Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

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martedì 17 settembre 2002

Non è solo il rullo di tamburi nell'aria che mi snerva, è anche il fremito delle migliaia di pacifisti che si preparano alla campagna autunno-inverno.
Io temo di essermi rassegnato ormai da un pezzo all'ineluttabilità non solo della guerra, ma anche delle manifestazioni pacifiste; del resto trovo che il pacifismo sia una fede, e come tutte le fedi meriti il mio rispetto. Tuttavia, prima di ritrovarmi a sfilare dietro allo striscione "no senza se e senza ma", vorrei fare presente che qualche "se" e qualche "ma" io ce li ho. E non da ieri:


Piccola biografia di piccolo pacifista

1991
Sin da quando mi ricordo penso di essere stato un pacifista, ma per tutti gli 80 questo non significava molto di più di sfoggiare qualche gadget con la colomba o la bandiera iridata ai concerti degli U2. Direi che la mia verginità di pacifista l'ho persa – l'abbiamo tutti persa – in occasione della Guerra del Golfo.
A quei tempi il dilemma non era molto diverso da oggi – siamo noi a essere cambiati. Sostenere Bush padre, che per questioni puramente petrolifere si proclamava gendarme del mondo, o difendere Saddam Hussein, feroce dittatore, palese violatore di diritti umani? Nel '91 era più che lecito chiamarsi fuori, tanto più che la guerra in quegli anni non andava così di moda. Anzi, era considerata un sistema arcaico e rozzo di risolvere le controversie internazionali, e la nostra stessa Costituzione la ripudiava.

Si dava per scontato che esistessero sistemi migliori. Ricordo per esempio un esperto di geopolitica che venne a parlare al nostro liceo (il nome no, ma era esponente di un nuovissimo partito, Rifondazione). Per lui (e per noi) Saddam era un problema, ma la guerra era un rimedio peggiore del male. Ricordo che alla domanda – legittima – "e allora come si fa a toglierlo di mezzo?" rispose che c'erano altri sistemi pacifici, convalidati dall'ONU: l'embargo, per esempio.

Qualche mese dopo la guerra ci fu, e noi manifestammo, senza se e senza ma. Dopo la guerra ci fu l'embargo, che dura da 11 anni. Chissà se quell'esperto di geopolitica nel frattempo ha cambiato opinione. Io non lo biasimo per quello che ci disse nel '91: nessuno poteva sapere che l'embargo avrebbe fatto più vittime della guerra. Nessuno poteva sapere che l'embargo è una guerra peggiore di quella combattuta, perché colpisce soltanto i civili, e isolando i paesi assediati ne rafforza le classi dirigenti, vale a dire i tiranni (in Iraq come a Cuba).
Oggi però lo sappiamo.

Oggi, se diciamo "no" a una guerra con l'Iraq, sappiamo che l'embargo non è un'alternativa -– anzi, è una guerra più sottile e più ingiusta. Se proprio si deve uccidere qualcuno, perché continuare a uccidere i bambini? Perché non far fuori qualche effettivo dell'esercito iracheno, e deporre il dittatore? Perlomeno l'embargo cesserebbe.
Questa, mi si dirà, è una falsa alternativa. Il pacifista tutto d'un pezzo vuole tutto: la pace e la fine dell'embargo. Magari vuole anche che S. Hussein si ritiri a vita privata senza colpo ferire.
Posso capire. Il pacifista tutto d'un pezzo non scende a compromessi. Non so se lo faccia per incapacità o per tattica (chiedere tutto per ottenere almeno qualcosa). Forse il pacifista tutto d'un pezzo è più saggio di me, e ha capito da un pezzo che è inutile comportarsi come se le guerre e le paci le decidessimo noi. Alla fine la guerra si farà, ma lui potrà dire che c'era e che ha detto no, senza se e senza ma. Non è più una questione di politica, ma una questione d'identità. (Non a caso la categoria tipica del pacifista è la "coscienza").

Nel '91, comunque, occupammo la scuola e ci dividemmo in due fazioni: quelli che rifiutavano la guerra tout court, e quelli che rifiutavano quella guerra lì, e l'intervento italiano in particolare. Grosso modo lo scontro era tra identità e politica. Io, ovviamente, ero già molto politico: per me la protesta aveva un obiettivo concreto, che era il governo italiano, mentre i pacifisti 'tout court' erano povere anime belle, massa critica da corteo. Solo ora mi viene il dubbio che fossero più smaliziati di me. E vorrà ben dire qualcosa se io nel frattempo ho cambiato mille idee, e loro no. Tutti d'un pezzo.
(Non è mica finita qui)

Un link sull'Iraq

1 commento:

  1. bell'articolo e bello spunto di riflessione: grazie!
    (un pacifista con le idee più chiare, ora)

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