Con quanto entusiasmo accoglie l'incarico |
E perché poi non dovrebbe essere esistito, Prospero di Reggio? Non c'è una città d'Italia, non c'è un paese o anche solo un accrocchio di case che non possa invocare un santo protettore; perché anche i reggiani non dovrebbero averne uno? Non sono anch'essi esseri umani? Bella domanda.
Scherzo, voglio tanto bene ai reggiani.
Come si fa a non volergliene.
Come si fa a non volergliene.
Poverini. In tanti anni che spulcio e scopiazzo biografie su santiebeati.it, credo sia la prima volta che ci leggo una frase così: "Bisogna considerare che il culto così diffuso è certamente spontaneo e non suggerito o imposto dalla città di Reggio Emilia, allora non in grado di farlo dato il suo scarso rilievo". Insomma secondo questo agiografo contemporaneo la prova che Prospero sia esistito è che Reggio era troppo piccola per inventarselo.
Ora, è pur vero che tra le città sulla via Emilia, tutte un po' simili come matrioske, Reggio non è tra le più grandi, ma non è nemmeno la bambolina più piccola; scommetto ad esempio che Fidenza ci starebbe dentro anche comoda. Se Fidenza un santo se l'è trovato (pure cefaloforo), perché non dovrebbe esserci riuscita Reggio? Ma bisogna ammettere che del Prospero reggiano si conosce così poco, e quel poco sembra copiato da altri santi più definiti. Di lui si racconta, ad esempio, che avrebbe steso la nebbia sulla città per difenderla dall'incursione di Attila, il che però si dice di tanti altri santi e soprattutto di Geminiano di Modena. Bisogna comunque postulare un'Attila talmente selvaggio che conduce il suo esercito in mezzo ai campi alla cieca, invece di seguire la comoda strada romana che ti conduce nei centri urbani anche quando la nebbia non ti fa vedere a un metro di distanza. E comunque se dubiti dell'esistenza di Geminiano puoi andare a dargli un'occhiata nella sua cripta, il 30 gennaio di solito è aperta al pubblico, c'è uno scheletro ben conservato che nei suoi paramenti da vescovo fa una certa figura. I resti di Prospero, nella chiesa omonima a Reggio, sono meno spettacolari.
Per quanto un'omelia del X secolo faccia risalire il culto di Prospero ai tempi del longobardo re Liutprando (VIII secolo), sappiamo che Prospero diventa il protettore della città intorno all'anno Mille, quando i suoi pochi resti vengono traslati dalla basilica longobarda fuori le mura a quella nel centro storico, o come si diceva allora "in castello" (poi ricostruita nel Sei-Settecento). Siamo in quella fase in cui il potere imperiale si è quasi dissolto, quello comunale deve ancora prendere forma; nel frattempo i vescovi sono la principale figura di riferimento e ne approfittano per costruire cattedrali che diano lustro e autorità al loro nome. Per consacrare queste nuove cattedrali però servono i resti di santi; più antichi sono meglio è; così Prospero diventa il titolare di una delle due basiliche di Reggio, anche se su di lui i reggiani non sapevano bene cosa raccontarsi. Ci tenevano comunque a considerarlo un compaesano e non un forestiero, sul modello appunto di Geminiano a Modena e di tanti altri protovescovi; e questo malgrado il fatto che il calendario festeggi nello stesso giorno un Prospero ben più famoso, quello d'Aquitania.
Cioè questo per loro è un duomo, capite |
Quest'ultimo è ben altro che una figura leggendaria: era vescovo e teologo, visse nel quinto secolo e si scriveva con Agostino d'Ippona. Non solo, ma sappiamo che nel 431 si recò a Roma insieme al suo collega Ilario di Poitiers, per difendere presso il papa gli scritti di Agostino dalle accuse di certi eretici pelagiani. Potrebbe questo Prospero, nel viaggio di andata e di ritorno, esser passato da Reggio e aver lasciato qualcosa di sé, qualcosa che in mancanza di meglio i poveri abitanti di quella trascurabile cittadina avrebbero custodito come reliquia? Anche solo un anellino, un epistola firmata, un baiocco con cui si era pagato la tassa di soggiorno? Questi effetti personali, custoditi dai vescovi locali, col tempo magari sarebbero andati smarriti: del resto voi lascereste un reggiano a custodirvi la bicicletta? Ma neanche il campanello. Nella labile memoria cittadina però si sarebbe conservato il nome di Prospero, come quello del presule più autorevole che era mai passato per la dimenticabile città; finché un vescovo più sgamato di altri (forse lo stesso Pietro) non aveva deciso di dare a questo "Prospero" un'identità più locale, e magari assegnargli un po' di ossa che lo radicassero nel territorio. Sappiamo ormai che se sei vescovo di ossa ne trovi finché ne vuoi, e hai un certo margine per trovargli il significato che preferisci.
Per sostenere che le cose siano andate davvero così non abbiamo nessuna prova, ma una coincidenza intrigante: se invece di continuare a guardare verso Modena, ci voltiamo verso ovest, cosa troviamo? Un'altra discutibile città che in mancanza di un nome ha preso quello del torrente che la percorre: Parma. A differenza dei modenesi e dei reggiani, i parmensi non ci hanno mai nemmeno provato a inventarsi un santo protovescovo; il loro patrono è proprio Ilario di Poitiers, ovvero il compagno di viaggio di Prospero d'Aquitania. Non è nemmeno escluso che un po' di ossa dei due santi gallici siano davvero arrivate nell'Emilia occidentale, al tempo in cui i duchi longobardi effettuavano scorrerie contro i Merovingi; o più tardi, quando i Franchi diventano i nuovi signori della pianura padana e magari portano un po' di ossa famose in dono ai vescovi locali per tenerli buoni. Poi il tempo passa, i legami con la Francia (ma anche solo con Parma) si affievoliscono, Reggio nel basso medioevo comincia a gravitare intorno a Modena e subisce l'influsso del culto locale del protovescovo. È un'ipotesi.
Ce ne sono di ben più fantasiose, ad esempio c'è chi propone che quello di Reggio sia San Prospero di Tarragona, fuggito nell'VIII secolo dalla Spagna invasa dagli arabi (o nel V secolo dalla Spagna invasa dai Vandali). È un Prospero che dopo una tappa in Sardegna sarebbe approdato a Camogli (dove si festeggia il 2 settembre); il re Liutprando avrebbe poi traslato parte delle sue reliquie a Reggio, che ai tempi dei longobardi era un ducato (anche Parma) (Modena non si sa) (Modena se vuole vantarsi di qualcosa non ha bisogno di risalire ai Longobardi).
Nessun commento:
Posta un commento
Puoi scrivere qualsiasi sciocchezza, ma io posso cancellarla.