Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi

Il governo italiano ha sospeso gli aiuti ai palestinesi. Noi no. Donate all'UNRWA.

martedì 30 aprile 2013

Ho sentito degli spari in una via del centro

Benito Mussolini è probabilmente il personaggio politico più odiato e controverso del secolo scorso; tra il 1925 e il 1932, mentre consolidava la sua posizione di potere, scampò ad almeno sei attentati (Zaniboni, Gibson, Lucetti, Zamboni, Schirru, Pellegrino Sbardellotto). Alcuni erano anarchici, altri fascisti delusi, altre matte. Silvio Berlusconi ha più volte sostenuto di essere l'uomo politico vivente più odiato, preso di mira sistematicamente da una parte politica e una concentrazione mediatica: in vent'anni di carriera politica si è preso un treppiede e una madonnina. Ai democristiani nei '70 e negli '80 non era andata altrettanto bene; il brigatismo inflisse perdite pesanti tra le prime e le seconde file. I comunisti nel 1948 a per poco non perdevano Togliatti. I politici sono da sempre nel mirino: sono personaggi pubblici e rappresentano il potere, i motivi per prendersela con loro non sono mai venuti meno. Un tizio che nel 2013 si mette a tirare davanti a Palazzo Chigi può essere disturbato, può essere disperato; senz'altro sarà vittima della società e in particolar modo della determinazione con la quale negli ultimi anni si è abbattuta sui più indifesi l'Imposta sull'imbecillità, alias il videopoker; ma al netto di tutta l'eterogenesi dei moventi, un poveretto che non sa nemmeno che politico mirare e finisce per tirare a un carabiniere qualsiasi; e a momenti ammazza una donna incinta; uno così non fa statistica. Cioè ci sarà anche una rabbia montante, in Italia, nei confronti del ceto politico; sarà in gran parte causata dalla crisi economica che lo stesso ceto politico ha contribuito più a causare che a combattere; potremmo discutere a lungo se Grillo e compagnia ne siano un fattore scatenante o un semplice sintomo, o addirittura uno sfogo benigno che evita eruzioni più violente. Possiamo farlo, facciamolo anche a lungo, ma senza passare sul corpo steso di un tizio qualunque che soprattutto voleva farsi ammazzare. Un episodio del genere fa molto colore; riempie i pomeriggi di giornalisti che non sanno più che retroscena rifriggere; ma la statistica ci dice che in Italia la violenza di matrice politica è ai minimi storici. C'è qualche anarco-insurrezionalista che è riuscito a far recapitare qualche pacco bomba a Equitalia; uno forse nel 2012 ha gambizzato l'amministratore delegato di Ansaldo Nucleare; fine. Se c'è del disagio in Italia oggi - e ce n'è - si esprime soprattutto in altre forme.

Un mese fa ho visto quella che credo sia l'unica vera commedia italiana di successo in questa stagione (come dire: l'unico film italiano che qualcuno è davvero andato a vedere). Nei primi minuti c'è un politico davanti a Montecitorio che all'uscita dall'auto blu viene bersagliato da uova e ortaggi, e chiede il perché. "Come perché, non sei un politico?" "Certo che sono un politico". E giù uova. La cosa interessante è che non sapremo mai di che politico si tratti: durante tutto il film è il portavoce di un partito; ogni tanto si ritrova con altri due rappresentanti di partiti concorrenti; si vestono nello stesso modo ed è impossibile dai loro discorsi capire chi stia rappresentando chi. Nessuna ideologia, solo spartizione del potere. Sono uguali. Nei credits si chiamano "Politico bello", "Politico ruspante" e "Politico col pizzetto". Il Bello è quello che si prende le uova. Durante quella scena qualcuno si è alzato in piedi in sala e si è messo ad applaudire. Gente che va al cinema al mercoledì: vittime dei videopoker? di equitalia? è Grillo che li sobilla? o non sta semplicemente vendendo un articolo per cui c'è veramente molto mercato? Il film è uscito in marzo, ma era stato scritto un paio d'anni prima.

Il 7 marzo 2013, a urne ormai chiuse, Silvio Berlusconi è stato condannato a un anno per aver violato il segreto di ufficio facendo pubblicare sul Giornale l'intercettazione in cui Pietro Fassino maldestramente festeggiava la acquisizioni dell'Unipol dicendo al manager Giovanni Consorte "E allora, siamo padroni di una banca?" Fassino non era diventato padrone di una banca; non controllava l'Unipol; per la cattiva luce gettata su di lui i fratelli Berlusconi lo devono risarcire di 80.000 euro (altri 40.000 euro li dovrebbe ricevere da Fabrizio Favata, l'imprenditore che fornì ai Berlusconi l'intercettazione). Ma Fassino non è l'unica parte lesa. "Abbiamo una banca" fu il tormentone delle elezioni del 2006: insieme a "abolirò l'ICI" fu una delle formule magiche che riportarono in sella la Casa delle Libertà, fino al pareggio finale. La campagna a mezzo stampa che infangò Fassino, i DS e l'Ulivo, l'abbiamo tutti pagata amarissimamente. Non saremo risarciti; questa è la grande vittoria di Silvio Berlusconi. Aver convinto la maggior parte degli italiani che i politici sono tutti uguali, al punto che qualsiasi coglione, se spara, sparerà sempre nel mucchio; e come invariabilmente succede in questi casi, sparerà sempre a quello sbagliato. I gloriosi eletti del popolo, che dovevano mandare a casa la casta, alla fine riusciranno a mandare a casa solo Pier Luigi Bersani: l'unico poveretto disposto a scendere a patti con loro. Si consoleranno fantasticandolo come un tessitore di oscure trame all'ombra dei Paschi di Siena. Intanto alla luce del sole chi si spartisce il vero potere saluta e ringrazia. Erano indaffarati a giurare, gli spari li hanno sentiti per ultimi. Anche delle nostre discussioni devono giungere soltanto echi lontani, un vago starnazzare di inutili galline che si azzuffano per niente.

domenica 28 aprile 2013

Elaborare il PD

La prima fase è la negazione.
Non è vero che abbiamo perso. Per esempio, alla Camera abbiamo vinto noi, guarda che premio di maggioranza che abbiamo. E comunque siamo il primo partito, nella prima coalizione. Certo, ci aspettavamo un risultato migliore, ma considerata la situazione generale, la crisi, l'antipolitica... Non si può proprio dire che abbiamo perso. Altri hanno perso più di noi.

La seconda fase è la rabbia.
Bersani vaffanculo hai sbagliato tutto. Quei giaguari e quei tacchini. Dimettiti! Ah se c'era Renzi. E poi Grillo, ma che vuole, che pretende. È un nazista! anzi peggio, coi nazisti è più facile regolarsi.

La terza fase è la contrattazione.
Aspetta, possiamo ancora metterci d'accordo. Non abbiamo perso finché possiamo metterci d'accordo. I grillini in fondo sono brava gente... (l'elaborazione continua sull'Unita.it, H1t#177).

Offriamogli un programma di massima e andiamo. Dai che si può fare. Dai che va a finire che rendiamo Berlusconi ineleggibile. Vogliono lo streaming? E diamogli lo streaming, che problema c’è.
La quarta fase è la depressione.
Ma porcaputtana, ma quelli sono veramente ipnotizzati. Danno solo retta al guru. Non li smuovi, non c’è niente da fare. Non c’è più niente da fare. Adesso si va a votare il presidente della repubblica e rimedieremo l’ennesima figura di merda. E poi? Non c’è più niente da fare. Colpa nostra? Può darsi. Anche loro. Anche di tutti. Ma non importa. Ormai non c’è più niente da fare. Governissimo e fine della sinistra.
La quinta fase è l’accettazione.
Ma quindi ci prova Letta? Beh, mica male. Cioè, per un governissimo davvero niente male, non c’è neanche la Gelmini. E niente leghisti, qualcuno sente la mancanza dei leghisti? Mi ero dimenticato quanto sapevano essere felpati i democristiani, nel fotterti, è una cosa impari ad apprezzare col tempo (ora capisco meglio mio padre). E poi ci sono tante donne, un paio non nate in Italia, la Bonino che sta bene su tutto, ma sai che alla fine mi sta simpatica anche la berlusconiana all’agricoltura? Ma sì dai, in fondo è una di famiglia.
E adesso cosa? Ma niente, l’ex Margherita si è presa il PD, Renzi darà una ritinteggiata blairiana e proverà a vincere le prossime elezioni (appena Berlusconi si stancherà o qualche giudice gli causerà problemi o avrà sondaggi abbastanza favorevoli). Nel frattempo magari qualche esponente del PD uscirà e formerà qualcosa di diverso; o confluirà in SEL che potrebbe diventare un partito un po’ più importante. Ma comunque perdente. Quindi, insomma, siamo nella merda. Ma non è la merda peggiore che poteva capitare, abbiamo Enrico Letta a palazzo Chigi. Voglio dire, siamo stati a tanto così da avere suo zio al Quirinale. O peggio.
(L’elaborazione del lutto in cinque fasi è un popolare modello teorico elaborato dalla psichiatra svizzero-americana Elisabeth Kübler-Ross. Io sono già alla quinta fase, e voi?) http://leonardo.blogspot.com

venerdì 26 aprile 2013

Il panico dell'Uomo d'Acciaio

Iron Man 3 (Shane Black, 2013)

Mi sembri così freddo ultimamente
Tony Stark non è più quello di una volta. L'adorabile sbruffone che portava lo smoking sotto la corazza, il supereroe ubriacone che si pisciava nel costume, non è più lui. Ha crisi di panico, nessuna armatura gli sembra abbastanza robusta. Oltre alla lotta consueta coi demoni interiori, la formula prevede due nemici, uno con l'accento esotico e l'apparenza inquietante, l'altro americano e biondo, espressione di quel complesso industriale-militare da cui lo stesso Stark vorrebbe affrancarsi. Ci saranno molte esplosioni, il Presidente degli Stati Uniti rischierà di farsi incenerire in diretta tv  e anche Gwyneth Paltrow sarà più volte in pericolo, ma alla fine dimostrerà ancora una volta che dietro a un supereroe c'è sempre una superdonna.

La Marvel sa come si fanno i film di supereroi. Li ha inventati, li conosce, li possiede, e proprio per questo può tradirli con più disinvoltura se ne vale la pena; magari calpestare 40 anni di vita di un personaggio (il Mandarino) e reinventarlo da capo tutto diverso, un Ben Kingsley che dopo Gandhi e Itzhak Stern si ritrova nei panni di un finto Osama e... si diverte un sacco (e noi con lui). Fosse stato chiunque altro, milioni di nerds in tutto il mondo avrebbero gridato Tradimento anche più forte di quella volta che George Clooney fece un Batman gay. Ma se lo fa la Marvel ha un senso, anzi, è una reinvenzione geniale. La Marvel conosce l'arte di ri-raccontare le storie, è abituata a fare e disfare universi di personaggi ogni cinque, dieci, quindici anni. Il primo Iron Man era nato in Vietnam, poi in Iraq, quello cinematografico ha mosso i primi passi nel 2008 in Afganistan. Si è capito subito che avrebbe funzionato. Più di ogni effetto speciale o evoluzione narrativa, la vera idea è stata infilare nella tuta d'acciaio Robert Downey Jr.

Oggi è difficile immaginare un Iron Man diverso da lui, eppure siamo stati a tanto così da ritrovare nello stesso ruolo Tom Cruise o Nicholas Cage. Sarebbero stati eroi molto diversi. Tom non avrebbe mai pisciato nel costume, non riesco a immaginarmelo. Cage sì, in un altro film di supereroi addirittura piscia fiamme; ma avrebbe fatto smorfie tutto il tempo... (continua su +eventi!) Downey non ne ha bisogno, ma sembra strizzi l’occhio tutto il tempo. Quello che faceva Harrison Ford nei primi Guerre Stellari, e li rendevano guardabili anche a un pubblico un po’ più adulto. Ci sono milioni di teorie sul perché la seconda trilogia non sia bella quanto la prima; quanto a me la differenza la fa Ford, semplicemente. Senza di lui ad ammiccare, a piazzare battutine, a sparare senza troppi preavvisi e senza troppa nozione di quello che sta succedendo, non mi diverto più, mi ritrovo imbarazzato davanti a un fantasy per adolescenti; cioè quello a cui probabilmente Lucas tendeva già a metà ’70, ma a quel tempo ci si vergognava, roba del genere era considerata di serie B. 

Robert Downey non è mai di serie B; finché c’è lui, si diverte anche il papà che ha portato al cinema il ragazzino. La Marvel sa come si fa. Due delle scene più divertenti prevedono proprio che Stark si confronti coi suoi fan, manipolandoli senza scrupolo, per una buona causa ovviamente. La ricetta ha funzionato con alti e bassi per due film: la principale novità nel terzo è il cuoco, Shane Black. Non ha diretto molti film, ma ha scritto le sceneggiature di quei pochi action movie che vi ricordate senza vergognarvi, oppure vi vergognate, ma sono tra i pochi che riguardereste: il primo Arma letale, L’ultimo boy scout. Black sa impastare azione e trama fino a far sparire ogni grumo: l’intreccio procede scena per scena, senza bisogno di “spieghe” decisive. Soprattutto, Black non si perde uno spunto comico, e regala ai ragazzini ma soprattutto ai loro papà qualche scena esilarante che dovrebbe essere obbligatoria in tutti i film di supereroi. Vedi il modo in cui si sfrutta quel momento topico che in altri film rasenta sempre il ridicolo: la vestizione del supereroe; quei tre minuti in cui il Cattivo sta distruggendo la città o rapendo la bella, e il superman di turno è indaffarato a cambiarsi in una cabina del telefono. Nel caso di Iron Man si tratta sempre di un “lanciami i componenti” spettacolare ma – proprio come nei vecchi cartoni giapponesi – implausibile; in Iron Man 2 mentre Downey si lasciava rivestire d’acciaio, Mickey Rourke avrebbe avuto il tempo per friggerlo tre volte. Black ci scherza su a meraviglia: le sue armature sono ammaccate e maldestre, e cento volte più simpatiche. 

Un’altra parola sui due cattivi del film (SPOILER). Uno impazza per internet e in tv gridando “Siete tutti morti, morti! Americani siete morti! Presidente sei morto!” Ma in realtà è solo un attore. L’altro (la mente) è l’ennesimo wannabe-Steve-Jobs con tante idee immaginifiche, e all’inizio del film ha i capelli lunghi e spettinati. Almeno al cinema è un piacere vederla sconfitta sonoramente, un’accoppiata così.

Iron Man è uno di quei film che ti tocca guardare con gli occhialini, perlomeno se ci vai con i ragazzi. Con gli occhialini è la solita storia, all’inizio dici “oooh”, alla fine ti ricordi solo un mal di testa più o meno lieve. La cosa che odio di più è quando accendono le luci e tutti se ne vanno e tu resti come un pirla con questi occhialini a guardare i titoli (e in casi come questi bisogna guardarli tutti i titoli, fidatevi). Secondo me non valgono i tre euro, gli occhialini. Il vero gadget indispensabile per un film del genere dovrebbe essere il Ragazzino Nella Fila Dietro. Quello che sa a memoria la canzone dei titoli iniziali, e che ogni tanto si lascia scappare un BELLO! o un MA GUARDA QUANTI SONO [gli uomini d’acciaio]!!! prima che i fratelli maggiori lo tacitino. All’inizio lo odi, poi capisci che ne hai bisogno. 

Iron Man 3 lo trovate al cinema Fiamma di Cuneo alle 21:10; al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (ore 20:00, 20:05, 22:40, 22:50; in 3d alle 20:10 e alle 22:45); ai Portici di Fossano (20:00, 22:30); al Bertola di Mondovì (21:00); all’Italia di Saluzzo (20:00, 22:15); al Cinecittà di Savigliano (21:00, o in 3d alle 21:30); al Cityplex di Alba (in 3d, alle 21:30); al Multisala Impero di Bra (in 3d alle 20:10 e alle 22:30).

mercoledì 24 aprile 2013

La bad company

Tiratevi fuori subito

Dalla mia postazione qualsiasi, senza capirne più di chiunque, nella consapevolezza di ignorare alcuni dettagli fondamentali che Napolitano per esempio sa, io continuo a pensare che l'unico modo di saltar fuori da questa montagna di merda è la bad company. Ovvero: il PD farà un governo col PdL e Monti. Lo farà. Era abbastanza chiaro già una settimana dopo le elezioni, a chi non volesse raccontarsi favole. È diventato chiarissimo con quella pagliacciata della trattativa in streaming: il M5S non cercava intese, non le vuole, il M5S vuole che il PD faccia un governissimo con Monti e Berlusconi e il PD lo accontenterà, alla fine il PD accontenta sempre tutti, purché non siano i suoi elettori. Dopodiché il PD morirà, ma non c'è niente di così grave in questo, moriamo tutti prima o poi e nel caso del PD la diagnosi era chiara il giorno dopo le elezioni. Il PD morirà perché non piace agli elettori, e ai pochi elettori a cui piace ha raccontato che non si sarebbe mai alleato con Berlusconi: e diceva la verità, non si sarebbe davvero alleato con Berlusconi. Se avesse vinto.

Ma ha perso.

E siccome ha perso sarà umiliato, sarà abbandonato, svillaneggiato come l'ultima delle zoccole di Berlusconi, che è poi quel che in effetti diventerà.

Ma non tutto.

Non c'è bisogno che vada a finire tutto così. Non è una persona, è un partito: ne puoi staccare un pezzo e trapiantarlo altrove e poi magari ricresce. Quindi: da una parte ci metti il grosso dei gruppi parlamentari, e un altro bel po' di quadri intermedi, che diano l'impressione di una struttura ancora in piedi. Questa è la bad company. Per dirigerla era perfetto Bersani: il più adatto da umiliare, da svillaneggiare, perché era quello in carica quando avete perso. Ma ve lo siete giocati. Stolidamente. E allora servirà un Amato, o un Letta che sembra predisposto per cognome, tutta gente che è già praticamente invotabile adesso. Ma anche qualche giovane, anche qualcuno di loro dovrà sacrificarsi, sennò non la cosa non sarebbe credibile. Costoro perderanno qualsiasi barlume di popolarità entro la prossima settimana; ma continueranno a gestire il marchio del PD per tutta la legislatura breve o lunga che sarà. Immaginiamocela media, due anni e mezzo.

Nel frattempo il partito va rifatto da un'altra parte. Scissione, mitosi, partenogenesi. Qualche deputato, ma pochi! Che all'inizio mica conviene litigare. Però devono votare contro, devono andare all'opposizione. Un'altra struttura, più leggera, che faccia capo a nomi più o meno nuovi, non compromessi con governi precedenti e associabili a successi elettorali locali, che vi immaginate benissimo da soli. Tra due o tre anni poi si rivoterà, ma nel frattempo?

Potrebbero succedere cose molto brutte. Default parziali, prelievi forzosi, chi è al governo sarà ancora meno popolare di quanto non sia adesso, possibile? Lo sarà. Dovrà anche assicurare che Berlusconi e le sue aziende abbiano un trattamento di riguardo, qualsiasi cazzata il boss abbia fatto o rifarà. Per dire, spuntasse in qualche commissariato la nipotina del rais del sarkazzistan, toccherà votare in ordine e compunti per salvare l'onore della nipotina sarcazza. Sarà il governo più odiato e sbeffeggiato del secondo dopoguerra, ma c'è di buono che Berlusconi ci sarà invischiato. Molto di più che col governo Monti. Dovrà metterci i suoi uomini e dovrà difenderli. Quel che più odia è mettere la sua faccia tirata su provvedimenti impopolari. La bad company varerà provvedimenti impopolari e ci metterà anche la sua faccia. Accanto alla faccia di un Amato. Ma Amato non si ripresenterà mai alle elezioni, Berlusconi ancora ci spererebbe. Se ci si muove bene, la bad company può togliergli la voglia.

A proposito, io penso ancora che Cologno debba essere distrutta. Avendo i mezzi, è la prima cosa che farei. In questa situazione, se qualcuno arriva con un piano meno contorto di questo, lo sto a sentire con piacere. Purché non c'entrino in qualche modo i m5s: mi dispiace tanto (sul serio: tanto), ma con quelli non si fa niente. Non collaborano, non gli conviene. Non gli conviene nemmeno vincere le elezioni, non ci guadagnano un granché. Sono venditori di rabbia, non hanno il minimo interesse a farla passare a nessuno.

Quindi, se per una volta nella vita andasse tutto giusto, come nei film, senza incidenti di percorso o qualcuno che ha piani più astuti dei tuoi e informazioni migliori delle tue, magari tra due anni Berlusconi è bollito nel brodo della bad company, mentre la good company vince le elezioni. Quindi.

Quindi Renzi fuori dal PD prima che può, secondo me. Se proprio ci tiene. Ogni minuto che passa è un minuto più tardi. Sono l'ultima persona al mondo qualificata per dagli un consiglio, ma comunque il mio è questo.

Io invece probabilmente resto nella bad company a far scena, avete presente il classico rivoluzionario a vent'anni trombone a quaranta, ecco, collimo perfettamente. Mai pensato di meritare di meglio.

Ma voi ragazzi andate, cazzo ci state a fare ancora qua sotto.

lunedì 22 aprile 2013

La politica, ehm, i soccialnètuor

(Se tutto va come deve andare stasera verso le 19.10 dovrei dire due cose a Impronte Digitali su Radio Città Fujiko su politica, social network, eccetera).

Grillo, o dell'egemonia

L'egemonia culturale, scriveva il direttore, ce l'ha chi riesce attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, a imporre i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione. L'egemonia culturale, oggi, nella politica italiana, ce l'ha il Movimento Cinque Stelle. Vale la pena di riconoscerglielo, anche perché è l'unica cosa che ha: non ha la maggioranza, non ha un quotidiano, ha una webradio scalcinata e un sito che si pianta appena c'è un po' di traffico, eppure ce l'ha fatta. Ce l'ha fatta nel momento in cui intorno ai palazzi di Roma è cominciato a risuonare la domanda #RodotàPerchéNo, e non c'era nessuno che riuscisse ad articolare una risposta. E sì che risposte ce n'erano, e avrebbero dovuto essere comprensibili e condivisibili: ma niente da fare, non si sono sentite. L'unica cosa che abbiamo sentito per quattro giorni è stata la domanda: perché no Rodotà? che riecheggerà ancora probabilmente stamattina nei bar, negli uffici e sulle panchine di mezza Italia. Mentre nessuno si farà la domanda, ugualmente interessante: perché Prodi no? Perché a Grillo non andava bene? L'egemonia è tutta qui: si tratta di due domande equivalenti, ma una è sulle bocca di tutti, l'altra rimane una chiacchiera per addetti ai lavori.

Il PD - ammesso esista ancora - ha tanti problemi. Quello della comunicazione non è secondario (continua sull'Unita.it)

È un partito che spende una parte rilevante delle sue risorse per comunicare, e non riesce a evadere dalle narrazioni che gli altri mettono in giro su di lui. Per aver detto in campagna elettorale una semplice cosa di buon senso (non si governa col 51%), Bersani è stato dipinto come l’inciucista alleato di Monti e non è riuscito a scrollarsi di dosso questa immagine in nessun modo. Dopo la sconfitta, mentre tutta l’Italia invocava una soluzione rapida, Bersani veniva deriso a ogni tentativo di dialogo con le controparti; irriso perché non si dimetteva, neanche ci fosse dietro di lui la fila per sedersi su una seggiola su cui  alla fine, chiunque salirà, dovrà reinventare il partito o liquidarlo. Tant’è che già si parla di non accogliere le sue dimissioni: probabilmente ne parlano anche i franchi tiratori che l’altro giorno hanno impallinato Prodi (a proposito, a questo punto ci piacerebbe che si palesassero, e ci spiegassero perché e per chi hanno agito; un minimo di chiarezza sarebbe un atto dovuto, e difficilmente potranno arrecare più danni di quanti ne hanno fatto venerdì).
Il PD – ammesso esista ancora – deve porsi il problema: perché non riesce a condividere i propri punti di vista non dico con la base, ma nemmeno con molti dei suoi dirigenti? Una scelta incomunicabile, perché francamente indigesta (ad esempio la candidatura di Marini) è una scelta ancora praticabile? E se sono gli altri a raccontare la nostra storia, cosa possiamo fare noi per reagire? Qualsiasi cosa sarebbe meglio del silenzio.
Per esempio: prendere il video in cui il Santone, nel suo camper, ci avvisava che votando il suo candidato (in quel momento era ancora la Gabanelli) chissà, forse si sarebbe potuto collaborare, ma sì, perché no. Prendere quei pochi secondi di cialtronaggine totale che nell’immaginario collettivo hanno risvegliato l’idea di un possibile governo PD-M5S, metterli davanti al naso di tutti, elettori del PD e del M5S, tutti, e chiedere: ma voi la comprereste un’auto da un tizio così? Uno che a un colloquio informale pretende di sorvegliare i suoi emissari con la webcam, e poi quando all’ultimo momento vede che ce ne andiamo abbassa il prezzo? Ma non lo vedete che vi sta tirando il pacco? E cosa credete che ci sia nel pacco? Cosa avrebbe fatto poi, un altro sondaggino per nominare i suoi ministri?
Non avremmo convinto tutti, ma era meglio del silenzio. Meglio del povero Orfini catapultato in tutti i programmi perché, per sua ammissione, “non ci voleva andare quasi nessuno”. Certo, se è per questo Grillo non ci manda nessuno, e vince. Se lo può permettere. Si chiama egemonia, purtroppo. Dovremmo saperne qualcosa. http://leonardo.blogspot.com

sabato 20 aprile 2013

Twitter ha fatto fuori Bersani?

Il tacchino e i passerotti

Ma sul serio Twitter può aver fatto fuori Bersani? No, sul serio no.

In un certo senso Pier Luigi Bersani non era più segretario del PD già da qualche settimana, anche se la situazione non gli consentiva di cedere un posto in cui, peraltro, nessuno in questi giorni vorrebbe sedersi. In un certo senso il Pd è già finito a febbraio, abbiamo avuto il tempo per elaborare il lutto. Dopo la sconfitta elettorale Bersani più che segretario era diventato curatore fallimentare, con l'incarico di verificare due possibilità: un accordo col M5S (mandato a monte in una storica e avvilente diretta in streaming), e un compromesso più o meno onorevole col PDL. Quest'ultima possibilità richiedeva l'elezione di una persona non sgradita a Berlusconi; l'accordo quindi era possibile, ma a quel punto qualcuno ha detto no. Cioè, molti hanno detto di no. E pare che l'abbiano detto su Twitter (e su Facebook, certo).

Il primo a scriverlo, con tutte le sue tipiche cautele, è stato Luca Sofri: il modo in cui si è arrivati al boicottaggio di Marini, con i Grandi Elettori terrorizzati da quello che leggevano sui loro feed, è qualcosa di nuovo, che nel mondo pre-social-network non avremmo visto. Poi la discussione si è ampliata, ma nel frattempo pare che Bruno Vespa abbia accusato i Grandi Elettori di essere "tutti prigionieri di questo oggetto qua", indicando un Ipad; Ferrara ha proposto di censurare tutto quanto ecc. ecc. Insomma l'argomento è diventato mainstream, ne parla anche chi non sa bene di cosa si tratti. Non è la solita proiezione autoreferenziale dei venticinque sciroccati che senza i social non saprebbero nemmeno se fuori piove o cosa c'è in tv (presente). Pare che Twitter sia diventato importante. E non ha nessuna importanza che lo spaccato di società che offre ai suoi utenti non sia in nessun modo significativo; basta che ne siano convinti i grandi elettori mentre scrollano i loro iPad.

Può darsi che Twitter abbia funzionato proprio perché, paradossalmente, è ancora uno strumento poco diffuso in Italia, poco rappresentativo, poco penetrante; se nei feed ci fosse realmente tutto il Paese reale, la campagna #RodotàPerchéNo scomparirebbe come una goccia nel mare. Ma Twitter non è ancora un mare, è una pozza dove pastura qualche migliaio di utenti a cui è toccata quasi in sorte quella che una volta chiamavamo egemonia culturale. Come i cinquantamila fortunelli che hanno il diritto di decidere il candidato M5S per tutti gli otto milioni di elettori M5S: non ha nessuna importanza che siano così pochi, l'importante è che tutti si convincano che la scelta è stata condivisa con "la gente". Allo stesso modo in cui lo streaming non serve a rendere davvero trasparenti le decisioni, ma a fornire un simbolo di trasparenza. Magari quando tra sette anni si rieleggerà un presidente sarà tutto diverso, magari l'idea di considerare rilevante il flusso di emozioni di qualche migliaio di follower ci sembrerà di nuovo fuori dal mondo. Oppure sarà il concetto stesso di elezione indiretta del presidente della repubblica a sembrarci fuori del mondo: saremo troppo abituati a esprimere giudizi e condividerli continuamente per sopportare che un Presidente venga espresso da intermediari. Ma sarà già una gran cosa arrivarci, nel 2020.

Già da ieri Bersani era stato sostanzialmente sostituito da un'intelligenza collettiva che aveva deciso di bocciare qualsiasi ipotesi collaborazionista con il PdL esprimendo il candidato meno gradito a Berlusconi: Romano Prodi. Si è visto nell'occasione quanto fosse intelligente l'intelligenza, e quanto fosse collettiva la collettività. A questo punto francamente non so cosa succederà, però tutto sommato non mi sembra che la situazione sia tragica: Rodotà, la Cancellieri, perfino D'Alema, sono ancora buoni nomi; rammento quando nella stessa aula si contavano le schede di Forlani o Andreotti, direi che un progresso c'è. Mi dispiace per Bersani, che paga per errori non solo suoi, per Prodi che aveva il curriculum migliore, e un po' meno per il PD, che si è dimostrato sterile come molti ibridi. Avrei preferito che Bersani curasse il fallimento ancora un po', lasciando ad altri il tempo per mettere in piede qualcosa di nuovo e più credibile. Invece adesso diventa tutto più caotico e con gli anni il caos mi piace sempre meno.

Per esempio, in questi giorni mi sembrate tutti incazzati, eccitati. Stracciate tessere, scrivete "mai più", scommettete, litigate, ecc.. Non è che io non capisca tutto questo - e se devo essere onesto sono preoccupato anch'io. Però non ho tutta questa voglia di tifare. Anche l'altra sera, forse qualcuno si aspettava un proclama "mai con Marini", "no all'inciucio" e tutta questa serie di cose. Io in realtà l'ho scritto, che se fosse stato per me avrei preferito Rodotà; ma l'ho scritto in piccolo, in un inciso, perché le mie preferenze in un'elezione indiretta sono abbastanza secondarie. È che in questi giorni tutti tifano, e io non ho nulla contro chi tifa, ma non ho molta voglia. È proprio un atteggiamento: quando tutti fanno una cosa, a me passa la voglia di farla. Questo non mi rende la persona più simpatica al mondo, ma credo sia il motivo per cui questo blog qualche volta (qualche volta) è interessante: se volete qualcuno che scriva semplicemente "votiamo Rodotà!" "No all'inciucio", là fuori è pieno. Sul serio, ce n'è di molto bravi, non avrebbe neanche senso gareggiare.

venerdì 19 aprile 2013

La casa è un libro (senza librerie)




Germaine da giovane scriveva. Ha anche pubblicato un romanzo, ma niente di che. Poi ha capito di essere un mediocre e adesso insegna letteratura in un liceo. Al pomeriggio corregge sul tavolo della cucina temi sempre più banali, ogni anno è peggio. Non ce n'è più uno che sappia scrivere qualcosa di interessante, e questi saranno la Francia di domani? Finché un giorno, dalla pila, non spunta un vero e proprio racconto incompiuto: è il compito di Claude. Come Angel, la protagonista di un altro vecchio film di Ozon, Claude è un talento naturale: non ha cultura, non se la può permettere, ma sa tener vivo l'interesse del suo unico lettore. Se Angel era ossessionata dall'eleganza dell'aristocrazia inglese, Claude è morbosamente attratto dal benessere borghese della famiglia di un suo compagno di classe. Germaine vorrebbe aiutarlo a sbocciare, ma non basta passargli qualche volume di Flaubert e abbozzare uno schemino narratologico alla lavagna: occorre alimentare la sua ossessione, far scoppiare i conflitti di cui ogni buona storia ha bisogno.

Un film francese lo riconosci ancora dalla quantità di libri che vedi inquadrati. La libreria di Germaine, ovviamente, occupa pareti intere. I libri sono merce di scambio, ostaggi, prigionieri, armi contundenti; sono i figli di chi figli non può averne, ce l'ha spiegato Truffaut. Eppure i libri sono in via d'estinzione; nella famiglia borghese adorata da Claude c'è giusto spazio per riviste d'arredamento. Ti domandi se un bel film come Dans la maison sarà comprensibile quando tutti leggeranno soltanto e-book... (continua su +eventi!) Ma i libri non sono la carta su cui sono scritti, né la nuvola su cui li archivieremo: i libri sono case che si aprono davanti a noi, grazie alle astuzie di uno scrittore che conosce il modo per farsi aprire tutte le porte. Finché avremo persone così candide e malvagie, avremo libri. Magari non avremo più né armadi né pareti, non importa. Ci basterà una panchina e non ci sentiremo né poveri né soli. Ozon riadatta il testo teatrale di Juan Mayorga (Il ragazzo dell’ultimo banco, pubblicato in Italia da Ubulibri), spostando l’azione in uno di quei classici licei francesi dove tutti si lamentano che l’Educazione non è più quella di una volta… e intanto l’insegnante medio italiano in sala sta piangendo in silenzio perché è tutto bellissimo, pulitissimo, sembrano sexy anche gli armadietti della sala insegnanti.

Non è la prima volta che il regista francese ci racconta una storia sul raccontare storie, ma il ritmo è più brioso del solito e ricorda in certi punti Woody Allen (esplicitamente citato), in particolare Pallottole su Broadway: anche qui la differenza tra chi sa scrivere una storia e chi sa solo criticarla ha a che vedere con il senso morale. Il vero narratore né è totalmente privo, è un gangster, un ladro di identità, un topo d’appartamenti che fruga tra le tue cose e vuole farsi tua madre. Verso la fine in realtà qualcosa si inceppa, ma è giusto così: è anche un film sulla difficoltà di finir bene una storia. Finalmente mi capita di vedere il simpaticissimo Fabrice Luchini in un film che mi piace. Il quasi esordiente Ernst Umhauer oscilla con disinvoltura dal candido al demoniaco. Emmanuelle Seigner è la milf che tiene vivo il nostro interesse di lettori e critici guardoni (se abbiamo altri interessi il narratore è anche disposto ad allestire sottotrame omoerotiche) ma anche Kristin Scott Thomas si difende bene, nel suo ruolo di moglie di Germaine e titolare di una fallimentare galleria d’arte – un’altra cosa che resterà di questo film sono le frecciate all’arte contemporanea, alla pessima letteratura dei cataloghi. È veramente un bel film. Non so se in Italia si facciano film così. Del resto non abbiamo neanche scuole così. Se volete ci possiamo mettere a piangere assieme, su questa panchina.
Andate a vedere Nella casa al cinema Fiamma di Cuneo, svelti, prima che lo tolgano. Comincia alle 21.

giovedì 18 aprile 2013

Tutto ciò che succede succederà oggi

La battaglia per il Colle 

Test: riconosci i tuoi Presidenti?
Posso sbagliare, ma non credo che ci siano mai state elezioni del Presidente della Repubblica come quelle che cominciano oggi. Magari è un'illusione ottica, il presente sembra sempre in qualche modo più interessante. Però davvero non mi viene in mente nulla di vagamente paragonabile. L'elezione di Pertini non me la ricordo. Quella di Cossiga la rammento come una cerimonia di uomini anziani, e pensa che invece fu il presidente più giovane di tutti. Ricordo benissimo il momento drammatico in cui elessero Scalfaro, e mi pare che le bombe non ci preoccupassero un centesimo di quanto ci sta preoccupando oggi il default: c'è da dire che avevo 18 anni, altre priorità. L'elezione di Ciampi è un'altra che, onestamente, non rammento: come tutto il ventennio berlusconiano sembra entrata in un cono d'ombra. Con Napolitano mi aiuta il blog, ma ricordo soprattutto la delusione di non avere un bersaglio facile come D'Alema al Quirinale. Insomma erano tempi più leggeri; si trattava di nominare un notaio e si dava per scontato che sarebbe stata una figura un po' noiosa e super partes. Invece stavolta sembra una questione di vita e di morte. Forse lo sembrava anche le altre volte e poi, siccome siamo sopravvissuti, ci siamo dimenticati il panico del momento. E forse invece stavolta è davvero diversa, stavolta stiamo davvero per vivere o per morire, chi lo sa.

In mezzo c'è stata l'esperienza del governo Monti, o "del presidente"; il momento in cui ci siamo tutti accorti che nei casi di emergenza l'inquilino il Colle è tutt'altro che un potere simbolico, ma può fare la differenza. Paradossalmente questo è avvenuto durante la fase finale di un settennato estremamente equilibrato: niente a che vedere con gli estri di un Pertini, le mattane di un Cossiga, le prese di posizione di Scalfaro. La situazione si è poi talmente ingarbugliata che mi è capitato più volte di leggere persone fino a poco tempo fa molto lucide insistere sulla possibilità di prolungare il mandato di Napolitano oltre al compimento del novantesimo anno di età - una pazzia. Ma stiamo un po' tutti impazzendo, forse, e forse non è del tutto colpa nostra.

Per esempio è colpa del Porcellum, che ci ha svuotato la democrazia nelle mani. Ormai ci scandalizziamo del fatto che i leader di coalizione - che pure abbiamo votato - provino ad accordarsi su un nome. Meglio Grillo che fa un sondaggino on line, anche se si pianta appena vota qualche migliaio di utenti, anche se i candidati più votati si scoprono farlocchi, non importa, col sondaggino la gente si esprime. Siamo diventati presidenzialisti in mancanza di niente, e il modo in cui vogliamo eleggere il nostro Presidente è internet: appelli, sondaggi, mail bombing ai parlamentari, ecc. Come tutte le cose su internet, da qui non si capisce davvero se siano davvero importanti o se facciano soltanto parte di una bolla intorno a me che scrivo e voi che leggete: sul mio laptop stanotte è in corso una ferocissima campagna anti-Marini e pro-Rodotà, ma non sono sicuro che al bar qui di fronte ne sapranno mai qualcosa.

Un'altra cosa che è cambiata tantissimo rispetto al 2006 è la finestra attraverso cui ci arrivano le notizie. Parlo per me: al tempo leggevo soprattutto quotidiani (già più on line che carta). Oggi tutto mi arriva già socializzato da facebook e twitter, ed è soprattutto in questi casi che si nota la differenza. È tutto straordinariamente drammatizzato. Nel 2006 non ero il solo a nutrire una notevole antipatia per D'Alema, che in seguito la pochezza di altri suoi colleghi ha stemperato; ma quando il suo nome cominciò a essere incluso nelle rosa dei quirinabili non ricordo folle inferocite di elettori di sinistra. Anche Marini era nella rosa, e già allora non brillava per popolarità, ma non ricordo reazioni lontanamente paragonabili a quello che sta succedendo in queste ore, soprattutto su internet. Da ogni finestra, da ogni spiraglio, stanno arrivando messaggi di sdegno degli elettori del PD per l'orribile scelta di candidare al Quirinale uno dei fondatori del PD, Franco Marini. C'è evidentemente qualcosa che non va.

Può darsi che il problema sia la finestra stessa. Stiamo tutti socializzando troppo, non facciamo che comunicare emozioni. Coniamo slogan, facciamo battute, ci incazziamo fortissimo eccetera. A un certo punto qualcuno comincia a dire "Rodotà" - la terza scelta di un referendum on line a cui hanno partecipato poche migliaia di persone - e ci convinciamo che Rodotà sia una scelta popolare, mentre Marini no. Fosse per me, tra l'altro, Rodotà tutta la vita. Ma la maggior parte degli elettori m5s probabilmente non ne ha mai sentito parlare - così come di Marini non ha sentito parlare la maggior parte degli italiani mai tesserati CISL. Del resto anche Napolitano o Scalfaro non erano esattamente dei Vip. Che insomma ci siano fuori, nelle piazze, milioni di persone disposte a incatenarsi per Rodotà al Quirinale mi sembra abbastanza impossibile. Sono twitter e facebook che ci stanno facendo uscire scemi: se poi Grillo fa un sondaggino on line lo prendiamo per una notizia. Su twitter e su facebook poi tutti danno ormai per scontato che un'intesa su Rodotà potrebbe spalancare le porte a un'alleanza Pd-M5S. Lo ha fatto capire Grillo in un filmatino dal camper, e ci stiamo credendo. Ovviamente Grillo potrebbe rimangiarsi la promessa quando vuole. Ovviamente poi Bersani sarebbe accusato di avere abboccato a proposte improbabili, ecc.

Dall'altra parte della finestra, comunque, c'è una situazione che ci sembrerebbe folle anche se non la vedessimo con le lenti deformate dei social network. Il PD ieri è oggettivamente esploso, anche se non lo guardi dalla soggettiva delle schegge, i tweet dei partecipanti all'Assemblea di ieri sera. Marini rappresenta quell'ala margheritina (ma non prodiana) del PD che esiste ormai soltanto nell'apparato, e non ha nessuna presa sugli elettori. Prova ne è che ogni volta che qualcuno della stessa area fuoriesce (Rutelli, la Binetti) il PD non perde un decimo di voto. Lo sa benissimo Renzi, che viene da lì ma che ha un progetto completamente diverso: Renzi sa che non esiste più un centro moderato, ma piuttosto un centro immaginario, da popolare di trovate mediatiche, un centro anche un po' commerciale, con gli Amici di Maria in sottofondo. Alla fine, se togli tutto il melodramma di contorno, sembra quasi un gioco delle parti: mentre Bersani va verso una esecranda alleanza di respiro cortissimo con il PdL (buona giusto per rifare la legge elettorale, a questo punto ai danni del M5S), Renzi può approfittarne per tirare la volata degli antimariniani. Si va insomma verso lo scorporo del PD: la bad company con Bersani, e quelli che vinceranno la prossima volta con Renzi. Se non sbaglio era lo scenario #121. Beh, poteva andarci peggio. Forse.

mercoledì 17 aprile 2013

Il Popolo si è espresso

La democrazia diretta, come pensano che funzioni alla Casaleggio e Associati:


(Secondo me Paint bastava e avanzava per rendere il concetto, ma se uno più bravo di me, ad es. chiunque, vuole fare un grafico più professionale, io questo lo cancello anche subito).

lunedì 15 aprile 2013

Vota anke tu gli Amici di Beppe

I dieci candidati al Quirinale del Movimento Cinque Stelle sono una notizia. Mostrano che almeno una parte del MoVimento è molto più incline alla collaborazione con il PD dei suoi rappresentanti eletti e dei suoi megafoni. Anche se per la verità ne sappiamo molto meno di quel che sembra.

Per esempio non sappiamo quanti hanno votato davvero, e quanti rivoteranno oggi: i responsabili, chiunque essi siano, non ce l'hanno voluto dire. Il blog di Beppe Grillo viceversa è stato estremamente preciso sul numero degli aventi diritto, gli iscritti al Movimento "al 31 dicembre 2012 con documenti digitalizzati". 48.282. Più o meno gli abitanti di Civitanova Marche. Vale la pena di ricordare che alle ultime elezioni hanno votato per il Movimento 8 milioni e 690mila cittadini italiani: per farci un'idea, sono gli abitanti di tutte le Marche, più tutta la Toscana e quasi tutta l'Emilia-Romagna. Di questi, soltanto uno ogni 180 era ammesso a votare. Parlare di democrazia diretta con questi numeri ha un po' l'aria di una presa in giro.

Ma quanti di questi "ammessi" hanno realmente votato? Sarebbe lecito supporre che lo abbiano fatto quasi tutti, visto che si erano preoccupati per tempo di digitalizzare i documenti. Però Grillo non ce lo vuole dire, il che non è che si presti a molte interpretazioni. O i voti sono stati più numerosi degli aventi diritto - il che invaliderebbe la consultazione, e fornirebbe l'ennesima dimostrazione dell'inettitudine informatica dei leader del M5S - o sono molti meno. Fingiamo comunque che abbiano votato "quasi in cinquantamila", come dice Grillo contraddicendosi da solo, e diamo per buoni i suoi risultati. Anche così, però, non sappiamo quasi nulla. Certo, sappiamo che c'è Prodi (ed è una notizia) accanto a Rodotà e alla Gabanelli; ma non sappiamo quanti voti hanno preso, nemmeno in percentuale. Grillo non ce lo sta dicendo, e non è un piccolo dettaglio (continua sull'Unita.it, H1t#175).


Il talent-show del MoVimento


Chiunque abbia un po’ di dimestichezza coi sondaggi – e una consultazione su un campione di 50.000 persone può essere equiparata a un sondaggio – sa che i risultati non sono mai a pari merito. È cioè altamente improbabile che i dieci vincitori abbiano ottenuto più o meno lo stesso numero di preferenze. Di solito in un sondaggio di questo tipo tre o quattro nomi si spartiscono il grosso della torta, lasciando il seguito alle briciole. Per fare un esempio possiamo guardare i numeri del sondaggio SWG di qualche giorno fa che dava la Bonino in testa (col 16%): dopo di lei veniva Gianni Letta (con la metà dei consensi, l’8%), poi Berlusconi Prodi e Rodotà a pari merito (7%); Monti (5%); Napolitano (4%); la Severino, Zagrebelsky (3%); Grasso e Pera (2%). Questi ultimi sono decimi a pari merito, e con un ottavo dei consensi che aveva la Bonino. C’è una bella differenza. Viene spontaneo immaginare che altrettanta differenza ci sia tra il primo e il decimo classificato nella consultazione M5S, ma Grillo e Casaleggio non ce lo vogliono dire. Magari Prodi ha preso un ottavo dei voti di Imposimato. Magari Grillo straccia tutti al 90%. Magari no. Non si sa. Ma perché non si sa? Chi lo ha stabilito? In che assemblea del MoVimento si è deciso di procedere in questo modo? E c’era lo streaming?
Più che un esperto di democrazia, chiunque abbia deciso di far funzionare le cose in questo modo sembra esperto di talent show: gli unici spettacoli in cui non vengono mai divulgate le percentuali del televoto, per evitare di ammazzare la competizione quando sin dalla prima puntata qualche concorrente comincia a imporsi con l’80%. Il pubblico ha già scelto, ma lo spettacolo deve continuare; e poi chissà, magari tra qualche puntata, con qualche accorgimento degli autori e della regia, il pubblico potrebbe cambiare anche idea. Le “quirinalie” del MoVimento funzionano un po’ così. Oggi si dovrebbe fare il secondo turno, dove chi ha preso magari l’1% se la gioca ancora alla pari con chi ha preso forse il 30%.
Qualcuno lo ha chiamato ballottaggio, ma quest’ultimo di solito soddisfa la banale logica binaria che prevede che il vincitore sia eletto da almeno il 50% più uno degli elettori. Dunque al secondo turno non possono essere ammessi che due contendenti. Se invece ne ammetti dieci, puoi essere ragionevolmente sicuro che nessuno otterrà il 50% più uno. Il vincitore potrebbe essere viceversa incoronato da una percentuale risibile, anche intorno al 15%: meno di settemila voti. Più o meno gli abitanti di Staranzano (Gorizia, hinterland di Monfalcone). Democrazia diretta? Ne siete sicuri? http://leonardo.blogspot.com

sabato 13 aprile 2013

Il pacco del MoVimento

Non so da voi, ma qui la prassi per eleggere i rappresentanti di classe prevede l'inserimento di un bigliettino ripiegato nella fessura di una scatola. Alla fine si apre la scatola e si spogliano, termine che provoca un'inevitabile ilarità, le schede. Di solito è soltanto dopo aver contato i voti con una fila di x sulla lavagna, e consacrato i vincitori, che qualcuno nota che i conti non tornano: ci sono più x sulla lavagna che votanti, più bigliettini nella scatola che alunni nell'aula. Bisogna ricominciare daccapo. Successe persino a Montecitorio, mentre il parlamento in seduta comune tentava di eleggere il successore del presidente Cossiga. È il broglio più semplice da commettere, e non è il più semplice da evitare. Il passaggio dai bigliettini di carta al digitale non rende di per sé la procedura più sicura, anzi.

Casaleggio, lo si è capito, non è un esperto di internet. Non sa come funziona, nemmeno gli interessa, non è un ingegnere. È un pubblicitario. "Internet" per lui è un marchio da vendere. Cosa faccia poi questa benedetta Internet non lo sa nemmeno lui, non ha importanza, di sicuro sarà qualcosa di bellissimo che cambierà le nostre vite, ci renderà più liberi, laverà più bianco. Non è che si possa chiedere a un venditore professionista di essere consapevole dei limiti tecnici del prodotto che sta vendendo; se lo fosse farebbe un altro mestiere. Quindi, se gli chiedono se si possa fare la democrazia diretta con Internet, lui risponderà di sì, che è possibilissimo, anzi facciamolo subito, affare fatto. Quando poi smonti il pacco e ti accorgi che il sistema concretamente non funziona, si pianta ogni volta che provi a usarlo al 100%, lui ha già la risposta pronta che è la versione politica di quella che vi hanno dato centinaia di operatori telefonici quando avevate il PC in panne: "sarà un virus". Nel suo caso "sono stati gli hacker".

Chi ne capisce un po' di più (io no) sostiene che si trattava di un bug, che ha permesso a qualcuno di inviare più voti. In molti casi probabilmente il voto è stato mandato due volte per sbaglio, come capita certe volte che il sistema è lento e non vi fa capire se il messaggio o il tweet o il post è partito o no, e allora voi in buonissima fede cosa fate? Refresh, e poi vedete il messaggio inviato due volte... Ecco, se stavate votando alle primarie m5s per il Quirinale avete appena commesso un broglio, siete malvagi hacker. Nella ricostruzione di Federico Mello:
non c’è stata alcuna intrusione esterna. Lo spiega bene il comunicato della Bnv, l’azienda specializzata che ha “certificato” le operazioni di voto. Dice infatti: «A seguito di uno dei controlli pianificati, relativo all’integrita del sistema, è stata rilevata un’anomalia, i cui effetti sono stati verbalizzati. L’anomalia ha compromesso in modo significativo la corrispondenza tra i voti registrati e l’espressione di voto del votante». Significa che sono stati registrati più votanti degli aventi diritto. Sempre la Bnv specifica inoltre: «Trattandosi di un controllo periodico non è stato possibile determinare con certezza il momento iniziale della compromissione».
Di hacker, non si fa alcun cenno. E non potrebbe essere altrimenti: la Bnv è una azienda di certificazione, non di sicurezza informatica. Nel suo “chi siamo”, spiega: «DNV Business Assurance Italia svolge, da parecchi anni, un’intensa e competente attività nel settore delle verifiche, ispezioni e certificazioni di sistemi di gestione, prodotti in campo industriale e nei settori dei servizi». Insomma, rispetto a procedure concordate, l’azienda verifica che vengano svolte in modo corretto. E non è un caso che abbia fatto dei “controlli periodici”: non ha le competenze informatiche per “difendere” un server, e non ha sistemi di monitoraggio, né di tracking, di tracciamento, per risalire a possibili incursioni.
Io credo che i militanti del M5S che chiedono insistentemente, da mesi, una piattaforma realmente democratica a Grillo e Casaleggio dovrebbero riflettere seriamente su quello che sta succedendo. Se la tanto promessa piattaforma non è mai pronta, forse non si tratta soltanto di un problema di tempo, come a volte avete letto su beppegrillo.it. Casaleggio avrà anche tanti impegni, ma quello che vi ha promesso, tecnicamente, non ve lo può dare. Il fatto che succeda di nuovo un incidente del genere, dopo i disguidi durante le parlamentarie, la dice lunga. Noi non sappiamo esattamente quanti siano gli iscritti al MoVimento al 31 dicembre 2012 (quelli che avevano diritto di votare), ma Casaleggio sì, lui lo sapeva. Ha tutti i dati necessari a capire quanta gente avrebbe votato ieri e a prevedere i possibili picchi di traffico. Ma non ci riesce. O non ne ha i mezzi o, probabilmente, non ne è capace. Ma non ha la minima importanza, così come non ne ha avuta per le parlamentarie. Non si tratta di eleggere veri rappresentanti: si tratta di vendere l'idea del movimento che decide in rete, con tutto il bello e tutto il brutto della rete, compresi i malvagi hacker inquinatori della volontà popolare. Grillo e Casaleggio non hanno la minima idea del futuro che stanno vendendo: è un pacco, intanto lo piazzano, se poi dentro c'è qualcosa che funziona tanto meglio, ma non dipende da loro. Loro fanno il marketing, loro piazzano il pacco.

Viene in mente la teoria di Steve Jobs su come i venditori rovinino le grandi aziende, quando vanno al potere al posto degli ingegneri. Il M5S non è una grande azienda, è un movimento politico, dentro un pacco. Volete che funzioni? Scartate via il pacco, licenziate i professionisti dei fiocchetti. Sono stati molto bravi, ma da qui in poi possono soltanto rovinare tutto.

venerdì 12 aprile 2013

Tom Cruise caduto sulla Terra

Oblivion (Joseph Kosinski, 2013).

In un residence sospeso su un pianeta Terra in fase di smantellamento, ogni mattina Jack e Victoria si svegliano, si danno due bacetti e vanno a combattere gli alieni che hanno distrutto la Luna e reso il pianeta inabitabile. Non è che si ricordino molto del passato; comunque la loro missione è difendere le gigantesche idrovore che trasformano l'acqua in energia per il resto della razza umana, che adesso vive su una luna di Saturno. Ma le cose stanno davvero così? No.

È anche un porno per architetti, diciàmocelo.
E lo spettatore un po' smagato lo capisce subito; diciamo che al primo minuto del film Tom Cruise ha già accennato a una procedura di Cancellazione della Memoria, che è un po' come quando all'inizio del Sesto Senso Bruce Willis sembra che muoia, poi invece sembra di no, poi ti accorgi che nessuno gli sta rivolgendo la parola, e devi restare al cinema per un'altra ora e mezza. Voglio dire, è chiaro che c'è qualcosa che non va, se ti hanno cancellato la memoria. Siamo in un (bel) film di fantascienza; se all'inizio ti cancellano la memoria il minimo che possa succedere è che qualcuno non ti stia raccontando le cose come sono andate veramente. E a questo punto che mi resta da fare, bullarmi perché in sala ho capito il colpo di scena con tre quarti d'ora d'anticipo? Sgattaiolare nella sala di fianco e guardarmi Brignano? Invece no, sono rimasto inchiodato davanti a Oblivion e ne è valsa la pena come poche volte quest'anno.

Certe volte bisogna rassegnarsi. Se un film ti ricorda altri film, se nessuna trama ti sembra più originale, se a metà film stai già indovinando come andrà a finire, non è necessariamente colpa del film. Può anche essere colpa tua, ne hai visti troppi. Non sei più lo spettatore ideale di un film di fantascienza, un ragazzino disposto alla sorpresa. Sei diventato un'enciclopedia ambulante di luoghi comuni cinematografici e la cosa non è necessariamente piacevole - soprattutto quando nella scena topica del film ti viene in mente Indipendence Day. E non è un'allucinazione, la situazione ricorda davvero il più cazzaro dei blockbuster anni Novanta, salvo il particolare che quello era un brutto film, questo no. Non è un problema di Joseph Kosinski, che ha attinto allo stesso immaginario da cui pescavano i cazzari di Indipendence. È un problema tuo che ancora ti ricordi quel filmaccio, ti ci vorrebbe un protocollo per la cancellazione della memoria che ti permettesse di godere di più i film che valgono la pena.

Oblivion vale la pena. Somiglia ad altri film del passato più o meno recente, salvo che è fatto meglio: con più rigore, più amore per il materiale, più effetti, più soldi. Fortunata la generazione che può andare al cinema e stupirsi per film così, invece che per Indipendence Day. Il fatto che non dica molto di nuovo è meno paradossale di quel che possa sembrare per un film di fantascienza. Diciamo che c'è un tipo di immaginario, fatto di basi spaziali un po' squadrate e paesaggi desolati dopobomba, che quando eravamo bambini era già maturo e stratificato sulle pagine dei fumetti, e che solo negli ultimi anni è diventato trasferibile nei lungometraggi non animati. Kosinski è arrivato al cinema dall'architettura (e si vede) e dai fumetti (e si capisce); nella sua opera prima ha trasformato l'universo di Tron in qualcosa di credibile. Stavolta mette in scena una sua graphic novel, e senz'altro il suo interesse è più per la resa visuale (andrebbe visto in un Imax) che per la storia. Che in fin dei conti è una storia di sf classica; ecco, forse noi enciclopedie di luoghi comuni ambulanti dovremmo smettere di surfare sulle onde di questo o quel revival, e capire che certe cose non passeranno mai di moda: le capsule di ibernazione, i computer cattivi con l'occhio rosso, i Led Zeppelin, le biblioteche sepolte coi libri putridi, le orde di freak che vivono negli scantinati, tutti questi elementi non sono citazioni dagli anni Settanta Ottanta o Novanta: sono cose classiche, è normale che si ripropongano a ogni generazione, perché sono fuori del tempo come il berrettino degli Yankees e le borse Chanel, ecco un argomento che potete spendere con la ragazza mentre la portate a guardare Oblivion.

Un altro argomento è Tom Cruise, che fa benissimo a fare e finanziare film di fantascienza: dovrebbe farne di più, e probabilmente dovrebbe fare solo quelli - fateci caso, ormai sono gli unici in cui funziona ancora - probabilmente è l'unico modo in cui la nostra generazione di spettatori può esorcizzare il fatto che la nostra prima fiamma delle elementari aveva già sul diario più o meno la stessa faccia di Tom Cruise che nel 2013 ripara i droni di Oblivion. Sono passati davvero tutti questi anni? O siamo stati rapiti da un'entità aliena che in una notte ci ha invecchiato di un quarto di secolo, e l'unico che si è salvato è Tom Cruise, che ci sta inviando messaggi tramite i suoi film? Oppure è un clone (ops).

Il terzo argomento (non c'è mai abbondanza di argomenti) è la frase "Siamo ancora una squadra efficiente?" Dopo il film passerete anni a chiedervelo, un po' scherzando e un po' no. Forse la differenza tra Oblivion e prodotti brutti che un po' gli somigliano sta anche in dettagli che nei filmoni-di-effetti-speciali in genere passano in secondo piano, come la recitazione. L'attrice inglese Andrea Riseborough con pochi minuti a disposizione ci regala una perfetta moglie-dell'astronauta-frustrata. Melissa Leo ha ancora meno spazio e tempo per interpretare un personaggio memorabile. Olga Kurylenko è la bella addormentata che tutti vorremmo trovare nella capsula di ibernazione, Morgan Freeman è il solito vecchio saggio in quota minoranze ma va bene. Se vi piace il genere, è uno dei due o tre biglietti di quest'anno che sarete contenti di aver staccato.

Oblivion è al Cine4 di Alba (ore 19:30, 22:00); al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:10; 21:00; 22:45); al Vittoria di Bra (21:15); al Multilanghe di Dogliani (21:30); ai Portici di Fossano (21:30); all'Italia di Saluzzo (20:00; 22:15); al Cinecittà di Savigliano (20:20; 22:30). Buona visione. Siete ancora una squadra efficiente?

Anonima parlamentari

Ieri gli iscritti al Movimento 5 Stelle ("al 31 dicembre 2012") hanno votato on line il loro candidato alla presidenza della Repubblica. È solo il primo turno; lunedì avverrà un "ballottaggio" tra i dieci nomi più votati - il che significa che probabilmente il vincitore della competizione non avrà la maggioranza assoluta dei consensi nemmeno tra gli elettori m5s. È comunque un po' presto per fare previsioni: per ora tra i nomi più frequenti sui social network ci sono per lo più persone che hanno fatto altri mestieri (Gino Strada, Milena Gabanelli), figure che ci dicono molto dell'immaginario grillino (la centralità del videogiornalismo, l'antagonismo barricadero) ma che è difficile immaginare realmente candidati al Colle. Va da sé che qualcuno voterà direttamente Beppe Grillo: non ci è dato sapere quanti, né se a Grillo interessi o serva un trampolino del genere. Si vedrà più avanti.

Per adesso è interessante osservare il modo in cui il MoVimento punta, consapevolmente o meno, a una repubblica di fatto presidenziale, aggirando la Costituzione. Non c'è bisogno di abrogarla là dove prevede che il presidente sia nominato dal parlamento; è sufficiente trasformare il parlamento in una semplice assemblea di esecutori della volontà popolare, pronta a esprimersi in ogni momento attraverso sondaggi on line sulla piattaforma del MoVimento. Qualcosa di simile ai "grandi elettori" che vengono eletti dai cittadini americani in occasione delle elezioni presidenziali, e ai quali, salvo imprevisti, non viene chiesto che votare esattamente il candidato indicato dai cittadini. È in questo modo che assume un senso anche la boutade di Grillo sull'aspirazione del M5S a raggiungere "il 100% dei consensi": il MoVimento non è un partito - e infatti coi partiti non dialoga - il MoVimento è la piattaforma in cui in futuro i cittadini voteranno le loro leggi ed eleggeranno i loro rappresentanti, compreso il Presidente, senza passare attraverso i partiti. Anche se per ora la piattaforma non è ancora pronta, Casaleggio ci sta lavorando ma è molto impegnato; comunque adesso si prova a eleggere l'inquilino del Quirinale e vediamo come va.

È curioso notare come Grillo, che accusa gli altri partiti di aver trasformato i parlamentari in "figure di cartone", in sostanza consideri i senatori e i deputati non molto più che pigia-bottoni, dai quali non pretende nessuna competenze o professionalità: e infatti dopo due mandati li vuole fuori dai piedi. Dal suo punto di vista non ha tutti i torti, un pigia-bottoni non diventa più bravo dopo cinque anni passati a pigiare bottoni; può però abituarsi agli ozi romani e farsi fotografare alla buvette (continua sull'Unita.it, H1t#174).

In questo programma di superamento e aggiramento delle istituzioni repubblicane  il MoVimento rivela un certa continuità con il passato che pretende di distruggere, e in particolare il berlusconismo. È berlusconiano il tentativo di trasformare l’Italia in una repubblica presidenziale de facto, mutando le elezioni legislative in referendum sulla sua persona (agli italiani era chiesto di barrare o no una croce sul simbolo “Berlusconi presidente”). È sua in fondo anche la concezione del parlamentare come dipendente, da gratificare minacciare o licenziare, e perché no sostituire con qualche elemento strappato alla concorrenza. A questo modello aziendalista Grillo si è ispirato, sostituendo l’immagine del Boss con quella del popolo: i parlamentari, ci ha spiegato, sono nostri dipendenti: non di Berlusconi (e nemmeno di Bersani), ma nostri. Non ci resta che votare e fidarci di Beppe, che più che megafono in questo momento sembra incarnare la figura di un bizzoso amministratore delegato.
In fondo il grillismo è una delle conseguenze del porcellum, la legge elettorale voluta da Berlusconi e che nessun contendente è mai riuscito a cambiare. Abolendo le preferenze, attribuendo ai vertici di partito la totale responsabilità sui nomi da mettere in lista, il porcellum ha eliminato ogni residua necessità di individuare candidati credibili, radicati in un territorio. Proprio nel momento in cui la fiducia nei confronti dei partiti toccava il punto più basso, questi ultimi hanno tolto l’ultima possibilità per l’elettore di segnalare il proprio disagio nei confronti di un candidato indigesto. Il porcellum ha creato le premesse per il successo di un partito di anonimi pigia-tasto: tra i peones di Grillo e quelli di Berlusconi, abbiamo pensato tutti, magari ci sarebbe stato addirittura un salto di qualità – che finora, purtroppo non si è veduto. Ma in un certo senso il M5S è il partito che meglio di tutti incarna la filosofia del porcellum: non si votano le persone, si vota un simbolino che è proprietà di qualcuno che sceglie per te le persone. Se poi è tanto onesto e gentile da aprire consultazioni on line per comporre le liste, tanto meglio, ma non è che faccia molta differenza: in un modello del genere, il candidato ideale non ha né personalità né dubbi, è un automa autorizzato a pigiare determinati tasti durante determinate votazioni. Fa un po’ paura, ma ha un senso. Potrebbe persino funzionare.
Il partito degli anonimi ha però un punto debole: non può, per definizione, esprimere candidati credibili alle cariche più importanti. Lo si è visto al momento di individuare i presidenti delle camere, e ancor più durante le tragicomiche consultazioni in cui il M5S ha reclamato un incarico di governo senza spiegare chi, in concreto, avrebbe voluto mandare a Palazzo Chigi. Dietro all’enigma surreale c’è una banalissima ammissione di inadeguatezza: il partito di anonimi non ha nessun candidato credibile. Non li ha nemmeno per il Quirinale: Grillo in un primissimo momento aveva buttato lì Dario Fo; pretattica o semplice ingenuità? Non lo sapremo mai: c’è da sperare che i suoi iscritti siano un po’ meno confusi di lui.
Nel frattempo Bersani e Berlusconi negoziano. In discussione non può che esserci la riforma elettorale: tutto il resto potrebbe anche essere rimandato dopo nuove elezioni, ma il porcellum va cambiato, a parole sono d’accordo tutti. Personalmente – per quel che conta – avrei preferito che l’accordo lo avessero fatto Pd e M5S, ma le possibilità erano scarse fin dall’inizio. A questo punto la logica, e la pragmatica, ci suggeriscono che due grandi partiti su tre si mettano d’accordo su una legge elettorale disegnata in modo da sfavorire il terzo. E siccome il terzo è un partito di anonimi, è lecito supporre che la prossima legge rimetterà in primo piano le personalità dei candidati. Sarebbe una buona notizia, credo, persino per molti elettori M5S. http://leonardo.blogspot.com

venerdì 5 aprile 2013

Papà era una scheggia bionda

Fate molto, molto posto
sulla vostra Smemoranda.
Come un tuono (The Place Beyond the Pines, Derek Cianfrance, 2013)

Ryan Gosling è un mentecatto. No. Ryan Gosling è sempre il bravo attore e sex symbol che sappiamo. Ma all'inizio del film, intendo, Ryan Gosling è un mentecatto che nella vita sa fare una cosa soltanto: correre in moto, come un fulmine. In attesa di schiantarsi, prevedibilmente, come un tuono. Ma finché se ne sta bravo a vorticare nella sua ruota per criceti, l'attrazione della fiera itinerante, va tutto bene. Probabilmente ha una donna in ogni città, per esempio a Schenectady, New York, si vede con Eva Mendes: caccia via. Un anno però quando bussa alla sua porta si trova davanti un neonato. "E questo chi è?" "È tuo figlio". A questo punto qualcosa nella testa comincia a girargli nel modo sbagliato, come una ruota che sta per mollare il mozzo. Ryan lascia il circo e decide di cambiare vita. Il che non significa cambiare la stessa maglietta unta e bucata che sta indossando da mezz'ora alla rovescio (la porta anche in chiesa quando assiste al battesimo). Nel suo caso consiste nell'accamparsi in un garage nei boschi e mettersi a rapinare le banche: è così che si conquistano le madri dei propri figli, non lo sapevate? Facendosi vivi all'improvviso con un sacco di soldi o pacchetti senza perder troppo tempo in spiegazioni, mandando all'ospedale il nuovo compagno di Eva non appena se ne presenta l'occasione. C'è poi il piccolo particolare che Schenectady è una cittadina di sessantamila abitanti, e Ryan ci ha preso gusto e vuole svuotare tutte le filiali di tutte le banche con la stessa semplicissima modalità. In pratica sta solo aspettando di andarsi a schiantare, ma lo schianto avrà conseguenze impreviste su tanti altri personaggi interessanti che non vi racconto (ma continuo su +eventi!)


MILF DEL MILLENNIO
Come un tuono comincia come un esercizio sul fascino di Ryan Gosling. Ogni tanto i registi le fanno, queste cose. Cianfrance, che all'attore deve il successo della sua apprezzata opera seconda (Blue Valentine), gli ricambia il favore calandolo nei panni di un povero coglione senza prospettive, forse solo per il gusto di dimostrare che anche se gli metti in testa i capelli di Enzo Paolo Turchi e gli dissacri i polpacci e gli zigomi coi tatuaggi più dozzinali, Gosling rimane assolutamente Gosling. Non deve dire nulla, anzi, meno parla meglio è, visto che non dice e non fa nulla che non sia intrinsecamente stupido. Ed è giusto così, se gli scappasse qualcosa di intelligente l'Incantesimo si spezzerebbe di colpo e ci troveremmo davanti un rospo con la parrucca bionda. È Luke il Bello, non gli si chiede altro che essere bellissimo e stupido e andarsi a schiantare contro muretti e marciapiedi. Quando arrivò a questi livelli, Mickey Rourke cominciò ad andare in giro a farsi spaccare la faccia da professionisti. Speriamo bene.

Come il tuono è anche la storia di Avery Cross (Bradley Cooper), un giovane laureato in legge che invece di seguire la carriera del padre giudice di Corte Suprema, decide di passare ai fatti, sporcarsi le mani, arruolarsi nella polizia di Schenectady. Salvo rimanere disgustato quando le mani dovrà sporcarsele davvero. Il "posto oltre i pini" del titolo originale è l'antico significato del termine Schenectady, una di quelle cittadine americane in cui sembra che nulla possa succedere e invece è successo di tutto. Ma è anche la radura dove sia Luke che Cross perderanno l'innocenza, scoprendo i fili delle rispettive marionette sociali: un figlio di giudice di Corte suprema sarà sempre un figlio di giudice, e un figlio di NN resterà sempre una scheggia impazzita fuori dalla ruota dei criceti. Come il tuono è un film sulla paternità, sul panico che ti assale quando ti mettono in braccia per la prima volta un piccolo tizio e non sai come pulirti le mani dal grasso d'officina, né come difenderlo da un mondo che tu stesso non capisci; il primo istinto è uscire nella foresta a cercare il cibo, ma se ti allontani troppo dalla caverna quando torni lui sarà un sedicenne deficiente che si fa le canne cogli amichetti in casa tua.

Come il tuono è un film che attira gli spettatori col miraggio di un Gosling in motocicletta e di una raggiante Eva Mendes in sottoveste, ma poi li sequestra sulla poltrona con una lunga riflessione sui tragici casi della paternità e più in generale della vita che ricorda un po' Iñárritu, in particolare quella sensazione che prova il cinefilo dilettante dopo due ore di Iñárritu, "non è che non mi interessino tutte queste storie, anzi, magari quando esce il dvd mi vedo altri sessanta minuti di destini intrecciati a causa di tragici incidenti, però adesso fatemi andare al bagno, per favore". È un film lunghissimo, dovrebbero avvertire la gente di una certa età: non prendete la Coca grande, venite già pisciati, ecc.. Lo so, non è il massimo come recensione.

È che non mi sono mai sentito così inadeguato. Ieri è morto il principe dei recensori USA, Roger Ebert. Sul web c'è un sacco di gente che linka le sue stroncature più divertenti. Dopo averne lette  un po', mettersi qui a scrivere un pezzo su un film è un po' come fare karaoke dopo aver sentito le Variazioni Goldberg. C'è solo da fare in fretta, chiedere scusa e andare a sbattere. Di me non raccontate niente ai bambini.

Come un tuono è al Cityplex Cine4 di Alba (ore 21:00) e al Cinelandia di Borgo San Dalmazzo (20:00 22:45). Dura veramente parecchio. Buona visione

10.000 aborti, il Bilderberg e un pazzo scatenato

Mara Carfagna la vorrebbe al Quirinale. Micaela Biancofiore è d'accordo. Ma la vera notizia è che un terzo degli italiani, secondo un sondaggio IPR Marketing, vorrebbe Emma Bonino presidente della Repubblica. Quattordici anni dopo la campagna "Bonino for president", che portò una lista radicale alle elezioni europee oltre l'otto per cento (record assoluto), la Bonino gode ancora di una capitale di fiducia e di stima che nessun politico di primo piano oggi in Italia potrebbe vantare. Peccato che al Colle non si salga coi sondaggi: ben pochi degli inquilini precedenti avrebbero vinto una simile gara di popolarità. Le possibilità che Emma Bonino non sia anche stavolta un nome da bruciare in fase di pre-tattica sono abbastanza esigue. Ed è un peccato.

Anche chi non nutre particolare simpatia per il personaggio non può negare che la Bonino abbia tutte le carte in regola per aspirare alla prima carica della Repubblica: ha le competenze, un alto senso delle istituzioni maturato in decenni di esperienza in Italia e soprattutto all'estero; ha combattuto battaglie radicali ma conosce l'arte del compromesso; e ha sempre preferito tenersi ai margini del teatrino mediatico della politica italiana: il che potrebbe essere poi il vero motivo per cui molti italiani la preferiscono ad altri politici e politiche che conoscono meglio. Ciononostante è davvero difficile che questo parlamento la nomini presidente, per almeno tre motivi talmente ovvi che molti osservatori non si preoccupano nemmeno di metterli nero su bianco. Facciamolo qui. Se tra un mese scopriremo di esserci sbagliati, saremo i primi a esserne contenti (continua sull'Unita.it, H1t#173)


Bonino al Colle? Tre motivi per cui sarà difficile


1. L’annosa polemica sull’aborto
Nel 1975, molto prima che l’aborto diventasse legale, la Bonino si autodenunciò per aver eseguito, presso il Centro di sterilizzazione e di informazione sull’aborto da lei fondato, qualcosa come diecimila interruzioni di gravidanza. È un dato molto facile da recuperare in rete, che in un qualche modo sembra rimosso dal dibattito, nel momento in cui per esempio viene celebrato in una chiesa il rito funebre per Mariangela Melato e molti si stupiscono che all’amica Emma Bonino un sacerdote cattolico impedisca di parlare. Ci si sarebbe dovuto stupire del contrario, considerando che per un cattolico praticante l’aborto rimane un omicidio. Certo, ormai neppure gli esponenti parlamentari più integralisti si fanno sfuggire cenni a una possibile modifica della legge 104; in compenso si parla con sempre più insistenza di “valori non negoziabili”, anche tra i cattolici del PD che sono ben rappresentati in parlamento (rispetto all’elettorato di riferimento; questa almeno è l’impressione). Secondo questi valori, Emma Bonino era e resta una stragista; non una mera esecutrice di ordini, ma una teorica dello stragismo di Stato. C’è da chiedersi se il Papa le stringerebbe la mano, e il Papa per altro è nuovo di zecca, per adesso lo amano tutti (ne parlano bene perfino su beppegrillo.it). Peraltro i cattolici hanno la sensazione che il Quirinale stavolta tocchi a loro: Berlusconi certo esagera quando dice che gli ultimi due presidenti sono stati di sinistra; ma Ciampi e Napolitano sono stati presidenti laici di un paese in cui la Chiesa cattolica continua a considerarsi una comunità maggioritaria. È davvero molto difficile che dopo di loro i cattolici del parlamento si rassegnino a votare l’abortista Emma Bonino. Niente di personale – probabilmente la stimano più di tanti confratelli esponenti di partiti avversari – ma la prospettiva di un settennato ancora più laico dei precedenti non deve esaltarli.
2. Il Bilderberg club
Nel novembre 2011, mentre Monti muoveva i primi passi da Presidente del Consiglio incaricato, in un clima di generale benevolenza, il blog di Beppe Grillo fu uno dei pochi a esprimere subito dei dubbi: 
Mario Monti sarà anche bravo, sarà un economista di valore, sarà tutto quello che vuoi. E’ certificata, però, la sua appartenenza a certe associazioni sulle quali non mi esprimo. Cito il Bilderberg Group, ad esempio. Ecco, sapete chi fa parte del Bilderberg oltre a Monti? Tale Emma Bonino. E sapete quale è stata la prima senatrice ad abbracciare Monti oggi in Senato? Emma Bonino.
La partecipazione di Emma Bonino a qualche dibattito del Bilderberg Group potrebbe essere considerata una semplice curiosità, se il club in questione non fosse un incubo ricorrente di tutti i complottisti nostrani, molti dei quali hanno nidificato nel Movimento Cinque Stelle. Chi sostiene che la Bonino possa essere un nome meno indigesto degli altri per i parlamentari m5s, in quanto “meno partitocratico”, forse dovrebbe dare un’occhiata più attenta a quello che si dice e si scrive nell’entourage grillino: il Bilderberg club è la Casta delle Caste, l’affiliazione equivale più o meno al marchio della bestia.
Sicuramente non tutti gli eletti m5s la pensano così, ma finora quel che pensano gli individui è stato ahinoi piuttosto irrilevante. Grillo ha già il suo daffare a conciliare pretese di trasparenza assoluta e controllo totale dei suoi parlamentari; nel frattempo deve difendere sul blog una strategia che al grido di “tutti a casa” per ora ha ottenuto soltanto la sopravvivenza del dimissionario Monti; l’elezione di uno dei pochissimi bilderberg italiani al Quirinale sarebbe un altro boccone amaro da far inghiottire a una base un po’ disorientata. Insomma, se servissero voti m5s, la Bonino non sembra il nome più adatto. Sarei anche in questo caso felice di sbagliarmi.
3. Marco Pannella
Emma Bonino è l’unica personalità che è riuscita in un qualche modo a brillare di vita propria all’interno di una “galassia” radicale che negli ultimi vent’anni è stata cannibalizzata dal suo demiurgo. Ma nel momento in cui salisse al Quirinale, Marco Pannella potrebbe costituire una fonte inesauribile di imbarazzi per la Presidente. Non si tratta semplicemente di tener conto delle mattane di un personaggio ormai incontrollabile (ieri pare che abbia scassato uno studio radiofonico). Sotto i riflettori finirebbe tutta la storia di un partito che a un certo punto si è trasformato in una lista personale, continuando a percepire rimborsi dallo Stato (a cui vanno poi aggiunti i finanziamenti per la radio). Qualche magagna è già saltata fuori (una segretaria assunta in nero per dodici anni); se ne emergessero delle altre, Emma Bonino si troverebbe in una situazione difficile. Dopo aver pubblicamente chiesto scusa all’ex presidente Leone per aver cavalcato la campagna per le sue dimissioni, la Bonino potrebbe sperimentare un beffardo contrappasso. Lei stessa probabilmente ne è consapevole, il che potrebbe spiegare l’apparente indifferenza nei confronti della campagna che anche stavolta Pannella cerca – sempre più faticosamente – di montare in suo favore.
Questi sono solo tre degli ostacoli che si frappongono tra il Colle ed Emma Bonino. Ripeto, sarei contentissimo di scoprire che sono soltanto immaginari. Sarebbe la dimostrazione che l’Italia è un paese laico che ha ormai assorbito la lunga controversia sull’aborto; che il M5S non è in balia di una cerchia di paranoici convinti di essere vittima di un complotto dei poteri forti mondiali; e che Pannella non è più in grado di fare danni. Tre buone notizie in una, insomma. E poi sì, avremmo un presidente donna, il che dopo 60 anni di uomini certamente non guasta. http://leonardo.blogspot.com

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