A un certo punto - non rivelo nessun punto saliente della trama - Brad Pitt e Marion Cotillard stanno scappando in automobile. Brad si ferma un attimo davanti a un negozio perché deve sistemare una questione. Marion lo aspetta a bordo, con la bambina in braccio. Lui ha promesso di far presto, invece ci sta mettendo un po', e quindi lei non sa che fare. Non può entrare con la bambina, non può restare ferma lì. Dentro il negozio in effetti stanno succedendo delle cose, ma niente che non accada tipicamente nei film: rivelazioni, sparatorie. Soltanto un pretesto. Quello che veramente importa è nell'auto: l'attesa, l'angoscia, la bambina che è insieme un ostacolo e il senso di tutto quello che sta succedendo.
A un certo punto pensavamo di aver perduto Robert Zemeckis. Il regista di Ritorno al futuro 2, di Roger Rabbit, della Morte ti fa bella, aveva deciso di concentrarsi sull'animazione, e in particolare di quella branca dell'animazione in digitale che fin qui ha dato a investitori e spettatori meno soddisfazioni: la performance capture. Polar Express e A Christmas Carol erano due esperimenti freddissimi, come certe feste organizzate più per dimostrare le proprie capacità che per mettere a proprio agio gli invitati. La performance capture non è né animazione disegnata né realtà filmata: è una sfida della tecnologia digitale a entrambe. Un giorno vincerà, e gli attori saranno sostituiti da manichini digitali assolutamente identici ai modelli. La carriera delle star degli ultimi trent'anni (una generazione già longeva di suo) si prolungherà di qualche secolo: che bisogno c'è di cambiare le facce quando il pubblico è già affezionato a quelle vecchie? Qualche attore ringiovanito digitalmente lo abbiamo già visto. La scelta della Walt Disney, che dopo la morte di Carrie Fisher ha deciso di non utilizzare più la sua versione digitale, non ci incanta: ci aspettano altri cent'anni di Tom Cruise, di Di Caprio, di Matt Damon. Persino di Brad Pitt.
Non tanto l'uso del green screen, quanto il voler farcelo notare. |
Qualche volta azzecca il prodotto giusto, qualche volta rimane impantanato in un disastro (World War Z), ma ne esce sempre abbastanza dignitosamente. Dall'incontro con Tarantino sembra che abbia sviluppato un'ossessione per la Seconda Guerra Mondiale che in realtà ha perfettamente senso: ai film di guerra servono eroi tutto d'un pezzo, non troppo dinamici, meglio se laconici e imbronciati. Senz'altro gli anni '40 sono più congeniali a Pitt di un'apocalisse zombie o dell'assedio di Troia. La spia di Allied è in un qualche modo complementare al capitano del tank di Fury: tanto quest'ultimo era rassegnato a non sopravvivere alla distruzione di cui ormai faceva parte, tanto il primo si ostina a difendere un'oasi domestica di pace che forse era una menzogna sin dall'inizio: un picnic sul prato dove nottetempo è precipitato un bombardiere. È una spia fragile, in un mondo che non tollera debolezze.
A un certo punto la Disney ha chiuso lo studio di performance capture fondato da Zemeckis, dopo averlo rilevato: e il regista si è rimesso a fare film dal vivo. Questo almeno è quello che ci fanno credere. Ma Flight e Allied sono film strani proprio perché insolitamente convenzionali. È difficile spiegare perché, malgrado abbiano tutto quello che ti aspetti da un film, non sembrino veri film, sembrino... finti. Ma tutti i film sono finti, no? Sulla carta Allied è l'ennesima rivisitazione di luoghi comuni del film di spionaggio ambientato negli anni della guerra, con le suggestioni del caso: Orson Welles, Hitchcock, Casablanca. Sullo schermo... c'è qualcosa che non torna, ma è difficile dire cosa. Ci sono sfondi straordinari che è inevitabile immaginare rifatti al computer. C'è un senso della composizione che vince sulle necessità narrative (eppure la storia funziona, e avvince). C'è ancora qualche traccia di quel senso di freddezza che si provava davanti a Polar Express e a Christmas Carol. E infine, ci sono Marion Cotillard e Brad Pitt, in diverse scene le uniche due persone a sembrare vere nell'inquadratura: salvo che appunto, lei è troppo perfetta per esserlo davvero. Solo Pitt, con la sua faccia tirata, sembra garantirci che Zemeckis non lo abbia già sostituito col replicante digitale di sé stesso, che Allied non sia che un colossale scherzo tirato agli spettatori.
A un certo punto la performance capture vincerà: gli archivi di tutto il mondo forniranno agli sviluppatori tutte le fisionomie e le espressioni degli attori più importanti, e finalmente li vedremo interpretare qualsiasi ruolo nell'interpretazione migliore possibile, secondo algoritmi sempre più sofisticati. Ogni tanto magari qualche attore vero insisterà per recitare la sua parte sullo sfondo verde, e come faremo a capire che anche quell'attore non è una rielaborazione digitale? Lo noteremo dai difetti, come notiamo Brad Pitt. Che non è mai perfetto, e a un certo punto abbiamo capito che gli vogliamo bene proprio per questo.
Allied è al Cinecittà di Savigliano (21:30); al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:00, 22:40); al Citylplex di Alba (19:30, 22:00); all'Italia di Saluzzo (17:00, 21:30); al Vittoria di Bra (21:00)
Speravo in una tua recensione di Silence :(
RispondiEliminaAnch'io.
EliminaMi hai fatto venire in mente quell'assurda ed inquietante pellicola di qualche anno fa: Il congresso.
RispondiEliminaEh.
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