Premessa: non sono venuto a criticare lo scrittore Baricco. In parte è troppo facile; in parte, nemmeno giusto. Peraltro io non lo conosco nemmeno bene. Il mio ambito di studi – l'ambiente in cui sono cresciuto "culturalmente", "professionalmente" – mi impone di liquidare l'argomento Baricco con sprezzante ironia, e nel corso degli anni mi sono adeguato, chi sono io per non adeguarmi. Lungo la strada mi sono anche fatto degli aneddoti, che in società funzionano abbastanza bene. Per esempio: "Baricco? Sì, beh, ho letto Seta. L'ho letto una mattina mentre aspettavo che il PC installasse la stampante".
Buffo, no? A me sembra abbastanza buffo. È anche abbastanza vero. C'è ironia, ma è ben distribuita: è il mio PC troppo lento, o sono io troppo veloce, o è Baricco un po' troppo lineare? Potrei trovare un aneddoto migliore? Non lo so, non ho mai trovato un aneddoto migliore. (Baricco potrebbe, è molto bravo in queste cose).
Baricco sta scrivendo qualcosa sulla Repubblica che lui chiama "libro", ma è paurosamente simile a un blog, di quelli prolissi. E per carità, può chiamarlo come gli pare, tanto i nomi non significano mai nulla di stabile: "blog" deriva da "log", che all'inizio in inglese significava "fare tacche sulla corteccia dei tronchi"; mentre "libro", migliaia di anni fa, significava, guarda un po', "corteccia": probabilmente tra qualche secolo libro e blog saranno sinonimi, e a nessuno interesserà conoscere la differenza (perché, adesso interessa a qualcuno?)
Baricco sta scrivendo un libro, dunque, sui barbari. Se ho ben capito l'idea è descrivere la contemporaneità come una fase di transizione, di decadenza, in cui si attendono questi barbari, che possono arrivare da qualunque parte, e avere qualsiasi forma. In questa puntata, i barbari sono gli americani, e i loro gusti in fatto di vino.
Parlare di decadenza è sempre molto delicato. Le decadenze sono un po' angosciose (in realtà sono gli unici periodi in cui valga la pena vivere). Molto spesso la decadenza è solo uno stato della mente – da che mondo e mondo c'è sempre stato un intellettuale vivente convinto di trovarsi in una fase di decadenza. Di solito, quando cominci a vedere le cose in questo modo, sei pronto per la svolta riformista moderata. Non c'è più religione, si stava meglio quando si stava peggio, eccetera eccetera. Io ho imparato che una persona di questo tipo si chiama laudator temporis acti. In tutti noi c'è un laudator temporis acti.
La cosa fantastica è che c'è anche nei barbari. Cosa c'è di più tradizionalista di un vecchio barbaro. Stilicone, Ricimero, Teodorico: ci credevano più loro, nell'Impero Romano, che i mediocri latinissimi senatori del tempo. Se l'arrivo dei barbari è la fine di un'era, di una tradizione, di una memoria, barbaro è, appunto, chi non ha memoria, e quindi non sa nemmeno di essere un barbaro – se l'è scordato. Nell'ambiente in cui sono cresciuto (senza divertirmi molto) Baricco è proprio questo tipo di barbaro. Si fa avanti a colpi d'ascia, dove passa lui non cresce più l'erba, ma non se ne accorge. È convinto che il vero barbaro è quello che arriverà dopo di lui (c'è sempre qualcuno più barbaro che incalza). Sentite come parla del vino americano:
non ha un nome, così, per capirsi, gliene do uno io. Vino hollywoodiano. Ecco alcune sue caratteristiche: colore bellissimo, gradazione abbastanza spinta (…), gusto rotondo, molto semplice, senza spigoli (senza tannini fastidiosi né acidità difficili da domare); al primo sorso c'è già tutto: dà una sensazione di ricchezza immediata, di pienezza di gusto e profumo; quando l'hai bevuto, la scia dura poco, gli effetti si spengono; interferisce poco con il cibo, ed è pienamente apprezzabile anche solo risvegliando le papille gustative con qualche stupido snack da bar; è fatto per lo più con uve che si possono coltivare quasi ovunque: Chardonnay, Merlot, Cabernet Sauvignon. Dato che è manipolato senza troppi timori reverenziali, ha una personalità piuttosto costante, rispetto alla quale la differenza delle annate diventa quasi trascurabile. Voilà.
Secondo voi se ne rende conto, Baricco, che parlando di mosto fermentato in realtà è di sé stesso che parla? Del suo stile rotondo, molto semplice, senza spigoli? Oppure qui, nel finale:
Se poi tornate al vino hollywoodiano, ne scegliete uno (magari esagero, ma sono talmente simili che potete scegliere quasi a caso) e tranquilli ve ne sorseggiate un bicchiere, seduti davanti a un'enoteca piacevole, capirete molte cose. Vi piacerà, sarete felici di stare lì, e, se non siete raffinati e colti bevitori, avrete perfino l'impressione di aver trovato il vino che avevate sempre cercato. Ma è indubbio che è un'altra cosa. […]
Vino senz'anima. Nel suo piccolo, il microcosmo del vino descrive l'avvento, a livello planetario, di una prassi che, salvando il gesto, sembra (ho detto sembra) disperderne il senso, la profondità, la complessità, l'originaria ricchezza, la nobiltà, perfino la storia. Una mutazione molto simile a quelle che cercavamo.
L'articolo (se vi va chiamatelo post, non cambia nulla) è interessante, vivace, si legge d'un fiato, e per cinque minuti risulta convincente. Poi ci ripensi, e ti rendi conto che tutta l'analisi socio-enologica di Baricco non sta in piedi. Ora però mi sembra di aver scritto abbastanza, se ne riparla domani. Con un'avvertenza: io non ero venuto a criticare Baricco, e cercherò anzi di parlarne bene, perché in fin dei conti è un modello per me, o almeno dovrebbe esserlo. Prendo tempo soltanto perché faccio fatica a spiegarmi (lui non farebbe tutta questa fatica).