3 gennaio: Santa Genoveffa di Parigi (420-512)
Santa Genoveffa disarma Attila (Etienne-Hippolyte Maindron, 1857) |
"Genoveffa" suona buffo, non tenterò di negarlo. Sembra uno di quei nomi escogitati dai famigliari per chiarire sin dall'inizio che la bambina è destinata al chiostro, come il manzoniano Gertrude. Le cose non stanno proprio così; per prima cosa, in francese "Geneviève" suona molto meglio, o David Crosby non lo avrebbe usato per una delle sue più evocative canzoni. Non sappiamo esattamente cosa significhi: in qualche dialetto paleogermanico suonerebbe "moglie di razza", ma anche "molto irrequieta", il che le si addice di più. Perché Genoveffa non è la tipica monaca reclusa, no. O meglio: monaca non lo era perché il monachesimo non aveva ancora preso piede; reclusa in teoria sì (apparteneva a un gruppo di "vergini cristiane" che vivevano coi genitori, digiunavano spesso e mettevano il velo). Ma le circostanze la portano più volte a uscire di casa e ad assumere un ruolo di protagonista.
In effetti la leggenda di Santa Genoveffa apre uno spiraglio, forse illusorio, sul momento più buio della storia di Parigi, suggerendoci che in assenza di uomini atti al comando, una donna abbastanza irrequieta avrebbe potuto sobbarcarsi dell'incarico. Tutto questo, mille anni prima che Giovanna d'Arco espugnasse Orléans; millequattrocento anni prima che Louise Michel esortasse i comunardi di Parigi alla resistenza. È abbastanza curioso che le donne più irrequiete e volitive delle cronache medievali provengano dalla Francia, il regno che più recisamente aveva escluso le donne dalla successione al trono. E siccome questa esclusione avviene proprio negli stessi anni, con la legge Salica emessa da re Clodoveo, è singolare che la storia della Donna Molto Irrequieta sia stata messa per iscritto proprio su richiesta della regina Clotilde, moglie di Clodoveo. Una mossa per controbattere il patriarcato, almeno sul piano della narrazione? Oppure una suddivisione di ruoli: voi maschi vi tenete il trono, noi ci prendiamo le leggende. Tutto questo nel caso che la Vita sanctae Genovefae sia stata davvero scritta, come sostiene l'autore, appena 18 anni dopo la morte della santa; il che ne farebbe una delle rare testimonianze letterarie della Francia nel tenebroso VI secolo. Non tutti gli storici si dicono d'accordo; alcuni la post-datano anche di duecento anni, il che avrebbe un senso perché la Vita contiene già quei tipici elementi che di solito vengono aggiunti alle agiografie in un secondo momento, ad esempio i dettagli sull'infanzia. L'autore in effetti ci tiene a ricordare che l'eccezionalità di Genoveffa fu riconosciuta subito da un legato papale, San Germano di Auxerre, che la consacrò a sei anni (quando ancora viveva a Nanterre coi genitori) e tornò a salutarla quando ne aveva 27, i genitori erano morti e si era trasferita da una parente a Parigi, appena prima che avesse inizio la fase propriamente eroica della sua vita. Sono appunto i classici particolari che i cronisti aggiungono alle leggende per omologarle, rassicurando i lettori sull'ortodossia di una santa che si trovava a operare in un momento in cui il cristianesimo romano non era necessariamente la religione maggioritaria: Franchi e Visigoti erano di credo ariano.
In ogni caso Genoveffa rimane un caso a parte; non è una martire, né una monaca di stirpe regale; non è nemmeno così strano che la storia della sua vita faccia un po' a pugni con quel che sappiamo della storia di Parigi, perché di Parigi in quel periodo non sappiamo così tanto. Non è nemmeno chiarissimo chi la governasse quando nel 451 in città divampa il panico: stanno arrivando gli Unni, l'obiettivo di Attila è saccheggiare tutte le città dal Reno al mare. Quando gli "uomini" propongono di evacuare la città, Genoveffa si fa sentire: "Che gli uomini fuggano, se vogliono e se non sono più capaci di battersi. Noi donne pregheremo Iddio così tanto che ascolterà le nostre suppliche". A quel punto, benché qualcuno proponga di buttarla nella Senna, la maggior parte degli abitanti decide di resistere all'assedio. Attila effettivamente risparmierà Parigi, non è chiaro il perché: durante la campagna del 451 penetrò molto più a ovest. Forse cominciava a sentirsi in trappola: tra le truppe serpeggiava un morbo simile al colera, e Romani e Visigoti lo stavano per sconfiggere ai Campi Catalaunici (non è chiaro dove ma un po' più a est, magari nella Champagne). È difficile trovare una logica nel percorso di un re che dava molta importanza ai presagi: arrivato alle porte di Parigi, avrebbe sentito che la citta non gli portava fortuna. Solo molto più tardi gli artisti avrebbero iniziato a raffigurarla in scene in cui incontra fisicamente il re degli Unni – insomma Genoveffa sarebbe per Parigi quello che Leone Magno è per Roma. Un'altra cosa a cui Attila dava molta importanza, oltre ai presagi, era l'oro; in effetti a quel punto gli Unni non erano l'orda disorganizzata che ci piace immaginare, ma un esercito che si spostava con obiettivi abbastanza precisi, e prima di praticare la razzia domandavano sempre se la città non preferisse pagare un riscatto in metalli preziosi. Forse l'intervento di Genoveffa servì a risolvere la questione; più che una profetessa, si tratterebbe di una nobildonna che non essendosi sposata aveva mantenuto per sé i privilegi politici del padre, membro della curia di Parigi. Il suo discorso risolutivo, Genoveffa lo avrebbe pronunciato quindi nell'assemblea più importante della città. Non è nemmeno escluso che grazie a contatti tra i ranghi dei Franchi e dei Visigoti, Genoveffa possedesse informazioni sui movimenti degli eserciti che gli altri notabili non avevano, e che l'esortazione a non evacuare la città fosse basata su osservazioni oggettive.
Che Genoveffa occupi una posizione di potere ce lo lasciano sospettare gli avvenimenti successivi: quando cinque anni dopo sono i Franchi ad assediare Parigi, la santa conduce personalmente un'imbarcazione lungo la Senna, fino ad Arcis-sur-Aube, per fare scorta di grano. La situazione sembra intonarsi più all'immagine di una matrona dotata di coraggio e spirito d'iniziativa più che a un'asceta che mangiava due volte alla settimana. Quando si tratta di riscattare dei prigionieri, è Genoveffa che tratta col re Childerico, e poi col figlio Clodoveo che avrebbe operato la fondamentale conversione dei Franchi dall'arianesimo al cristianesimo romano. È facile immaginare che Genoveffa, con la sua autorevolezza, abbia svolto un ruolo chiave in questa conversione che tanta fortuna portò ai regnanti della dinastia merovingia: è facile immaginarlo, ma l'autore della Vita non lo scrive. Si limita a raccontare che Clodoveo chiese di essere sepolto nella basilica dei Santi Apostoli, che aveva fatto costruire intorno alla tomba di Genoveffa, morta a novant'anni se non più. Venerata come co-patrona di Parigi, Genoveffa avrebbe subito la volubilità dei parigini, che durante la Rivoluzione fusero l'oro del rivestimento della cassa e ne distrussero i resti; per fortuna un avambraccio e qualche falange erano stati regalati ad altre parrocchie, perché è tutto quello che resiste di lei nella tomba che ora si trova in Santo Stefano al Monta (St.-Etienne-au-Mont), nel quinto arrondissement.