(Il disco precedente: Dylan
Il disco successivo: Another Self Portrait).
Di tutti i brani bizzarri e incongruenti di New Morning, il più strano resta Went to See the Gypsy. Per un attimo i versi tornano a essere lucidi e inconsistenti come nei momenti più enigmatici di John Wesley Harding. La melodia è inafferrabile, al punto che Al Kooper non riusciva a trovare un modo di arrangiarla: non è un giro armonico, non c'è una strofa o un ritornello, tutto gira intorno a un accordo che cambia ogni tanto, in modo prevedibile e tuttavia imprevisto, una specie di trance onirica. Come nei sogni degli adulti, non è che succeda un granché. Dylan sente di essere al cospetto dello Zingaro, e che ogni discorso sarebbe insoddisfacente. Tutto quel che sente è "Bene bene" e "Come stai?": Dylan risponde ripetendo la domanda. A quel punto lo Zingaro potrebbe ripetere "Bene", e il sogno si avviterebbe su sé stesso. Ma all'improvviso Dylan non è più lì: si ricorda che deve fare una telefonata. Se è il 1970, di sicuro deve telefonare a casa per sapere come stanno i bambini. Sembra che non riesca a pensare ad altro: la famiglia, i bambini, la vita è tutta qui. E poi di nuovo all'improvviso spunta dal nulla una ballerina: perché non sei più con lo Zingaro? Questo era il sogno dello Zingaro! Ritorna da lui. "Lui può tirarti fuori dal retro (He can move you from the rear), condurti lontano dalla tua paura, attraverso lo specchio. Lo ha fatto già a Las Vegas, lo può fare anche qui". Quindi almeno sappiamo che non siamo a Las Vegas. Ma siamo sicuramente in un sogno, perché - come capita nei sogni - indietro non si torna. Dylan ci prova: la porta è aperta, ma lo Zingaro se n'è andato. In compenso ha scoperto dov'è: in Minnesota. A quel punto può svegliarsi. Ha visto lo Zingaro. Non è che ci abbia parlato. Ma non c'era niente che ci si potesse dire, in fondo. Avrà funzionato?
Dylan non ha mai voluto incontrare Elvis Presley, da sveglio. Altri approcci con i divi di quell'era forse lo avevano intimorito (Jerry Lee Lewis era stato molto brusco). Non sarebbe stato difficile organizzare un incontro a Las Vegas o Graceland, ma cosa ne avrebbe guadagnato? A inizio anni '70 Presley non era ancora quell'entità più grande della vita e del rock'n'roll che sopravviveva fagocitando sé stessa. Dylan deve averci pensato. A un certo punto delle sessioni di New Morning voleva registrare finalmente Tomorrow is a Long Time, un suo brano dei tempi dei Witmark Demos che Elvis aveva ascoltato nella versione di Odetta e registrato in un disco del 1966, uno dei momenti opachi della sua carriera. Di nessuna cover Dylan si dichiarava più fiero che di quella di Elvis.
Non è curioso che nel 1970 gli capitasse di pensare più spesso al Re. Aveva venerato altri musicisti più o meno famosi, e aveva conosciuto altri cantanti caduti in disgrazia, ma solo a Elvis era riuscito il secondo avvento: lo strepitoso ritorno alla forma avvenuto nel Natale del 1968, dopo gli anni bui passati a girare pessimi film e registrare mediocri colonne sonore. Due anni dopo Elvis trionfava incontrastato nella Mecca che un tempo lo aveva respinto, Las Vegas. La domanda inconfessabile che grava sulla nebbia di Went to See the Gypsy non può che essere: potrò tornare anch'io, dal retrobottega al palcoscenico? Perché ultimamente non so più cosa sto facendo. La gente continua a comprare i miei dischi, ma io non mi riconosco più nelle mie canzoni. All'inizio era un gioco, ma adesso davvero non so più dove sono. Ci sarà un Nuovo Mattino, anche per me? Il primo titolo proposto da Dylan era molto diverso: Down and Out on the Scene, Derelitto sul palco. Una pessima idea, ancorché sincera.
È da un po' che Dylan si agita sul ring come un campione suonato. Dopo aver pestato come un fabbro per otto round, da qualche tempo ha iniziato a fare mosse veramente strane, a incassare colpi assurdi. Sulle prime abbiamo pensato che scherzasse, o che la tirasse in lungo per questioni personali - magari ha promesso all'impresario di far durare l'incontro fino al quindicesimo, va' a sapere. Dai, smettila Bob, lo sappiamo che sai fare meglio di così. New Morning è il momento in cui cala la maschera: qui Dylan non sta cercando di fare il cowboy o il crooner. Non sta fingendo, non sta scherzando coi suoi compari in cantina, non fa il buffone, non vuole allontanare un pubblico molesto o vincere una scommessa. In New Morning Dylan vuole ricominciare a fare sul serio. Vuole ritrovare sé stesso. Salvo che non ci riesce. Sé stesso non c'è più.
Lo vedi andare al tappeto e non sta fingendo: sembra proprio cotto.
Al telefono, Johnston mi chiese se stavo pensando di incidere qualcosa. Sicuro. Visto che i miei dischi vendevano ancora, perché non avrei dovuto inciderne di nuovi? Non avevo molte canzoni, ma c'erano quelle che avevo scritto per MacLeish. Potevo aggiungerne qualcun'altra e finire il lavoro in studio se proprio dovevo, e Johnston era impaziente di cominciare. Lavorare con lui era come mettersi al volante da ubriachi. (Chronicles I).
Per esempio: non può essere andata così. È abbastanza improbabile che le sessioni di New Morning siano cominciate perché il produttore Bob Johnston aveva voglia di "incidere qualcosa". Non nella primavera del 1970, quando Johnston ha appena finito di remixare Self Portrait. Non siamo più nei primi anni Sessanta, non ha più nessun senso commerciale per un artista pubblicare due LP a distanza di pochi mesi - ora sarebbe una mossa autolesionista farsi concorrenza da solo. Eppure il grosso delle incisioni di New Morning, Dylan lo produce ai primi di giugno, proprio mentre SP arriva nei negozi e comincia a scalare le classifiche - perché malgrado tutto, la merda vendette bene; e le recensioni perplesse o perfide sarebbero arrivate solo nelle settimane successive.
Nel giro di una settimana ero agli studi Columbia di New York con Johnston al timone, convinto che tutto quel che incido io è fantastico. Come al suo solito. È sicuro che stiamo per fare il colpo grosso e tutto sta in piedi. Al contrario. Mai niente stava in piedi. Neanche dopo che una canzone era finita e registrata stava in piedi.
In seguito Dylan ha più volte smentito di aver cominciato a registrare New Morning così presto per rimediare alla figuraccia rimediata con SP ("Non ho mai detto: Oddio, questo non piace - registriamone un altro"), e in un certo senso non si tratta di una bugia. Non era il giudizio altrui che temeva. Sapeva già di aver mandato fuori un disco sbagliato e no, nel 1970 non aveva ancora tutta questa voglia di trattarlo come un esperimento sociologico e lasciare che decantasse, alienando una frazione più o meno grande del suo pubblico. Col proseguire dell'estate le recensioni cominciavano a uscire, e a quel punto Dylan andò davvero in confusione, esasperando Al Kooper che si era ritrovato l'onere di lavorare agli arrangiamenti: il timoniere Johnston era assente, forse in ferie. Dylan, che era partito con l'idea di inserire arrangiamenti orchestrali come in Self Portrait, aveva scoperto che a critici e pubblico proprio non piacevano. Un giorno si era messo in testa di registrare una nuova versione di Blowin' in the Wind; la provò quindici volte; niente da fare. "Cambiava idea ogni tre secondi", dice Kooper, "alla fine lavorai come per tre album... Quando fu tutto finito, non lo volevo vedere più".
Ero appena arrivato a Woodstock dal Midwest, dal funerale di mio padre. Ad aspettarmi sul tavolo c'era una lettera di Archibald MacLeish, uno dei Poeti laureati d'America.
Il resoconto di Dylan dei due incontri con MacLeish è appena un po' meno elusivo del sogno con lo Zingaro: MacLeish gli parla di letteratura, lo interroga sulle sue letture (Dylan è abbastanza onesto sulle sue lacune), lo conforta sulle sue doti di poeta. Quanto al musical sul diavolo, Dylan afferma di aver capito subito che non era materiale per lui. "Era un'opera cupa. Dipingeva un mondo paranoico, fatto di colpa e paura, in uno stato di perenne oscuramento, a testa bassa contro l'era atomica, pieno di inganni e slealtà. Non c'era molto da dire né da aggiungere". In fondo si sarebbe potuto dire la stessa cosa del lato B di Bringing It All Back Home - MacLeish non aveva pensato a lui per caso. Invece di ritorno a casa, Dylan comincia a scrivere inni alle gioie della vita rurale: New Morning, Time Passes Slowly, e un brano che più di ogni altro assomiglia a una preghiera ebraica: Father of Night. Il titolo glielo aveva proposto MacLeish, pensando a Satana: ma il Padre della canzone è un Ente benigno "che porta via l'oscurità". Quando nel successivo incontro MacLeish gli chiede la ragione di tanto ottimismo, Dylan non trova le parole (continua sul Post)
Complimenti bellissima recensione, veramente molto interessante!! New morning per me è un album affascinante certo, molto leggero, melodioso, solare per alcuni aspetti ed anche profondo in alcuni versi, però complessivamente siamo molto lontani dalle vette migliori di questo immenso artista : in fondo gli album più potenti e significativi sono altri e li conosciamo tutti, questo si accomoda in quei tipici dischi di terza fascia (più o meno) belli da ascoltare di tanto in tanto per divertirsi e diversificare gli ascolti, ma alla fine si ritorna sempre ad opere ben più corpose e significative quando si vuole ascoltare musica "rock" di tutt'altro valore (vedi ad esempio highway 61 revesited, blonde on blonde, blood on the tracks etcc !!!
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