Sulle cassette, che farebbe più figo chiamare mixtape, o tra amici maschi nastroni, i nostri cari lettori del futuro magari hanno già letto qualcosa. Chi non ha scritto in questi anni almeno una paginetta, due, trecento elegie sui bei tempi in cui si premeva PAUSE prima di REC e si montavano assieme tutte queste canzoni in collanine personalizzate, che in un qualche modo dovevano rispecchiare sia la personalità della destinataria che la sensibilità musicale del donatore, nonché la particolare atmosfera del momento dell'anno e anche un po' di Zeitgeist, tutto in un gran mescolone. Può anche darsi che si siano rotti i coglioni, i cari lettori del futuro, di questo sottoceto di scioperati con niente da fare se non selezionare le canzoni giuste nell'ordine esattamente giusto, e soprattutto di queste donzelle dugentesche che si devono supporre sempre distese sul loro lettino, la palpebra a mezz'asta, ma l'attenzione sempre vigile durante l'ascolto di infinite tdk da 90 minuti. Le cose ovviamente andavano in un modo ben diverso, le poche tdk ascoltate fino alla fine probabilmente sfumavano in un sottofondo mentre la tizia sfogliava Moda, o l'Abbagnano, o magari si divertiva con qualcuno che non eri tu - del resto anche nel Duecento mica te la davano per un sonetto, cioè non sta scritto da nessuna parte, proprio non risulta.
Di questo tipo di doni nuziali, o mixtape, ma in realtà le chiamavamo semplicemente cassette, si è detto tutto e non aggiungerò niente, tranne magari che erano l'ultimo rifugio di una mascolinità in ritirata: milioni di anni trascorsi a portare a casa prima il cibo nelle caverne, poi i soldi in casa, e alla fine semplicemente la musica in cameretta, dando scontato in un qualche modo che noi maschietti, solo noi, fossimo in grado di uscire e procacciarci la musica buona, la musica giusta, la musica adatta. Le ragazze no. Perché? Non c'è veramente un perché, era un gioco sociale, con regole ancestrali: il maschio esce, sperimenta, traffica, trova cose, le porta alla femmina che le ascolta attentamente e le medita dentro il suo cuore. Andava così. L'ho fatto anch'io. A volte funzionava. Di solito comunque a un certo punto la ragazza se ne andava - cioè, nemmeno se ne andava: restava dov'era e tu eri pregato di non avvicinarti più - e le tue cassette se davvero erano buone se le ascoltava con qualcun altro. Storia vecchia, già scritta mille volte, non ci torno più.
Scriverò altre cose su altri tipi di cassette, meno conosciute ma comunque diffuse, ad esempio i nastroni d'automobile. Tra l'auto e il nastrone c'era un'intesa profonda, che per molto tempo neppure il Cd riuscì a mettere in crisi - finché non inventarono lettori che non saltavano a ogni misera cunetta spartitraffico, e nel frattempo era già l'ora di passare all'arnese leggi-mp3. Ma per molto tempo il nastrone sembrò fatto per la strada, la strada per il nastrone. L'affinità emergeva dovunque, anche dal design (la cui evoluzione negli anni seguì quella dei cruscotti, sempre meno spigolosa, sempre più leggera): la cassetta aveva due ruote, una tirava l'altra. Ma soprattutto il nastrone era una lunga e stretta carreggiata a due corsie. Poteva andare avanti e indietro. E poteva sbandare e uscire di strada, e in quei momenti traumatici accadeva qualcosa di impressionante: sentivi un fischio profondo e poi all'improvviso arcane melodie, raffinati controtempi, qualcuno che ti era familiare si metteva a intonare raga indiani - stavi ascoltando la musica dell'altra corsia, a rovescio.
Una delle cose a cui rinunciammo più a malincuore era il concetto, per voi assolutamente insensato, di Lato A e Lato B. Non c'è nessun motivo per cui la musica debba avere due lati, ma per noi la musica era un viaggio, e il viaggio doveva comporsi di un'andata e di un ritorno. Qui la metafora diventava sempre più raffinata: fermarsi all'improvviso e tornare indietro equivaleva a cambiare il lato: passare in un lampo dal quinto minuto al quintultimo. L'autoreverse, quel miracolo tecnologico che già a fine anni Ottanta ci permetteva di non cambiare più la cassetta a mano, sulle prime ci disorientò, ma anche i nostri viaggi stavano diventando più complicati, e non presupponevano sempre punti fissi di arrivo e di partenza. Smettemmo di riavvolgere i nastri, da segmenti percorribili in due sensi diventarono cerchi chiusi, che prima o poi comunque ci riportavano da qualche parte che era ancora casa nostra. L'importante è che ogni sessanta o novanta o quarantasei minuti tutto ricominciasse daccapo. Questo era importante, rassicurante, familiare, in un periodo in cui stavamo sempre meno in famiglia e sempre di più in auto.
Per inciso, se ripenso ai miei anni Novanta mi sembra di essere stato in auto tutto il tempo, in coda a un semaforo o sueggiù per la statale. Se qualche volta per caso scendevo, spesso sui cigli o nei fossati mi capitava di trovare tra cicche e preservativi un rifiuto tipico che oggi non si trova più: grovigli neri o marroncini simili a paillettes in decomposizione. I nastroni morti, persi, usciti di strada.
Spero mi perdonerete lo spam, visto che posto il link a quella che alla fine della fiera è pur sempre una pubblicità, ma questo pezzo mi ha ricordato TANTISSIMO questa vignetta di Makkok:
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