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venerdì 7 novembre 2025

Il volto di Prosdocimo

7 novembre: San Prosdocimo, fondatore della Chiesa padovana


In fondo al corridoio detto dei martiri, nella basilica di Santa Giustina a Padova, c'è un ritratto di San Prosdocimo che non sappiamo bene come classificare. La leggenda dice che mori in tarda età, ma il volto che ci guarda è quello di un giovane. E ci guarda come non ci aspettiamo ci guardi un bassorilievo tardoantico: con attenzione, forse anche con un certo sdegno, ma forse lo sto proiettando. Forse appartengo a una civiltà completamente diversa, ed essendo abituato sin da piccolo lettore di fumetti a riconoscere emozioni ed espressioni dalle millimetriche variazioni delle chine di Charles M. Schultz, di fronte al volto fisso, regolare ma asimmetrico del giovane Prosdocimo mi sento interpellato: oh, ma che ti guardi? Cosa pensi che io abbia combinato?

Si tratta probabilmente della parte centrale di una più lunga lastra di un sarcofago andato perso; dovrebbe risalire al V o VI secolo, ed è decorato con le palme che indicano il martirio e sono tipiche di quel periodo: quello in cui il patrizio Opilione avrebbe fatto costruire il sacello di San Prosdocimo e la prima basilica dedicata a Santa Giustina. Anche l'iscrizione ("Prosdocimo episcopo e confessore") sembra coerente con la datazione, e però qualcosa in quel volto non torna. Non esistono altri volti tanto espressivi, nei bassorilievi di quel periodo. Si capisce che chi lo ha scolpito conosceva gli stilemi tipici dell'arte del periodo, la stilizzazione ieratica dei mosaici bizantini; li conosceva, ma forse non li accettava del tutto. Oppure è un semplice caso: anche a chi scolpisce più o meno gli stessi volti tutti i giorni può capitare un giorno di dare un colpo di scalpello di troppo, e di ottenere in modo imprevisto qualcosa di diverso da ogni altro. Poi i secoli passano, la maggior parte dei bassorilievi ordinari viene raschiata perché il marmo è prezioso e assai richiesto nei cantieri, ma quel volto così espressivo finisce nelle mani di qualcuno che non se la sente di buttarlo via. Magari per salvarlo qualcuno decide di iscriverci sopra "Prosdocimo episcopo e confessore", e pazienza se il Prosdocimo tradizionale era un vecchio con la barba. O magari nel VI secolo a Padova tutti i bassorilievi clipeati erano così, salvo che sono andati tutti persi, tranne il ritratto di Prosdocimo, unico superstite di una imprevista corrente realistica tardoantica che ha fatto perdere ogni altra traccia. Non lo sappiamo. E in generale, sappiamo veramente poco di Prosdocimo. 

Padova è una città dalla storia antichissima (i primi insediamenti potrebbero risalire a un millennio avanti Cristo) segnata da un trauma che non sarà mai del tutto chiarito: a un certo punto ha smesso di esistere, per qualche anno o per più di una generazione, negli anni tragici tra la calata degli Unni (450) e quella dei longobardi, che intorno al 600 la rasero al suolo – ma non è detto che ci fosse ancora molto da radere. Nel mezzo, alluvioni, assedi, epidemie, e migrazioni verso la vicina laguna. Altre città non si ripresero più, come Aquileia. Altre, come Venezia, nacquero poco dopo, raccogliendo i profughi. Padova in un qualche modo ce l'ha fatta, ma forse ha dovuto rifondarsi da capo. Questo spiega in parte come mai la storia del fondatore della sua Chiesa sia tanto confusa: scritta probabilmente da un monaco dell'abbazia di Santa Giustina, tra il Mille e il Millecento; e già debunkata come fake dai domenicani nel Trecento. Prosdocimo non è nemmeno il protagonista, bensì un personaggio secondario; uno dei primissimi missionari cristiani in Italia (addirittura discepolo di Pietro, o di Marco Evangelista), proveniente da Antiochia (Prosdocimo in greco significa "atteso"), evangelizzatore di Rieti e poi del Veneto centrale (oltre a Padova Asolo, Este, Feltre, Treviso, Vicenza). Purtroppo chi ha scritto la leggenda aveva un'idea molto vaga della situazione politica nel I secolo, per cui il suo Prosdocimo si ritrova in veneto ospite di un vero e proprio "re", Vitaliano, e di sua moglie Prepedigna: li converte, e in seguito ne battezzerà la figlia Giustina. Di quest'ultima avrebbe poi documentato il martirio ad opera dei Romani, che nel frattempo si erano evidentemente accorti di controllare anche il Veneto. Forse l'autore sentiva la necessità di giustificare il fatto che in molte raffigurazioni, Giustina cinga una corona (o la porti in mano, come nel mosaico di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna): è un tipico attributo del martirio, salvo che l'agiografo non lo sapeva, oppure non ne era sicuro, e quindi aveva preferito definire Giustina come figlia di un re e di una regina. C'è da dire che il culto di Giustina (e di Prosdocimo) risulta molto più antico di questa leggenda. È raffigurata, appunto, nei mosaici di Sant'Apollinare; è menzionata più volte da Venanzio Fortunato, nel VI secolo; e anche l'autore della leggenda farlocca non sembra sentire l'esigenza di infiorettarla di particolari ridondanti, come talvolta capita a chi si deve inventare una storia di martiri da zero. Giustina invece fa parte dello stesso insieme a cui appartiene Giusto di Trieste: martiri verosimiglianti, che vengono uccisi rapidamente senza immaginose torture o miracoli clamorosi. Il nome (proprio come quello di Giusto) induce a pensare che già nel VI secolo fosse una martire così antica che se n'era perso il nome: Giusto e Giustina sono i classici nomi che adopererei per nominare santi sconosciuti di cui comunque si conservano reliquie.  

Prosdocimo invece non viene martirizzato, ma rimane vescovo fino alla tarda età, il che potrebbe significare che è davvero uno dei primissimi cristiani ad arrivare in Veneto – così presto che ancora non esistono le persecuzioni sistematiche – oppure il contrario: che il martirio di Giustina è davvero uno degli ultimi, inflitto durante l'impero di Massimiano, pochi anni prima che Costantino legalizzi il cristianesimo.

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