25 ottobre: Santi Crispino e Crispiniano, martiri e calzolai (III secolo)
Gruppo scultoreo policromo presso la chiesa di Saint Pantaléon a Troyes (1540-1560) |
Noi pochi, noi felici, noi banda di fratelli! Agli inglesi San Crispino ricorderà invariabilmente la battaglia di Azincourt (1415), il momento più glorioso di quella guerra dei Cent'anni che a quel punto andava avanti già da ottanta; celebre non tanto perché tre quarti di secolo dopo Crécy gli inglesi continuavano a fregare la cavalleria pesante francese più o meno nello stesso modo (pioggia di frecce e poi mischia ravvicinata), ma perché Shakespeare più tardi l'avrebbe eternata mettendo in bocca al suo re ideale, Enrico V, uno dei più celebri discorsi motivazionali. Oggi è San Crispino, dice Enrico ai suoi: chi non vuole combattere vada pure, ma chi resterà se lo ricorderà per tutta la vita, e potrà dire di avere combattuto nel giorno di San Crispino, e sarà fiero di mostrare le sue cicatrici a quelli che si struggeranno di non esserci stati, e tutto quel tipo di retorica che macina carne da cannone da millenni. Agli italiani invece San Crispino ricorda un vino da tavola in cartone.
E altrove? Nel resto d'Europa Crispino e il suo collega Crispiniano sono soprattutto i santi calzolai. Il loro è il tipico caso di martiri che devono la loro popolarità, più che al martirio, alla professione che a cui sono erano stati originariamente associati. Chi fabbricava e riparava calzature, soprattutto nell'Europa del nord (in Italia erano meno conosciuti) ci teneva ad avere una loro immagine in bottega; se poi la categoria in città aveva una certa importanza e voleva dimostrarlo, facilmente avrebbe commissionato a un pittore una Sacra Conversazione coi due santi calzolai almeno in secondo piano, da sfoggiare nella cattedrale cittadina. Il pittore a quel punto sapeva di dover rendere i due ciabattini riconoscibili in quanto tali; e benché la tradizione più antica li volesse fratelli gemelli, spesso si preferiva dipingerne uno un po' più giovane dell'altro, così come in una bottega c'è sempre un apprendista e un titolare. Del resto "Crispiniano" significa "di Crispino": poteva esserne il figlio, o un ex schiavo rimasto a lavorare con l'ex padrone. Entrambi dovevano avere in mano simboli della professione: chiodi, suole, lame, martelletti, eccetera.
Le leggende a volte arrivano dopo le immagini, anzi sembrano costruite a partire dalle immagini stesse, per giustificarle; da cui l'equivoco per cui gli strumenti di lavoro vengono interpretati come strumenti di tortura. Ad esempio i carnefici infilano le lame sotto le unghie, ma esse rimbalzano contro il boia; oppure i santi sono costretti a ingoiare piombo fuso, ma un goccio schizza nell'occhio del boia, insomma il boia sembra il cliente impiccione che ficca il naso nel retrobottega e finisce per farsi male.
La passio più antica, che così antica non è (VII secolo al massimo) li vuole martiri a Soissons, capitale della provincia romana detta Gallia Belgica, che rimase uno dei centri più importanti anche nel periodo dei Franchi. A Soissons già nel VI secolo era stata costruita una basilica in loro onore, con un reliquiario realizzato da Sant'Eligio, patrono degli orafi. Il prestigio del luogo di culto declinò quando Carlo Magno decise di spartire le reliquie tra Osnabrück e Roma, dove tuttora sono custodite nella chiesa di San Lorenzo in Panisperna.
A Soissons Crispino e Crispiniano sarebbero giunti da Roma, per portare il Vangelo e calzature a prezzi popolari. Arrestati e fatti torturare dal magistrato Riziovaro, i due calzolai avrebbero reagito con tanta flemma che alla fine lo stesso Riziovaro si sarebbe gettato nel fuoco dalla stizza: come forse i calzolai pregano accada ai clienti petulanti e mai contenti.
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