"Eravamo la classe a cui gli insegnanti non potevano fare lezione, perché ne sapevamo più di loro". Questi due versi di una canzone dei Police, quindi molto vecchia ormai, mi sono tornati in mente lunedì mentre partecipavo a una chiacchierata sull'insegnamento, e in particolare sull'insoddisfazione dei professori. Il pretesto era un rapporto della fondazione Gianni Agnelli, ma a un certo punto qualcuno ha tirato in ballo la questione dei nativi digitali: che è il modo anni '10 di definire i giovani d'oggi, la generazione che è nata davanti al computer e che quindi malsopporta una didattica tradizionale a base di quadernini a righe e quadretti e lavagne di ardesia. Io a quel punto forse sono stato antipatico, forse ho recitato fino in fondo il mio ruolo di insegnante scettico che in tutte queste novità digitali ci crede fino a un certo punto. A mia discolpa posso solo canticchiare una vecchissima canzone dei Police, intitolata Born in the 50s: Sting è del '51, avrà finito il suo percorso scolastico intorno al '68, e già allora condivideva la sensazione di avere una marcia in più rispetto ai suoi insegnanti. Probabilmente è stato sempre così, soprattutto nei periodi di crescita, quando i cambiamenti veloci mettono in discussione le conoscenze del passato e la scuola si scopre improvvisamente come il baluardo di tradizioni inutili. Probabilmente ogni generazione è insoddisfatta dei suoi insegnanti, e il cosiddetto "digitale" è semplicemente il terreno in cui si esprime oggi questa insoddisfazione: finché alla lavagna di ardesia non si sostituisce quella digitale, giusto per scoprire che comunque la lezione bisogna studiarla lo stesso, e che studiare è comunque fatica. Probabilmente la sensazione di "saperla più lunga" l'hanno avuta tutte le generazioni, compresa la mia.
Il fatto è che io, che pure su internet ci passo parecchie ore al giorno, non posso dire di conoscere nativi digitali. So che da un certo punto in poi devono esserne nati, so che a un certo punto arriveranno, posso anche immaginare che siano già tra noi: però non li vedo (i lamenti del barbogio professore proseguono sull'Unità, H1t#138).
Forse sono davvero troppo avanti per me, invisibili nelle pieghe della social-network-sfera. Oppure semplicemente sono gli stessi avatar goffi che vedo io, che pasticciano su wikipedia, lucrano aiutini per le interrogazioni su yahoo answers, mandano in trend imbarazzanti catene su twitter, e a quindici anni ancora ignorano che se posti una foto su facebook non è più tua, è di facebook (qui da me almeno è così, tutti gli anni mi tocca spiegare la stessa cosa ai cosiddetti “nativi”: se fossero davvero così nativi, a questo punto spetterebbe a loro spiegarla a me).
Forse c’è un equivoco. Forse ce ne sono parecchi. Forse ci ha messo fuori strada il cliché anglosassone del nerd (o geek), come se bastasse nascere davanti a un computer per diventare geni del computer: non è così, la maggior parte dei bambini che tirano pallonate nei cortili non diventano Balotelli, e la maggior parte di quelli che chattano su facebook non creano nessuna nuova dimensione comunicativa: si stanno solo scrivendo bigliettini, telegrafici e sgrammaticati come quelli che si scambiavano i fratelli maggiori via sms e che noi ci mandavamo a mano. Addirittura la novità è che oggi l’adulto, l’insegnante, il non-nativo, li può intercettare più facilmente, e se ha facebook (e facebook ormai lo hanno tutti) può impratichirsi dei loro linguaggi. Ogni generazione ne sviluppa di nuovi, però oggi possiamo sapere cosa significa LOL WUT prima che qualcuno ce lo scriva sulla lavagna. Ai miei tempi non era così, ai miei tempi i grandi erano veramente tagliati fuori. I nativi digitali nascono già colonizzati dagli adulti, che sono arrivati da un altro continente con già tutto il bagaglio di esperienza necessario a spadroneggiare.
Io non sono affatto sicuro di sapere come ragiona un nativo digitale. Per prima cosa perché non sono sicuro di averne già visto uno; ma forse, quando finalmente arriverà, mi sarà del tutto incomprensibile. Posso solo immaginare che darà poca importanza alla memorizzazione delle nozioni: perché perdere tempo a immagazzinarle in un archivio difettoso come il cervello, quando ormai sono ovunque, “nella nuvola”, a portata di clic? A quel punto io, se farò ancora questo mestiere, cercherò per quanto posso di spiegargli che le nozioni sono fondamentali: sono i corpuscoli, le particelle minime che compongono le nostre conoscenze, le nostre curiosità: che indubbiamente il cervello è un hardware difettoso, ma che il suo fascino sta proprio negli arbitri che commette, nelle cancellazioni impreviste e negli abbinamenti inconsulti. Che non saprò mai cosa trovare “nella nuvola” se non parto da qualcosa che so già nella mia testa: il motivo per cui ancora oggi un nativo digitale non ha nessun vantaggio intellettuale su un tizio di dieci anni in più che abbia studiato su normalissimi libri di carta. Tutte queste cose cercherò di spiegargliele, e magari avrò torto, spesso i vecchi lo hanno.
Nella stessa canzone Sting raccontava che sua madre pianse “quando Kennedy morì. Diceva che erano stati i comunisti: ma io la sapevo più lunga”. Un ragazzo nato negli anni ’50, cresciuto leggendo i giornali in casa, i libri a scuola, poteva effettivamente capire il senso di un fatto di cronaca prima e meglio dei genitori. Il “nativo digitale” di oggi ha un vantaggio del genere? Se guardo al pezzo di internet dove abito io, e penso alle emergenze degli ultimi mesi – crisi economica, terremoto, guerra in Siria, crisi dei partiti – tutti questi giovani che “la sanno più lunga” non li vedo. Vedo un po’ di gente che crede alle scie chimiche e al signoraggio, ma voglio sperare che non si tratti di loro. http://leonardo.blogspot.com
vedendo i miei non-ancora-treenni smanettare sull'iPad, direi che entro otto anni li vedrai.
RispondiEliminaStavo per dire la stessa cosa. Quando la mia quasitreenne è passata dall'iPhone (mio) al MacBook del papà si è arrabbiata perché lo screen non era touch.
EliminaPardon, credo che Leonardo intendesse dire una cosa leggermente più sottile e che voi stiate confondendo uso e fruizione critica. Leonardo non si preoccupava del fatto che chi è nato negli anni 2000 sappia maneggiare un iPad, ma piuttosto che ne sia un utente consapevole.
EliminaSe la generazione dei "nativi televisivi" si è rivelata la vittime ideale della pubblicità e della propaganda televisiva, chi vi garantisce che i "nativi digitali" saranno in grado di utilizzare la rete in maniera consapevole e critica?
Saper smanettare su un iPad è come saper schiacciare i tasti di un telecomando: non ci incastra nulla con il suo uso consapevole.
o la mia tredicenne con uno smartphone Android o con un laptop Ubuntu altrettanto
RispondiEliminaE magari verrà fuori che anche la generazione X non era poi così tanto X.
RispondiEliminaLeggo te e mi viene in mente Zerocalcare: http://www.zerocalcare.it/2012/07/23/iggiovanidoggi/
RispondiEliminai vostri treenni saranno nativi digitali, e sapranno di processori, reti e sistemi operativi quanto voi nativi della civiltà dell'automobile sapete di trasmissione e distribuzione e di accensione e avviamento.
RispondiEliminain media, servi e clienti :)
http://xkcd.com/843/
RispondiEliminaDare per scontato che treenni e tredicenni saranno protagonisti/utenti attivi/competenti del digitale solo perchè già smanettano senza paura ipad e quant'altro è intelligente quanto lo sarebbe stato negli anni '80 credere che gli adolescenti di allora sarebbero diventati tutti registi solo perché usavano il telecomando del videoregistratore senza farsi problemi.
RispondiEliminaViva quindi i pezzi come questo che aiutano a combattere la bufala dei nativi digitali, vedi anche
http://www.giannimarconato.it/2011/03/nativo-digitale-uno-stereotipo-dannoso
Va bene, ma iniziamo a fare dei laboratori scolastici che insegnino a questi ragazzi ad orientarsi in Internet, recuperando le vecchie nozioni sulla validità e la critica delle fonti.
RispondiEliminaBeh, basta tenerli lontani dalla tecnologia, almeno fino a 7 anni, e vi assicuro è non solo è possibile ma anche risanatore. Io che sono figlia degli anni 70 cresciuta a pane e ape maya e gig robot d'acciaio, e la sera avevo la testa che mi friggeva da quanta tv mi ero puppata, ho scoperto una volta mamma che questo aggeggio mi dava il vomito. Ed ho scoperto un mondo, in cui quando si mangia nn si sta girati verso qualcos'altro che nn siano le persone a tavola o il piatto, in cui la sera si parla e si raccontano fiabe, si ride e si scherza o si discute. Ma nn stiamo fissi davanti a uno schermo.
RispondiEliminaHo un cellulare vecchio di 2 anni che nn ha niente di touch. Non c'è bisogno di insegnare ai ragazzi ad andare su Internet, lo sanno fare da prima di nascere.
Facciamo qualcosa che sia degno di essere imitato da loro, e che abbia un senso.. Stare seduti davanti al nulla li rende solo annoiati e persi.
Complimenti Leonardo, ho scoperto per caso il tuo blog, cercando nn so più che cosa..