Nuovo? No.
Sì, credo fermamente che gli Ottanta siano stati l'età classica del Consumismo. I supermercati erano pieni di flaconi di mille colori, si poteva scegliere e la scelta era la felicità, il Benessere. Tutti non vedevano l'ora di scegliere, comprare, consumare: la pubblicità non aveva che da riprodurre la realtà. Alla tv gli spot erano brevi, essenziali e memorabili: col tempo mi dimenticherò di Kafka e Shakespeare, ma nella mia testa ci sarà sempre spazio per l'uomo-del-Monte-ha-detto-sì, Luisa arriva presto e non pulisce mai il water, abbiamo l'esclusiva, con Nelson piatti li vuol lavare lui, Michele l'alcolista con la sua fama d'intenditore, e il maglione che non è nuovo, no, è lavato con Perlana. Passaparola!
Perlana era – ed è tuttora – un ammorbidente in grado di ringiovanire il guardaroba di chiunque, ricco o povero, maschio o femmina, perché il Consumismo classico degli anni Ottanta non conosceva barriere di ceto o di genere, era democratico e totalizzante. Del resto a quel tempo sembravamo tutti bianchi e borghesi allo stesso modo. Tutti vestivamo maglioni colorati e sfidavamo l'usura del tempo con sorrisi smaglianti, a prova di carie tartaro e placca. La nonnina dai capelli bianchi, il ragazzo acqua e sapone, la distinta massaia, alla domanda "Che colori! È nuovo?" rispondevano indistintamente: "No! È lavato con perlana!" E d'incanto il flacone colorato compariva nelle loro mani: lo portavano con sé, dovunque andavano, ma non per questo ne erano gelosi, anzi: erano pronti a farne dono al curioso inquisitore: "Passaparola!". Perché tutti dovevano sapere, tutti dovevano provare: nessuno doveva rimanere escluso dalla verità del prodotto. Come certe droghe leggere, l'ammorbidente perlana era un momento di condivisione: guai a negare un tiro. Tutti potevano avere maglioni come nuovi. Tutti potevano consumare ed essere felici. Passaparola!
E ora in che età siamo? So che queste domande non sono di nostra competenza, ci penseranno i posteri, se ne avremo, ma certe sere sono impaziente. Stasera per esempio penso che potremmo essere nell'età manierista: non copiamo più la realtà, copiamo i classici, ma le nostre copie suonano in qualche modo stonate, espressionistiche, malgrado le tinte pastello: per quanto ci affanniamo a tenerla fuori dallo sguardo, dallo spot, la realtà tracima e si prende gioco di noi. È una realtà dolente, disillusa: "cosa credi di scegliere", ci dice, "tanto lo sai che in tutti quei flaconi colorati c'è la stessa merda. E che tutto il perlana di questo mondo non potrà competere col cashmire nuovo del vicino di casa". I consumi stagnano, la borsa cala, la forbice tra ricchi e poveri si allarga, i supermercati s'ingrandiscono ma sono pieni di facce tristi e contorte che si aggirano solo in cerca di offerte speciali.
I pubblicitari lo sanno, che gli 80 erano un'altra musica, e ogni tanto provano la carta del revival. Se in discoteca funzionano Duran Duran e Camerini, perché non dovrebbero funzionare anche i vecchi spot? La nostalgia, l'autoironia, il citazionismo: tutto fa brodo, anzi, tutto fa branding. Questo deve aver pensato il creativo della Perlana, del resto se lo slogan ("Nuovo? No!") funziona da vent'anni, perché cambiarlo? Doveva soltanto cercare di attualizzarlo, "ammorbidirlo". Beh, c'è riuscito.
Siamo in un'anonima stazione. Un ragazzo sfigato con la camicia stropicciata non riesce a togliere gli occhi dalle forme procaci di una ragazza seduta di fianco a lui sulla panchina. Quest'ultima, scocciata, si toglie le cuffie del walkman e fissa il povero ragazzo con uno sguardo inquisitore: "Embeh?" Lui, vistosamente imbarazzato, si difende: stava ammirando i colori vivaci del maglione di lei. "Che colori! È nuovo?".
"No!", risponde lei, ed estrae il flacone dallo zainetto. "Lavato con Perlana!".
Seguono le informazioni sul prodotto.
Ma le disavventure dello sfigato non sono finite qui. Memore anche lui degli spot d'infanzia, quando vede il flacone perlana crede giusto impossessarsene, e lo afferra con una mano. Ma la bonazza non è tipa da concedere alcunché, nemmeno un tiro di perlana, per cui comincia una specie di tiro alla fune col flacone. "Che fai? Molla!" dice lei, mentre lo sfigato la guarda coi suoi occhioni perplessi. E lo spot finisce su questa scena di quotidiana inciviltà: due ventenni in una stazione che si azzuffano per un ammorbidente. Metafora della violenza crescente in cui viviamo (dov'è finita la condivisione?), dell'incomunicabilità, ma non solo.
Questi due ragazzi – la Bonazza e lo Sfigato – incarnano alla perfezione le figure della Consumista Femmina e del Consumista Maschio. Quest'ultimo ha perso ogni tipo di fascino: sono lontani i tempi dell'Uomo che Non Doveva Chiedere Mai: lui deve chiedere tutto, ripetutamente, il più delle volte per sentirsi ripetere no. In più, bombardato ogni sera da una ridda di vallette, modelle e testimonial di prodotti cosmetici, ormai è incapace di controllarsi davanti a qualsiasi presenza femminile. Incapace, impotente e perennemente allupato, in più è costretto a lavarsi e ammorbidirsi i maglioni da solo, perché in un goffo tentativo di maturare ha lasciato la famiglia ed è andato a vivere per i fatti suoi.
Quanto alla Bonazza, sotto sotto così bona non è, ma deve, fortissimamente deve comportarsi come tale. Fa palestra, si cosparge di creme, si abbronza, si tinge i capelli ma solo con riflessi naturali, indossa maglioni colorati a strisce orizzontali per dar rilievo alle sue forme. E tutto questo non per sedurre, ma per sbattere in faccia a tutti la propria bellezza ed eleganza. Tutti la devono desiderare, nessuno la può toccare. Se incrocia il tuo sguardo, è solo per fulminarti, povero sfigato, non hai nessuna chance. Dopodiché arriva a casa, si guarda allo specchio e piange, probabilmente perché non riesce a innamorarsi. "Cosa c'è che non va? Forse dovrei cambiare ammorbidente".
Domani andrò in stazione e ti fisserò finché non potrei fare a meno di notarmi.
"Embeh?"
"No, niente, ti stavo guardando il seno, che colori! È nuovo?"
Passate parola.
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