Obama ai palestinesi: sarà pace
E subito penso: wow, forte Obama. Poi leggo meglio:
Obama ai palestinesi: sarà pace
'Israele, Gerusalemme capitale'
E comincio a pormi il problema. Perché, ecco, magari il lettore medio di Repubblica non lo sa (e non ha il dovere di saperlo - anzi forse ha il diritto di non saperlo già), ma quelle due frasi lì non potrebbero stare insieme. E' come se la prima dicesse: Bianco, e la seconda: Nero. In effetti la prima dice: "Pace". La seconda magari non ne ha l'aria, ma dice: "Guerra". Mi dispiace, davvero, non credo che Obama sia una cattiva persona, ma dice così.
A questo punto bisogna spiegare cosa c'è di sbagliato nell'indicare Gerusalemme Capitale. Gerusalemme è già la capitale di Israele, no? Non proprio. Cioè: per gli israeliani sì. Gerusalemme è la capitale israeliana "complete and united" per legge, dal 1980. Ma l'Onu, che per la città aveva altri piani, considera quella legge una violazione del diritto internazionale. Di fatto, le ambasciate risiedono a Tel Aviv. Nessun Paese membro dell'Onu, a parte Israele, riconosce alla città santa lo status di capitale israeliana. Nemmeno gli Stati Uniti di George Malvagio Bush. Finché un giorno arriva Obama. Incontra i palestinesi. E gli dice quel che ha detto. Chissà i salti di gioia a Ramallah.
Ma poi l'avrà detto davvero? E' estate, fa caldo, può darsi che l'istintivo entusiasmo per Obama abbia giocato un brutto tiro all'articolista, vediamo. Scorro l'articolo e ci capisco meno di prima. E sono uno che un po' di Medio Oriente lo mastico, figuratevi il lettore digiuno. Giudicate voi.
Sul futuro di Gerusalemme il senatore dell'Illinois ha però precisato: "Quello di capitale è uno status finale che dovrà essere deciso dai negoziati e in accordo con i palestinesi. La comunità internazionale, inclusi gli Usa, non riconosce la rivendicazione israeliana di Gerusalemme come sua 'eterna e indivisa capitale'"Se ho capito bene: Capitale sì, Unita e Indivisibile no. Ecco, questo rappresenta una cauta apertura alla Palestina, o almeno ad Al Fatah, che ha sempre reclamato Gerusalemme Est come capitale del futuro Stato palestinese. La dichiarazione è importante soprattutto se si confronta con una di Obama di inizio giugno, in cui Gerusalemme era considerata non solo capitale israeliana, ma anche unita e indivisibile. A questo livello, un palestinese moderato come Abu Mazen può ritenersi persino ottimista per il solo fatto che Obama sia andato a trovarlo a Ramallah - anche perché l'alternativa è un McCain che con i palestinesi nemmeno ci vuole parlare; poi bisognerebbe anche verificare quanti palestinesi ancora si sentano rappresentati da un moderato come Abu Mazen, dopo vent'anni di prese in giro: ma è un altro discorso.
Torniamo alla dichiarazione di Obama. Ce la leggo soltanto io, tra le righe, una certa arroganza? Da una parte il candidato sa già dove vuole arrivare: Gerusalemme Centro agli israeliani, e Ger. est ai palestinesi. Però, attenzione, quello è solo lo "status finale" a cui arrivare dopo tanti negoziati. Come a dire: discutete pure, basta che alla fine si arrivi alla conclusione che ho proposto io. In pratica si chiede ad Abu Mazen (e solo a lui: se Hamas vince di nuovo le elezioni, ciccia) di star seduto, stringer la mano al premier israeliano di turno e sorridere per altri 2-3 anni, per arrivare a un risultato che magari i consulenti di Obama hanno già messo nero su bianco in un dossier.
D'altro canto è abbastanza ingenuo leggere una dichiarazione così dal punto di vista dei palestinesi. In questo momento piacere ad Abu Mazen è l'ultimo problema di Obama. Il dieci per cento dell'elettorato americano dà l'impressione di credere alle storie che lo dipingono come un musulmano travestito da cristiano. In una situazione del genere un viaggio in Israele gli serve soprattutto per mettere una solida pietra sui pettegolezzi, per farsi inquadrare con la quippah in testa, per rassicurare gli israeliani, e soprattutto gli americani che a Israele ci tengono. Che poi ci possa scappare una cauta apertura ad Abu Mazen, è quasi miracoloso. Insomma, la dichiarazione di Obama vuol dir poco, ma poco è meglio di niente.
Forse, più che la dichiarazione, il problema è l'articolo che ci sta intorno; e ancora più dell'articolo, il titolo che ci sta sopra. Quando si critica il messianismo di Obama, si intendono casi come questi: non c'è un politico al mondo che a proposito della Palestina non si sia riempito la bocca della parola "pace". Ma se lo dice Obama, sembra che "pace" da parola debba diventare al più presto realtà. Obama dice "pace", e improvvisamente i palestinesi smettono di avere motivi per farsi esplodere o dirottare i bulldozer. Conta poco o niente che la "pace" proposta da Obama risulti alla maggior parte degli abitanti dei Territori un ultimatum inaccettabile; l'importante è accreditare Obama come uomo nuovo in possesso di soluzioni. Anche se a ben vedere sono soluzioni che rischiano di sorpassare a destra quelle di Bush. Ma Bush è il passato: Obama è il nuovo, e ciò che è nuovo è buono.
sarebbe necessaria una risposta piu' articolata, magari con un post, ma sono in ferie e connesso via umts quindi mi limito a due osservazioni.
RispondiElimina1. non credo che sia accusabile di arroganza perche' non siamo all'anno zero delle trattative e si sa che quella della divisione di gerusalemme e' una delle soluzioni possibili. il fatto poi che vengano dati dei punti fermi (in questo caso gerusalemme capitale) e' anche questo una cosa normale in una trattativa.
2. il limite vero che vedo nella proposta é il velleitarismo: non mi sembra possibile che le due capitali possano convivere cosí vicine almeno nella prima fase.
www.marcocampione.it
Beh scusa, Leo: Obama e' solo mezzo nero, mica tutto scemo.
RispondiEliminaSe guardiamo alle due aree etnico-religiose-culturali schierate sugli opposti versanti del conflitto arabo-israeliano, in tutti questi anni gli USA cosa ne hanno ricevuto?
Da un lato, un contributo fondamentale alla vita culturale e (perche' no) economica americana (campagne elettorali incluse, tanto li' e' tutto alla luce del sole), nonche' un alleato sicuro.
Dall'altro, il petrolio (che tanto gli avrebbero venduto lo stesso: il denaro del Grande Satana non puzza), qualche fanatico razzista alla Farrakhan e un buco in mezzo a Manhattan.
Se fossi non dico Obama, ma un americano qualunque, ne' bianco ne' nero ne' particolarmente mona, verso quale parte s'indirizzerebbero piu' spontaneamente le mie simpatie?
Mumble-mumble, what a tough decision... sara' per quello che si e' preso 300 consulenti di politica estera.
secondo me se obama dice "pace" non è la stessa cosa di un pirlocchione qualunque: lui potrebbe davvero incidere sul processo in corso (si può dire in non-corso?), cioè se diventa presidente degli stati uniti.
RispondiEliminariguardo al sorpassare a destra bush non sarà facilissimo. voglio dire: se non comincia nuove guerre sarà comunque più a sinistra, no?
come immagini debba essere un candidato alle presidenziali americane? cioà qualcuno in grado di prendere poco più della metà dei voti della minoranza che va a votare?
affanculo israele e trattative con l'iran?
di sicuro c'è stato un candidato così, solo che non ha superato neanche le primarie del suo appartamento.
parliamo di qualcuno che voglia vincere, non qualcuno che prenderà il 2-3 percento dei voti con un vero programma di sinistra. questo c'è già.
ah, a proposito: anche in italia ci sono stati candidati che (in buona sostanza) hanno detto affanculo israele e trattative con l'iran, ma io mica li ho votati!
sono sicuro che se obama sarà eletto sarà un gran minchione, ma (diobono) un altro presidente repubblicano no, per favore. no!
Di regola, un Presidente degli Stati Uniti è minchione solo quanto il più minchione dei suoi consiglieri. Poi ci sono i casi patologici come Nixon, ma GWB rispetta in pieno la regola (a proposito, dov'è finita Condi?)
RispondiEliminaE poi non dimentichiamo che Obama è un avvocato.
Parlare di fini punti di politica estera partendo da un articolo di Repubblica e' come parlare di matematica partendo dagli scritti di Aldo Biscardi.
RispondiEliminaQuel che dice Obama adesso non conta niente, parla da candidato, non ha idea di come andranno le cose da qui a gennaio, certo non lancia segnali tramite Repubblica (e se anche ci provasse probabilmente Repubblica non li capirebbe).
Comunque, per dirla alla Altan, i palestinesi possono solo scegliere l'ombrello, e Obama almeno ha quello con il profumo di utopia.
obama non ha le idee chiarissime sul punto. a giugno, al convegno dell'AIPAC, importante lobby pro-israele, aveva pronunciato la famigerata frase (gerusalemme deve rimanere la capitale di israele e non puo' essere divisa) che stupi' tutto il mondo. pochi giorni dopo ritrattava, dicendo che quella decisione doveva essere presa dalle parti in negoziato. dalla lettura dei quotidiani americani e della bbcnews non sembra che obama abbia ripetuto quella dichiarazione "forte" durante la sua visita (anzi, da allora continua a dire che si e' trattato di "poor phrasing") ma alcuni cronisti in conferenza stampa hanno sollevato il tema e obama avrebbe risposto, secondo il NY Times, che gerusalemme dovrebbe essere la capitale ma che "It is not the job of the United States to dictate the form in which that will take"
RispondiEliminaSe posso riassumere:
RispondiElimina1. Prima ha detto che Gerusalemme sarà capitale e indivisa, scavalcando di fatto a destra tutte le presidenze USA e dimostrando quantomeno una certa superficialità nell'affrontare il problema.
2. Poi ha ritrattato dicendo che Gerusalemme si può anche dividere (e a questo punto avrà fatto incazzare anche israeliani ed ebrei americani: prima dici una cosa e poi la ritiri...)
3. Infine ha aggiunto che questa è la conclusione alla quale non deve arrivare lui, ma le due parti dopo qualche altro anno di negoziato: il che, se uno non è affetto da obamania, appare vagamente ridicolo: riesci ad apparire attendista e arrogante in un colpo solo.
Dire che Gerusalemme non è proprio la capitale di Israele mi sembra un po' pretestuoso. In che senso la comunità internazionale non la riconoscerebbe come capitale? O meglio: in che senso uno stato può o meno riconoscere la capitale di un altro stato?
RispondiEliminaDi solito per capitale di uno stato si intende la sede del potere (oggidì spesso esecutivo; ma quando sciaboletta fuggì in Puglia, la capitale d'Italia si mosse con lui); in tal caso c'è poco da riconoscere: dove è il palazzo, lì è la capitale. Una definizione più relativistica - la capitale di uno stato A secondo uno stato B è la città che ospita l'ambasciata di B all'interno di A - è inutilmente problematica; se B riconosce A come stato, gli riconoscerà pure il diritto di scegliersi una sua capitale...
Piuttosto, parlando di problemi reali, Gerusalemme indivisa o divisa a me ricorda molto da vicino il ritiro da o dai territori occupati. Ma quella famigerata differenza tra le versioni inglese e francese non può essere ridotta ad una svista del traduttore; la 242 fu in realtà un modo per lavarsi le mani; gli angloamericani dicendo che non era compito della bozza implementare una linea di confine, gli altri dicendo che votavano la bozza inglese interpretandola nello spirito di quella dei paesi non allineati (che prevedeva il ritiro integrale sui confini precedenti la guerra); cancelliere metta a verbale, e poi poi ognuno a casa con una versione ufficiale eventualmente da impugnare.
Finchè non si acquisisce questo dato e si insiste a ripartire sempre da lì, non si arriverà mai da nessuna parte - e intanto il più forte fa quello che vuole...
PS: Comunque la CIA la chiama capitale...
Per l'Onu Gerusalemme non è la capitale di Israele; tutte le ambasciate hanno sede a Tel Aviv. Compresa quella americana, direi. Quindi la prima affermazione di Obama era un po' avventata.
RispondiEliminaIl punto è che l'Onu ha riconosciuto l'esistenza di Israele, ma non l'occupazione israeliana di tutta la città.
Leonardo, purtoppo non è proprio così, e di fatto te ne rendi conto anche tu.
RispondiEliminaLa risoluzione 478 del CdS (passata con un 14-0-1, USA astenuti) che dichiara nulla la "Jerusalem Law" lo fa proprio perchè in essa si parla di indivisibilità di Gerusalemme.
Formalmente ciò era scomodo per l'ONU, che ancora insisteva su uno status peculiare per Gerusalemme sotto il suo controllo, con sullo sfondo la prospettiva dei due popoli due stati, e la famigerata 242, che deplora l'acquisizione di territorio con l'uso della forza (la storia dell'umanità) ed auspicava un imprecisato ritiro da territori occupati nel conflitto del '67 in cambio di pace o viceversa.
Tuttavia va detto che l'ONU non ha mai prescritto una precisa linea di confine, nè approvato l'occupazione giordana della west bank.
Ma ancor di più, in quel momento doveva preoccupare l'irrigidimento israeliano, l'unilateralità nella promulgazione della legge (ma di lì a poco il Libano); specie in un contesto in cui Israele e l'Egitto erano appena riusciti ad arrivare ad una sostanziale pace in cambio di un ritiro quasi integrale dai territori egiziani occupati.
La risoluzione invitava simbolicamente gli stati membri a ritirare le ambasciate da Gerusalemme fin quando Israele non avesse fatto un passo indietro; il problema è che solo una dozzina di stati avevano al tempo l'ambasciata a Gerusalemme, mentre la quasi totalità elle altre nazioni aveva sempre avuto ambasciate intorno a Tel Aviv.
A complicare lo scenario, il congresso americano ha legiferato nel 95 per il trasferimento dell'ambasciata a Gerusalemme; inoltre se è vero che tra il 2005 d il 2006 le ultime ambasciate nella zona urbana di Gerusalemme sono state ritirate, è vero pure che alcuni stati conservano la loro ambasciata nei suoi sobborghi.
Però questo è diverso (almeno ai miei occhi, non sono un esperto di diritto internazionale) dal dire che Gerusalemme non è proprio la capitale di Israele.
Quello che mi preme aggiungere è che non lo dico per pignoleria o per avere ragione; chissenefrega di avere ragione quando c'è in ballo la gente che muore.
Se lo dico è colo perchè gli "amici di Israele" non aspettano altro che coglierti in fallo su questi dettagli: se citi male in base a quale capitolo della carta dell'ONU Israele ha ricevuto le condanne dall'ONU, se sostieni che la linea verde è la linea di confine di riferimento, se parli di ritiro dai (invece che da) territori occupati, e compagnia.
Il senso è: non dargli quest'arma da impugnare; ci sono così tanti argomenti sostanziali su cui ragionare che impelagarsi in questioni formali...
Ciao, e scusa per eventuali refusi.
Inevitabilmente ero inevitabilmente...
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