Nel primo pomeriggio del due settembre 1792, una folla si raduna sul piazzale di un piccolo carcere del Quartiere Latino. Alcune carrozze stanno trasportando dei prigionieri; sono per lo più sacerdoti che non hanno voluto sottoscrivere le costituzioni civili del clero, imposte dal governo rivoluzionario. La folla inveisce, forse un sacerdote urta un coscritto della Guardia Nazionale, un altro si inginocchia chiedendo pietà, ma non ne trova. Chi ha una baionetta comincia a usarla sui prigionieri. Nel parapiglia riesce a farsi strada un capitano della Guardia, Stanislas-Marie Maillard. Ormai in città è una faccia conosciuta: era alla Bastiglia il 14 luglio '89, ha guidato la marcia delle donne a Versailles, è ancora una testa relativamente calda ma ora sta cercando di mettere ordine in un macello. Viene istituito in breve tempo un tribunale rivoluzionario: Maillard si siede a un tavolino, si fa condurre un sacerdote alla volta, e gli dà l'ultima chance di giurare fedeltà alla Rivoluzione. Ventidue su ventiquattro rifiutano; vengono lanciati verso l'ingresso della prigione e martoriati dalle baionette. Esaurita la pratica, la folla si sposta in un altro luogo di detenzione, un ex convento di carmelitani scalzi. Qui la situazione è più difficile da gestire: nel giro di qualche ora vengono uccisi altri 150 sacerdoti. La mattanza si prolunga fino alle prime ore del mattino; altri massacri avverranno a Parigi e in tutta la Francia, fino al 4 settembre. Cosa stava succedendo.
In breve, la Rivoluzione era sotto assedio. Nello stesso 2 settembre l'esercito del Re veniva sconfitto dagli austriaci e dai prussiani a Verdun. Dalla Vandea arrivavano le prime notizie di una sollevazione antirivoluzionaria. Nelle strade di Parigi si leggeva un proclama del principe di Brunswick, che minacciava di sterminare i parigini se alle Altezze Reali fosse stato torto un capello. Il re e la regina erano infatti agli arresti dal 10 d'agosto, accusati di avere tramato per trascinare la Francia in guerra; in Assemblea i girondini – che quella guerra l'avevano votata – proponevano già di smobilitare Parigi e ritirare le forze rivoluzionarie a sud della Loira. I montagnardi non intendevano cedere la capitale, ma temevano che una grande mobilitazione rivoluzionaria l'avrebbe lasciata sguarnita e in preda ai controrivoluzionari. Dai loro giornali, Marat e altri soffiavano sul fuoco, fomentando un'isteria nei confronti dei nemici della rivoluzione. L'idea che i preti "refrattari" (quelli che avevano rifiutato le costituzioni civili) fossero la quinta colonna degli austriaci trovava apparente conferma nelle notizie dalla Vandea, dove la nascente rivolta antirivoluzionaria aveva subito assunto un'identità cattolica. Detto questo, nessuna autorità suggerì alla folla di sterminare i preti; i funzionari coinvolti nella vicenda, come Maillard, non stavano ricevendo ordini da nessuno e più che incitare i cittadini alla violenza sembrano spinti dalla necessità di regolarla, di dare alla situazione una parvenza di legalità. Anche accusare 'la folla' di un linciaggio sembra impreciso: dalle testimonianze sappiamo che la maggior parte della folla era lì per guardare, e in molti casi chiedeva pietà per le vittime. Sulla scena non era presente nessun leader rivoluzionario; qualche membro delle istituzioni (l'Assemblea Legislativa e la Comune Insurrezionale) tentò di dissuadere i massacratori, ma non fu ascoltato. Negli anni successivi, mentre "settembrizzare" diventava un sinonimo di "massacrare", le responsabilità degli eccidi venne più di una volta attribuita alla fazione politica che a turno cadeva in disgrazia; i giacobini la consideravano una conseguenza della retorica allarmista dei girondini, ma una volta al potere non avevano nessun interesse a perseguire i colpevoli, e dopo la caduta di Robespierre vennero considerati i mandanti morali. Un'inchiesta, negli anni del Direttorio, porterà alla sbarra appena una trentina di esecutori materiali, per lo più piccolo-borghesi, artigiani e membri della Guardia Nazionale; nessun sottoproletario, età media 36 anni. Maillard era già morto per tubercolosi in carcere durante il Terrore giacobino (di cui era stato, coi fatti di settembre, uno dei precursori): non era stato condannato per il massacro, ma per estremismo.
I sacerdoti massacrati nei primi giorni di settembre sono stati beatificati da Pio XI nel 1926. A tutt'oggi non è chiaro chi è che abbia deciso di cominciare a ucciderli. Non è stata la folla, non è stato il potere, nessuna fazione aveva interesse a dare il via alla mattanza. Tutto sembra iniziare per caso, ma appena il primo sangue comincia a sgorgare, la strage appare una conseguenza inevitabile. È come se a volte gli uomini uccidessero per dimostrare che non è così grave – all'inizio era grave, ma se continuiamo, diventa una routine, diventa un fatto storico inevitabile, senza più veri colpevoli, al massimo esecutori.
Nessun commento:
Posta un commento
Puoi scrivere qualsiasi sciocchezza, ma io posso cancellarla.