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domenica 9 novembre 2003

Maestri di vita (10): Paolo Conte

Così che, travolto dalla violenza di tali contrasti, scagliato ad ogni istante da una gelida spiritualità ad una sensualità divorante, finì coll’abbandonarsi a un ritmo di vita sfrenato, regolato, eccessivo, che lo spossava dilaniando la sua coscienza, e che lui, Tonio Kröger, in fondo esecrava.

Di Paolo Conte, geniale interprete di jazz demenziale, forse sottovalutato, certo sopravvalutato, se ne potrebbe parlare da qui fino alla fine della settimana, e magari un’altra volte ne parliamo davvero. Oggi volevo solo raccontare una storiella che per me è molto importante.

Una volta conoscevo un tipo, che adesso non so più nemmeno dove sia, ma in quel tempo studiava nella mia città, e come me aveva la mania del giornalismo. Collaborava con testate molto inverosimili (a volte se le inventava lui), ma d’altronde chi sono io per. E sognava. Sognava di fare i colpi, le interviste impossibili.
Un giorno andò a una conferenza, o a una presentazione, non so esattamente cosa, e c’era Paolo Conte: e quando la conferenza finì, rimasero lui e Paolo Conte.
Lui aveva una Panda e un registratore tascabile, Conte non aveva una macchina e anche il treno l’aveva perso. E fu così che il mio amico ebbe la sua intervista impossibile: guidando una Panda sotto la pioggia battente verso Asti (la pioggia battente forse la sto aggiungendo io, ma ammettete che non c’è altra possibilità quando si guida verso Asti con Paolo Conte a bordo).

Fu forse l’emozione, o l’imbarazzo, o che ne so, fatto sta che al mio amico sfuggì la domanda più scema in assoluto (e credo che ancora oggi prima di addormentarsi si morda le labbra al pensiero):
“Lei è musicista e anche avvocato”.
“Sì”.
“Le due cose come si conciliano?”
[Se ne pentì subito, perché immediatamente soggiunse:]
“…naturalmente gliel’avranno chiesto già in tanti”.

E di fronte a tanta dabbenaggine Paolo Conte ammise che sì, qualcuno gliel’aveva già chiesto, ma rispose: e tutto sommato è un bene che il mio amico gli facesse una domanda così prevedibile, perché quella risposta è stata molto importante per me.

“Non si conciliano”.

E continuò spiegando che, aveva difficoltà, che a volte trascurava il suo lavoro, ecc., come un qualsiasi mortale con un lavoro e un hobby che gli sta prendendo la mano. Tutto qui.
Io, senza la pretesa di essere un artista internazionale, e nemmeno nazionale (regionale, forse, e nel mio comune non temo rivali), mi sento di confermare. “Per alcuni uomini non esistono strade giuste”, scriveva Mann: precisamente. Nessuna strada, oppure tante: ma che siano scorrevoli, perché al mattino dobbiamo essere a scuola, al pomeriggio in ufficio, la sera in studio, e i semafori rossi sono un’ingiustizia, un complotto contro di noi (un complotto comunista?)
Tutte queste cose, come si conciliano? Non-si-conciliano. È molto semplice, anche se è molto complicato.
C’è gente che costruisce la sua vita come una sinfonia: un crescendo, un’apoteosi, magari un pianissimo finale. Tutto molto armonico, molto pulito, molto bello. Noi siamo diversi. Noi ci stravolgiamo la vita tutti i giorni. Noi ci contraddiciamo continuamente, sistematicamente, con coerenza.

Ora io lo so e (grazie a Paolo Conte), non me ne sento più in colpa. Per tutte le mie contraddizioni passate: vivevo in Parrocchia ma uscivo con le ragazze atee: come si conciliava tutto ciò? Facile: non si conciliava. Le identità sono ottime cose, l’importante è averne due o tre da indossare tutti i giorni. Il massimo è fare l’anarchico in parrocchia e il cattolico in sezione. E come si conciliava? Non si conciliava.

Non apprezzate? Pensate che l’identità sia fondamentale, una radice che vi tiene ancorati al suolo? Credete davvero che soffi tutto questo vento? Avete paura, a spogliarvi, di svanire? Anch’io sbiadisco parecchio, se passo un giorno intero senza niente da scrivere. Perciò vi posso capire.
Ma non vi sopporto. Come si concilia? Non si concilia.

Seguì la via che doveva seguire, con passo un po’ pigro e ineguale, fischiettando e guardando lontano innanzi a sé col capo reclinato da un lato; e se gli accadeva di sbagliar strada, ciò era perché per alcuni uomini non esiste una strada giusta. A chi gli chiedeva che cosa intendesse fare nel mondo, dava risposte contraddittorie, perché, come soleva dire (ed anche questo l’aveva già annotato), egli portava in sé possibilità per mille modi di esistenza, insieme alla segreta consapevolezza che, in fondo, si trattava di altrettante impossibilità...
(Thomas Mann, Tonio Kröger, III).

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