve di più sono i soldi. Se davvero accettate di metterci i soldi, la scuola può cambiare, la società può cambiare. Persino lo Stretto, che pure per molti millenni continuerà a essere lungo 3 km, prima o poi potrà essere scavalcato da un ponte: se finanzi la ricerca. (Per favore non cominciate a dire che tra Copenaghen e la Svezia un ponte c'è già. Il Baltico è un mare molto meno profondo, queste cose si imparano a scuola). 

24 commenti:

  1. Vabbé ma 'sta storia che molti insegnanti italiani di inglese parlino inglese peggio di un quattordicenne deve finire. Mi sa che abbiamo scelto di investire in posti fissi...

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    1. Se il problema è il posto fisso a tempo indeterminato, poveracci francesi e tedeschi, le cui aziende sono aduse fare contratti a tempo indeterminato.
      Deve essere per questo che sono sull'orlo della bancarotta, non è forse così? 😉

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  2. Questo pezzo me lo inquadro a futura memoria.
    Per colmare il divario nazionale rispetto alla lingua inglese, propongo di abolire il doppiaggio di film e serie, al cinema e sulle piattaforme streaming, in tutto il territorio nazionale. Più facile che raddoppiare i bus o dimezzare le accise.

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  3. A scuola puoi imparare a leggere e a scrivere in inglese, se vuoi imparare a parlare e a capire quello che ti dicono devi andare a vivere fuori.
    Che poi l'inglese parlato a Londra è diverso da quello parlato a New York o a Sydney.

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  4. Bellissimo post, davvero. Scrivo riguardo l'inglese: principalmente, è una questione di esami universitari e di organizzazione kafkiana dell'università italiana.
    Chi sceglie lingue, oltre alle lingue deve studiarsi una marea di esami connesse in maniera solo relativamente vaga alle lingue, a discapito della conoscenza della lingua stessa.
    Questo nelle altre nazioni non si fa, o si fa molto di meno. Meno esami di latino, storia e storia dell'arte, materie interessantissime e utilissime ma che probabimente lo studente non avrebbe scelto di imparare a discapito di quello che aveva scelto: le lingue.
    Che poi non è una questione solo di lingue straniere, ma riguarda tutti i corsi di laurea, solo che a lingue la gente lo nota di più, perchè l'inglese è più diffusamente conosciuto della sociologia o dell'archeologia o di quel che è.

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    1. Un tomazzo da 40 minuti strapieno di pubblicità, tanto che alla fine durerà 1 h.
      Dopo che l'autrice ha iniziato ringraziando Tizio e Caio, ho subito zippato in avanti, capitando in un punto dove diceva che la cittadinanza globale non può esistere in quanto il cittadino è indissolubilmente legto ad una Polis da difendere: di fronte a siffatta idiozia, zerovoglia di perdere 1 h del mio tempo.

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    2. Capisco...oramai la capacità di attenzione non va oltre il meme...
      In un qualche modo, col tuo intervento dai ragione alla Frezza...

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    3. Sono un'insegnante di Scienze in pensione, forse non dei migliori, però so che annoiare chi ti ascolta è la prima cosa da evitare.
      Se ascolto 5 minuti e sento roba idiota, non vedo perché dovrei annoiarmi ad ascoltare tutto quanto, mica me lo ha ordinato il medico.
      Mi dispiace, ma non è demonizzando le nuove tecnologie che salverete la scuola.

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    4. La discussione è molto divertente.
      C'è un articolo che esprime un punto di vista; una commentatrice, invece di argomentare se sia d'accordo o no scrivendo cosa ne pensi, copiaincolla in fretta e furia un link senza nemmeno prendersi il tempo di scrivere mezza riga di presentazione; un tizio si lamenta che il video non sembra così interessante e ... viene accusato di non avere pazienza!
      Perché invece copiaincollare un altrui video senza nemmeno una riga di commento è chiaro simbolo di pazienza, dedizione ed impegno... come no 😜

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    5. Insegnante di scienze in pensione credo rappresenti il modus operandi del 90% degli insegnanti ben lieti di eseguire piuttosto acriticamente le direttive più o meno geniali dei vari ministri...

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    6. O insegnante di Scienze, c'è modo di evitare le pubblicità! Faccia una ricerca su Google.

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  6. Lavoro nella scuola da 30 anni e purtroppo devo condividere ogni parola della Frezza....

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  7. Illuminante intervento della Frezza!
    Grazie a chi l'ha condiviso..

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    1. Credo che tu possa ringraziarlo di persona, visto che avete lo stesso IP...

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  8. Dottor Tondelli , lei che nella scuola ci lavora, condivide le parole di pessimismo del video?

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    1. Di sicuro non mi metto a guardare un video di 40 minuti e tra un po' cancello il link, la pubblicità si paga.

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    2. Come preferisce...mi scusi..

      Era un contributo al dibattito...
      La scuola un po' alla volta sta perdendo il suo ruolo educativo [e- duco] e sta sfornando automi ubbidienti...un po' come la maggior parte degli insegnanti del resto...

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  9. MI sfugge il riferimento alle "piattaforme digitali per la promozione di contenuti artistici", quali sarebbero?

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    1. Itsart che adesso chiude: https://www.wired.it/article/itsart-chiude-franceschini-soldi-spesi/

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  10. Giustamente in questo post si sottolinea l'importanza dei soldi in relazione al miglioramento del sistema scuola. Il Pnrr destina 19,44 miliardi di euro al “potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle università”. Apparentemente una enormità. Sono utopici? insufficienti? Destinati a investimenti sbagliati? Vorrei capire.
    Andrea

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    1. La mia impressione, dal mio soggettivo punto di osservazione di insegnante di scuola dell'infanzia di un comprensivo statale, è che siano difficilmente spendibili "bene" e che non faranno che aumentare il divario tra le poche realtà che funzionano e le molte che non funzionano.
      Esempio 1: mi sono iscritta ad un corso di aggiornamento di 2 giorni sulla didattica delle scienze (organizzato proprio coi fondi del PNRR), 16 ore di formazione laboratoriale di qualità, gratis, pranzi compresi. Ma non so fino al giorno prima se trovano una supplente; il corso lo farò solo io e non le colleghe che ne avrebbero più "bisogno", e non ho alcuna garanzia che gli strumenti che poi saranno necessari per proporre le attività ai miei bambini li potrò acquistare perché i fondi arrivano destinati a certi capitoli di spesa e non altri e le scuole possono acquistare solo in certi negozi e con certe caratteristiche.
      Esempio 2: a scuola da me abbiamo faticato a raggiungere la quota spendibile per arredi e materiali didattici del PON "ambienti didattici innovativi nella scuola dell'infanzia" perché nel progetto richiesto per ricevere i fondi (un sacco di soldi, che normalmente vediamo in più di 10 anni) bisognava privilegiare un solo spazio e mettere cose "innovative". Quindi arriveranno degli arredi bellissimi per l'angolo della lettura e per quello delle esperienze grafico-pittoriche, in una scuola dove si stacca l'intonaco dai muri, le ore delle collaboratrici (le "bidelle") non bastano mai per pulire decentemente, i giochi per l'esterno cadono a pezzi e io e la mia collega facciamo ore e ore di straordinario (ovviamente gratis) per gestire bambini problematici per cui non abbiamo nessun aiuto.
      I soldi arrivano per le cose sbagliate.
      Ora con la Scuola 4.0 (il programma ministeriale per spendere parte dei soldi del PNRR) ci si dovrà inventare chissà quale diavoleria senza conoscere le potenzialità e gli usi di quello che si va a mettere nelle aule (un po' come le LIM in ogni classe, usate cone le lavagne di ardesia), e magari senza poter acquistare quello che servirebbe perché non rientra nel progetto.
      Non mi lamento della casina della lettura che arriverà, ma del fatto che non si considerano le priorità che sono soprattutto sul personale che manca (supplenti, sostegno per i disabili anche meno gravi, alfabetizzazione per i bambini stranieri) e sulla gestione dell'ordinario.

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    2. Molto interessante, grazie. Andrea

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